"Well i'm sitting on a windowsill, blowing my horn, nobody's up except the moon and me...and a lazy old tomcat on a midnight spree, all that you left me was a melody.Rosie, why do you evade?Rosie...How can i persuade?"
T.Waits
Giusto un ricordo.Che quella sera,pochi giorni prima della mia partenza,ebbi la sensazione che avrei conservato per una giornata di pioggia milanese.
A farmelo pensare fu il caldo che facevano le lampade a gas del ristorante dove eravamo seduti. Se ora potessi colorare quella piccola parentesi sarebbe di rosso. Queste lamapade avvampavano le guance e riscaldavano così da tanto che fummo costretti a toglierci e rimetterci il cappotto diverse volte tra un piatto e l'altro.
Non ci vedevamo da diverso tempo e tutte le volte che osservai il suo viso sorridere quella sera ebbi la sensazione nettissima che il mio si distendeva e piegava assolutamente negli stessi punti. Era un pò la sicurezza di sentirsi sorridere senza doversi preoccupare di farlo fisicamente. Mi vennero in mente i bambini quella volta, che da neonati sorridono per istinto,senza pensarci poi molto, imitando la persona che in quel momento gli sta sorridendo a pochi centimetri dal viso.
Dalla luce rossa delle lampade,alla strada verso la fermata dell'autobus la diversità di temperatura fu fortissima. Non la sensazione morbida che a pelle sentii dall'inizio della serata.
Ricordo che camminai e mi persi giusto un pò cominciando a temere, da qualche parte nel mio corpo,di perdere tutto da un secondo all'altro. Fortuna che la sua voce, ad un certo punto, senza volerlo me lo impedì. Disse qualcosa a proposito della luna,qualcosa che non capii poi molto,ancora persa dietro la parola "morbidezza" che non sapevo decidermi essere quella giusta o meno per descrivere quella sensazione che...
Poi,per alzate lo sguardo verso il cielo,persi impercettibilmente l'equilibrio,poggiandomi lievemente sulla sua spalla,scompostamente,ritrovai solo il mio mento molto vicino alla lana del suo cappotto.A pochi centimetri dal viso.Neanche alla fermata,salutandoci veloci,ebbi il tempo di riflettere su quello che dalla cena mi stavo domandando.Come persuadere?Pochi mesi prima,come potrei eventualmente convincerlo?Come avrei potuto spiegare che...E se...
Fortuna mi fermai tra quel "se"e la leggerezza che prese il sopravvento su ogni pensiero.E che era l'unica sicurezza che avevo in quel momento.Tranne il fatto di chiedermi perchè continuare a tenere gli occhiali se poi distorcevano un pò tutto quello che vedevo.Probabilmente era ancora troppo poco tempo che li portavo.
Non ebbi più il dubbio che "morbidezza"fosse una parola inadatta per descrivere quello da cui mi sentii avvolta fino a sotto le coperte,quando mi stesi nel mio letto a pancia in giù e spensi la luce nella mia stanza.Non mi mettevo mai a pancia in giù,ma il calore di quella serata l'avevo accumulato nella pancia,che strinsi tra petto e ginocchia per non perdere nulla.
Tutto salvato.Per il primo pomeriggio di pioggia che dovetti affrontare qui.
giovedì, novembre 30, 2006
lunedì, novembre 27, 2006
UN CAPPOTTO SULLA POZZANGHERA
Milano sembrava aver poggiato il suo miglior cappotto sulla pozzanghera,solo per farmi passare senza rischiare di sporcarmi.Almeno per i primi minuti che trascorrevo lì.Se avevo qualche immagine della città,queste erano sicuramente senza il rosa.E l'azzurro che si vedeva appena usciti dalla stazione.
Vicino a me il carretto delle caldarroste e le valige che bastava trascinare per pochi metri,su per una scala affollata della metro,per ricordarsi che lì ci sarei rimasta un bel pò.
La sensazione poteva essere simile a quella che provi raramente se non da bambino,totale e avvolgente,esattamente a metà strada tra un'eccitazione senza fine e le lacrime.
Pensai quanto fosse strano che nel prossimo minuto avrei potuto piangere o continuare a sorridere al nulla come stavo facendo da quando ero scesa dal treno.Stesso numero di possibilità,ma continuai a sorridere.Solo più velocemente,più distrattamente.Allora mi sembrarono troppi gli angoli che potevo osservare, gli odori che potevo respirare, le fantasie che potevo fare.Fuggii da quell'eccesso lanciandomi in un folla di persone che si dirigevano verso la metropolitana,proprio davanti la stazione.
Mi lanciai rapida anche io,come cercando di stare dietro un ritmo diverso,una vita diversa.In realtà allora non sopportai il peso di tutto quello "sconosciuto" che,dovetti far fatica ad ammetterlo,mi rendeva incredibilmente felice,come ogni canale del mio corpo si fosse messo sull'attenti.Per guardare e sentire.Allora mi piaque pensare che Milano mi aveva già coinvolta con la sua frenesia.A pensarci oggi era una semplice domenica sera e le persone non facevano altro che tornare verso casa cercando di trascinarsi dietro qualcosa di quello che la giornata di pausa era stata.
Aspettando la metropolitana mi accorsi che sul pavimento bianco era stampata la mappa,grande,di tutta la metro della città.Segmenti di colori diversi che si incrociavano ed io vi ero esattamente sopra.Ricordo che in quel momento pensai che non sapevo nulla,nessun nome,nessuna fermata,nessun colore mi riportava alla mente,sulla pelle qualcosa di familiare. Era incredibilmente,totalmente tutto sconosciuto.
In modo paralizzante mi accorsi di questo continuando a fissare i nomi e i colori che avevo sotto i piedi e che non mi suggerivano assolutamente nulla.
Ricordo che pensai in quell'istante di poter andare in qualsiasi direzione. E questo non avrebbe fatto nessuna differenza. A nessuno.
Vicino a me il carretto delle caldarroste e le valige che bastava trascinare per pochi metri,su per una scala affollata della metro,per ricordarsi che lì ci sarei rimasta un bel pò.
La sensazione poteva essere simile a quella che provi raramente se non da bambino,totale e avvolgente,esattamente a metà strada tra un'eccitazione senza fine e le lacrime.
Pensai quanto fosse strano che nel prossimo minuto avrei potuto piangere o continuare a sorridere al nulla come stavo facendo da quando ero scesa dal treno.Stesso numero di possibilità,ma continuai a sorridere.Solo più velocemente,più distrattamente.Allora mi sembrarono troppi gli angoli che potevo osservare, gli odori che potevo respirare, le fantasie che potevo fare.Fuggii da quell'eccesso lanciandomi in un folla di persone che si dirigevano verso la metropolitana,proprio davanti la stazione.
Mi lanciai rapida anche io,come cercando di stare dietro un ritmo diverso,una vita diversa.In realtà allora non sopportai il peso di tutto quello "sconosciuto" che,dovetti far fatica ad ammetterlo,mi rendeva incredibilmente felice,come ogni canale del mio corpo si fosse messo sull'attenti.Per guardare e sentire.Allora mi piaque pensare che Milano mi aveva già coinvolta con la sua frenesia.A pensarci oggi era una semplice domenica sera e le persone non facevano altro che tornare verso casa cercando di trascinarsi dietro qualcosa di quello che la giornata di pausa era stata.
Aspettando la metropolitana mi accorsi che sul pavimento bianco era stampata la mappa,grande,di tutta la metro della città.Segmenti di colori diversi che si incrociavano ed io vi ero esattamente sopra.Ricordo che in quel momento pensai che non sapevo nulla,nessun nome,nessuna fermata,nessun colore mi riportava alla mente,sulla pelle qualcosa di familiare. Era incredibilmente,totalmente tutto sconosciuto.
In modo paralizzante mi accorsi di questo continuando a fissare i nomi e i colori che avevo sotto i piedi e che non mi suggerivano assolutamente nulla.
Ricordo che pensai in quell'istante di poter andare in qualsiasi direzione. E questo non avrebbe fatto nessuna differenza. A nessuno.
venerdì, novembre 24, 2006
MILANO (ovvero: provare#2)
Decise così,in modo totalmente inaspettato, di chiudere per una pausa il caffè. Inventario fu la parola ufficiale che decisero di riferirci. In realtà non andava affatto bene. Oramai le persone che venivano erano sempre poche,sempre le stesse. E noi tutti che lavoravamo lì eravamo consapevoli più dei proprietari stessi probabilmente che il locale non aveva bisogno di nessun inventario.
In realtà quei giorni presi la notizia molto freddamente. In realtà tutto era tra le mie mani, forse troppo. Così allora pensai che l'unico modo per non lasciarmi sfuggire,fosse pensare al tutto come stessi archiviando vecchie pratiche,nuovi documenti,possibli progetti. Guardavo tutto con una meticolosa freddezza,analizzando lucidamente ogni cosa.
Così anche la scelta di andare via durante quel periodo.
Milano fu la città prescelta. Per una sorta di stage in una redazione. Proviamo a scrivere, mi dissi.Proviamo ad andare via di qui. Così lo feci,organizzando tutto in poche settimane.
Pochi giorni prima della partenza,quando cominciarono saluti, promesse vaghe e generali di vedersi io faticai ad emozionarmi. Mi capitava di ripetermi mentalmente più e più volte tutte le cose che negli ultimi mesi stavano cambiando.Alle volte mormoravo quasi. Tornando dal caffè,sulla linea notturna, poggiavo la fronte sul vetro del bus che lasciava un piccolo cerchio.Tutto intorno l'umidità impediva di vedere a che punto fossi del tragitto.
Aspettai. Quei giorni, ad osservarmi ora, in realtà aspettai qualcosa che era impossibile arrivasse. Almeno finchè non smisi di pensare che lasciarsi andare al flusso di eventi che all'improvviso stravolgono la tua vita non era rischioso.
Ma in quei giorni non ero davvero capace di accettare che potessi essere profondamente felice.
Potevo esserlo anche senza sentire la necessità di controllare ogni cosa.
Non lo capii finchè quel treno non partì e realizzai in un attimo che stavo lasciando tutto. Lasciando ogni cosa per poi tornare. Il pensiero che non sarei tornata a casa mia,dove per23 anni avevo vissuto stranamente mi fece percepire per la prima volta che stavo davvero andando via.
Curioso in fondo, a pensarci ora...percepirlo solo nel momento in cui realizzai che sarei tornata.Era la casa dove avrei dormito non sarebbe stata quella di mia madre.
Così l'emozione arrivò,tutta insieme e dovetti focalizzare lo sguardo attraverso gli occhiali,verso le ciminiere che si vedevano appena lasciata la stazione.Mi strinsi con le spalle nello schienale della poltrona.Con un respiro profondo mi accorsi che,inaspettatamente,qualcosa aveva ripreso a battere nel petto.
In realtà quei giorni presi la notizia molto freddamente. In realtà tutto era tra le mie mani, forse troppo. Così allora pensai che l'unico modo per non lasciarmi sfuggire,fosse pensare al tutto come stessi archiviando vecchie pratiche,nuovi documenti,possibli progetti. Guardavo tutto con una meticolosa freddezza,analizzando lucidamente ogni cosa.
Così anche la scelta di andare via durante quel periodo.
Milano fu la città prescelta. Per una sorta di stage in una redazione. Proviamo a scrivere, mi dissi.Proviamo ad andare via di qui. Così lo feci,organizzando tutto in poche settimane.
Pochi giorni prima della partenza,quando cominciarono saluti, promesse vaghe e generali di vedersi io faticai ad emozionarmi. Mi capitava di ripetermi mentalmente più e più volte tutte le cose che negli ultimi mesi stavano cambiando.Alle volte mormoravo quasi. Tornando dal caffè,sulla linea notturna, poggiavo la fronte sul vetro del bus che lasciava un piccolo cerchio.Tutto intorno l'umidità impediva di vedere a che punto fossi del tragitto.
Aspettai. Quei giorni, ad osservarmi ora, in realtà aspettai qualcosa che era impossibile arrivasse. Almeno finchè non smisi di pensare che lasciarsi andare al flusso di eventi che all'improvviso stravolgono la tua vita non era rischioso.
Ma in quei giorni non ero davvero capace di accettare che potessi essere profondamente felice.
Potevo esserlo anche senza sentire la necessità di controllare ogni cosa.
Non lo capii finchè quel treno non partì e realizzai in un attimo che stavo lasciando tutto. Lasciando ogni cosa per poi tornare. Il pensiero che non sarei tornata a casa mia,dove per23 anni avevo vissuto stranamente mi fece percepire per la prima volta che stavo davvero andando via.
Curioso in fondo, a pensarci ora...percepirlo solo nel momento in cui realizzai che sarei tornata.Era la casa dove avrei dormito non sarebbe stata quella di mia madre.
Così l'emozione arrivò,tutta insieme e dovetti focalizzare lo sguardo attraverso gli occhiali,verso le ciminiere che si vedevano appena lasciata la stazione.Mi strinsi con le spalle nello schienale della poltrona.Con un respiro profondo mi accorsi che,inaspettatamente,qualcosa aveva ripreso a battere nel petto.
martedì, novembre 07, 2006
ZENZERO E CANNELLA
"Good time for a change"
The Smiths
Dura serata al locale,di noia e visi non particolarmente vivi,di pochi bicchieri di vino bevuti in solitudine,aspettando sulla porta di vedere arrivare qualcuno.Chiunque.Le serate così al caffè mi lasciavano addosso solo una sorta di anestesia nei confronti di qualunque parola o pensiero o gesto.
Come tenere il corpo intero in tensione,senza respirare mai profondamente,come sentire ogni piccolo poro della pelle tappato e impermeabile all'esterno,qualsiasi cosa del mondo fuori e dentro di me.Semplicemente così,scivolandosi addosso le ore.
Per favore,per favore,per favore.
Tennì gli occhi socchiusi in motorino durante il rientro verso casa perchè il freddo era ancora forte.Saliì le scale di casa con la musica ancora nelle orecchie e provai fastidio perchè le chiavi e i fili delle cuffie ed il segnalibro avevano creato un meraviglioso incastro.Entrai in silenzio nell'ingresso con ancora la sensazione di scomodità vicina.
Poi la puzza fortissima di bruciato.Credo non mi accorsi nemmeno del rumore che fece la mia borsa una volta crollata a terra,restai ferma poi aprii velocissima la porta della cucina.
Non c'era un'immagine precisa che nel frattempo la paura aveva creato nella mia mente,nessuna idea di cosa potesse essere.Ma sicuramente non mi aspettai quella notte di vedere quello che vidi.
Mia sorella nel fumo,mentre mordendosi le labbra sfornava qualcosa di completamente carbonizzato.Aveva aperto la finestra e chiuso la porta per non svegliare mamma che dormiva e tentava di arginare tutto versando dell'acqua su quella che poi capii essere una torta.
Continuai a guardarla sorridendo e l'unica cosa che riuscii a fare fu sedermi e sentire sciogliersi sottopelle qualunque cosa fossi riuscita a trattenere per tutta la sera.
Mia sorella intanto agitava lo strofinaccio e si guardava e mi guardava e se la prendeva con il gatto.Io continuavo a sorriderle.
Glù...mannaggia,volevo farti una sorpresa,te l'ho fatta eh?Era una torta al cioccolato con zenzero e cannella,la tua preferita...ma non so cosa ho sbagliato,non mi capita mai lo sai...e poi guarda pure questa canzoncina anni cinquanta stupida per radio,mi sento veramente ridicola...però domani ritento,ma guarda cosa ho combinato...
La guardai molto attentamente,come fosse cambiata eppure ogni mattina ed ogni notte la ritrovavo magari in salone ad ascoltare musica,eppure quella sera mi sembrò diversa tra quel fumo e l'odore dello zenzero bruciato.
Prima di abbracciarla cercai di ricordare il suo visetto in una nostra foto da piccole,in balcone mentre io guardavo l'obiettivo e lei me.Mi sforzai di ricreare i suoi lineamenti di allora.
Dovetti promettermi il giorno dopo di ricercare quell'album di foto,tanto in ogni caso avevo deciso di cominciare a svuotare camera.
Quella sera mi sembrò l'unica soluzione possibile perchè non riuscivo davvero a ricordarla o a trovare qualche somiglianza col viso che in quel momento era raggomitolato sulla mia spalla.
The Smiths
Dura serata al locale,di noia e visi non particolarmente vivi,di pochi bicchieri di vino bevuti in solitudine,aspettando sulla porta di vedere arrivare qualcuno.Chiunque.Le serate così al caffè mi lasciavano addosso solo una sorta di anestesia nei confronti di qualunque parola o pensiero o gesto.
Come tenere il corpo intero in tensione,senza respirare mai profondamente,come sentire ogni piccolo poro della pelle tappato e impermeabile all'esterno,qualsiasi cosa del mondo fuori e dentro di me.Semplicemente così,scivolandosi addosso le ore.
Per favore,per favore,per favore.
Tennì gli occhi socchiusi in motorino durante il rientro verso casa perchè il freddo era ancora forte.Saliì le scale di casa con la musica ancora nelle orecchie e provai fastidio perchè le chiavi e i fili delle cuffie ed il segnalibro avevano creato un meraviglioso incastro.Entrai in silenzio nell'ingresso con ancora la sensazione di scomodità vicina.
Poi la puzza fortissima di bruciato.Credo non mi accorsi nemmeno del rumore che fece la mia borsa una volta crollata a terra,restai ferma poi aprii velocissima la porta della cucina.
Non c'era un'immagine precisa che nel frattempo la paura aveva creato nella mia mente,nessuna idea di cosa potesse essere.Ma sicuramente non mi aspettai quella notte di vedere quello che vidi.
Mia sorella nel fumo,mentre mordendosi le labbra sfornava qualcosa di completamente carbonizzato.Aveva aperto la finestra e chiuso la porta per non svegliare mamma che dormiva e tentava di arginare tutto versando dell'acqua su quella che poi capii essere una torta.
Continuai a guardarla sorridendo e l'unica cosa che riuscii a fare fu sedermi e sentire sciogliersi sottopelle qualunque cosa fossi riuscita a trattenere per tutta la sera.
Mia sorella intanto agitava lo strofinaccio e si guardava e mi guardava e se la prendeva con il gatto.Io continuavo a sorriderle.
Glù...mannaggia,volevo farti una sorpresa,te l'ho fatta eh?Era una torta al cioccolato con zenzero e cannella,la tua preferita...ma non so cosa ho sbagliato,non mi capita mai lo sai...e poi guarda pure questa canzoncina anni cinquanta stupida per radio,mi sento veramente ridicola...però domani ritento,ma guarda cosa ho combinato...
La guardai molto attentamente,come fosse cambiata eppure ogni mattina ed ogni notte la ritrovavo magari in salone ad ascoltare musica,eppure quella sera mi sembrò diversa tra quel fumo e l'odore dello zenzero bruciato.
Prima di abbracciarla cercai di ricordare il suo visetto in una nostra foto da piccole,in balcone mentre io guardavo l'obiettivo e lei me.Mi sforzai di ricreare i suoi lineamenti di allora.
Dovetti promettermi il giorno dopo di ricercare quell'album di foto,tanto in ogni caso avevo deciso di cominciare a svuotare camera.
Quella sera mi sembrò l'unica soluzione possibile perchè non riuscivo davvero a ricordarla o a trovare qualche somiglianza col viso che in quel momento era raggomitolato sulla mia spalla.
sabato, novembre 04, 2006
WALTZING MATILD
Una sera un mio caro amico al caffè mi spiegò il significato del titolo di una canzone che ascoltavo,non so perchè,specialmente le serate in cui faceva molto freddo.Si trattava di "waltzing matild" di Tom Waits.Dopo svariati bicchieri di vino,quando anche l'ultimo cliente aveva lasciato il locale,mi disse che era un'espressione usata per dire partire per cercare fortuna,fare "fagotto",metterselo in spalle e andare via.
Gli sorrisi di sincera gratitudine.
Mai visto il freddo arrivare così velocemente.Nessuna avvisaglia se non l'inconsistenza che il maglione aveva assunto quella mattina sulla mia pelle.In motorino mi sembrava di essere nuda e in pochissimo mi ricoprii di brividi.Com'era possibile?appena un'ora prima ero uscita come al solito in terrazza per dar da mangiare al gatto e lo stesso maglioncino di cotone bastava a tenermi al caldo.Poco dopo mi ritrovai a battere i denti mentre in un secondo decisi di fermarmi a comprare ad una bancarella lungo la strada almeno un copricollo.
Senza pensarci e molto velocemente indicai quello rosso,staccai l'etichetta e lo infilai.Rosso.Provai a ricordare quando avevo deciso che quel colore non poteva starmi bene,quando qualcuno o qualcosa mi aveva suggerito che con i miei capelli sarebbe stato "troppo".Non riuscii a ricordare,lo comprai e nello specchietto del motorino decretai un nuovo ingresso cromatico nella mia vita.
Il rosso,la città e la tramontana quel giorno s'intesero alla perfezione.Scivolai velocissima verso l'appuntamento in centro.Scivolai,quella fu la sensazione,sinuosa,leggera,giusta.Senza ritrarmi,senza incappare,inciampare in nulla che non fosse quell'istante e poi quello successivo e poi ancora quello seguente.Via così,per tutto il tragitto,sbirciando solo qualche volta se il mio rosso fosse proprio lì dove lo avevo lasciato appena un'occhiata prima.
Era lì e lo fu per tutta la giornata.
Arrivai all'appuntamento con un pò di ritardo.Ad ogni tratto di strada in cui sapevo abitare qualcuno che conoscevo ralletavo e per pochi secondi pensavo se fosse il caso di passare a lasciare giusto un saluto,un biglietto un cenno dal portone,così avevo accumulato senza accorgermene almeno trenta minuti di ritardo.Loro erano già seduti ad un tavolino fuori dal bar,ma vidi che non avevano ordinato niente.
Erano tre.I miei futuri coinquilini.Mi ripetei la parola "coinquilini"più e più volte finchè non mi venne anche da ridere e dovetti aspettare un pò prima di raggiungerli se non volevo trovarmi a dover giustificare quella risata con una bugia.Adorai tanto quella risata che non vollì sporcarla con qualcosa di artificiale.
Passò il momento e mi avvicinai.Strinsi un pò le spalle e non tirai fuori le mani gelate dalle tasche del cappotto.Pensai che presetarmi fosse inutile,d'altronde ci conoscevamo,così gli sorrisi e basta e mi sedetti.
La sera,tornata a casa,solo "waltzing matild"ed un messaggio che lessi un attimo prima di spegnere la luce sul comodino:"che bello,che bello,che bello!buonanotte".
Uno dei miei "coinquilini"aveva scelto di scrivermi queste parole.Ripetei ancora la parola "coinquilini"e riscoppiai a ridere e continuai a farlo senza doverlo giustificare a nessuno.
Tantomeno a me stessa.
Gli sorrisi di sincera gratitudine.
Mai visto il freddo arrivare così velocemente.Nessuna avvisaglia se non l'inconsistenza che il maglione aveva assunto quella mattina sulla mia pelle.In motorino mi sembrava di essere nuda e in pochissimo mi ricoprii di brividi.Com'era possibile?appena un'ora prima ero uscita come al solito in terrazza per dar da mangiare al gatto e lo stesso maglioncino di cotone bastava a tenermi al caldo.Poco dopo mi ritrovai a battere i denti mentre in un secondo decisi di fermarmi a comprare ad una bancarella lungo la strada almeno un copricollo.
Senza pensarci e molto velocemente indicai quello rosso,staccai l'etichetta e lo infilai.Rosso.Provai a ricordare quando avevo deciso che quel colore non poteva starmi bene,quando qualcuno o qualcosa mi aveva suggerito che con i miei capelli sarebbe stato "troppo".Non riuscii a ricordare,lo comprai e nello specchietto del motorino decretai un nuovo ingresso cromatico nella mia vita.
Il rosso,la città e la tramontana quel giorno s'intesero alla perfezione.Scivolai velocissima verso l'appuntamento in centro.Scivolai,quella fu la sensazione,sinuosa,leggera,giusta.Senza ritrarmi,senza incappare,inciampare in nulla che non fosse quell'istante e poi quello successivo e poi ancora quello seguente.Via così,per tutto il tragitto,sbirciando solo qualche volta se il mio rosso fosse proprio lì dove lo avevo lasciato appena un'occhiata prima.
Era lì e lo fu per tutta la giornata.
Arrivai all'appuntamento con un pò di ritardo.Ad ogni tratto di strada in cui sapevo abitare qualcuno che conoscevo ralletavo e per pochi secondi pensavo se fosse il caso di passare a lasciare giusto un saluto,un biglietto un cenno dal portone,così avevo accumulato senza accorgermene almeno trenta minuti di ritardo.Loro erano già seduti ad un tavolino fuori dal bar,ma vidi che non avevano ordinato niente.
Erano tre.I miei futuri coinquilini.Mi ripetei la parola "coinquilini"più e più volte finchè non mi venne anche da ridere e dovetti aspettare un pò prima di raggiungerli se non volevo trovarmi a dover giustificare quella risata con una bugia.Adorai tanto quella risata che non vollì sporcarla con qualcosa di artificiale.
Passò il momento e mi avvicinai.Strinsi un pò le spalle e non tirai fuori le mani gelate dalle tasche del cappotto.Pensai che presetarmi fosse inutile,d'altronde ci conoscevamo,così gli sorrisi e basta e mi sedetti.
La sera,tornata a casa,solo "waltzing matild"ed un messaggio che lessi un attimo prima di spegnere la luce sul comodino:"che bello,che bello,che bello!buonanotte".
Uno dei miei "coinquilini"aveva scelto di scrivermi queste parole.Ripetei ancora la parola "coinquilini"e riscoppiai a ridere e continuai a farlo senza doverlo giustificare a nessuno.
Tantomeno a me stessa.
martedì, ottobre 31, 2006
PEACE PIECE
Qualcuno un pomeriggio mi disse che ero simile ad un pezzo di Bill Evans,"Peace Piece".
Oggi ce lo ascoltiamo tutto,più volte se necessario e se possibile distesi sul letto.La posizione orizzontale porta solitamente a chiudere gli occhi e questo pezzo di piano non è possibile ascoltarlo ad occhi aperti.Il corpo invece,quello si che sarà bene tenerlo in tensione il più possibile,in ascolto il più possibile.
Qualcuno mi disse che ero esattamente come questa canzone,con tutti i suoi bassi ed i suoi acuti e le sue contraddizioni.Così allora lo ascoltai più e più volte tentando di riconoscermi in quelle note,finchè suggestionata pensai che io ero esattamente questo "pezzo di pace".
Un pranzo,all'incirca verso fine ottobre,incrociai mia madre in cucina.Era una di quelle giornate che aveva deciso di essere stanca ed annoiata per lavorare ed io di conseguenza mi sentii stanca ed annoiata abbastanza da non andare all'università.La sera prima inoltre ricordo che presi appuntamento con gli altri ragazzi per vedere una casa il pomeriggio seguente.
Credo che mia madre avesse sentito la mia telefonata,ma era solo un dubbio,che divenne certezza quel giorno a pranzo quando volle raccontarmi un sogno che aveva fatto.Non lo faceva mai,eppure non mi sembrò strano;mentre si sedeva e si accendeva una sigaretta io ascoltavo il mio "pezzo di pace"e mi concentravo per impanare la mia fettina di carne nella farina il più meticolosamente possibile.Non la guardai e lei non guardava me,parlava come se stesse spiegando un documento a qualche suo superiore.Non credo badò molto alla musica che c'era in sottofondo,l'unica affermazione che fece fu qualcosa a proposito della luce calda che c'era quel giorno.
E poi cadevo,ricordo solo questa sensazione.Era come non toccare mai per terra...cadevo piano,lentamente ed avevo la certezza che a lanciarmi fossi stata io,nessuno mi aveva spinta,ma continuavo a cadere e credo che mi lanciai da un balcone.Poi la neve,quella la ricordo bene,che c'era tanta neve.Mi sono dovuta alzare sai e venire in camera tua a vedere se c'eri,perchè avevo ancora l'impressione di essere sola in mezzo a tutta quella neve e quando mi sono svegliata nonostante mi sono resa conto subito di essere in camera mia,l'impressione di scivolare e di solitudine ce l'avevo ancora addosso,così sono venuta a vedere se stavi nel tuo letto.
Mi disse qualcosa di poco importante sul gatto e così come era venta se ne andò dalla cucina.Continuai a rotolare la mia carne nella farina che mi sembrava essere diventata come neve e in un attimo un'immagine che era più una sensazione vaga.La sentivo da quando mi ero svegliata e mi concentravo da ore per capire che immagine fosse,che colori e odori avesse.Continuavo a girare quella carne e a concentrarmi,lo sforzo era fortissimo.L'unica parte viva del mio corpo in quel momento erano gli occhi e la fronte,il resto era come anestetizzato,la pelle,le braccia e le gambe le avevo come dimenticate,non le sentivo più.
Poi l'odore della sua camicia da notte,il caldo della mia coperta ed una luce fiochissima intorno la serranda della mia finestra mi fecero ricordare.Quella notte o mattina l'avevo sentita entrare e sedersi sul mio letto e "sei la sola cosa riuscita nella mia vita"detta quasi con una risatina ingenua.
Questo ricordai e anche la decisione che presi in quel dormi veglia di riaddormentarmi subito,immediatamente.
Ecco cosa era stato.Poi nient altro.Mi ero semplicemente alzata con il desiderio di ascoltare il mio "peace piece",concentrarmi e ricercarmi in quelle note.Nella calma e nella contraddizione e negli acuti e negli accompagnamenti di sottofondo.
Anche quando lasciò la cucina ed io continuai con carne e neve non ricordo di aver smesso di cercarmi,di combaciare con quel pezzo di pace che non riusciva mai a tranquillizzarmi.
La rividi fuori dalla finestra che dava da mangiare ai gatti,alzai il volume dello stereo,rimisi daccapo la canzone continuai a fissarla senza farmi vedere.In una perenne contraddizione era perfetta là fuori con questa musica che io solo sentivo in quel momento,credo infatti che fuori arrivasse un unico suono lungo e ovattato.
Lei era così,si adattava perfettamente,ci si adagiava e le rifletteva tutte quante.
Io continuai ad ascoltarla senza riuscire se non per brevi istanti a vedermi insieme a mia madre e a quelle note.
Oggi ce lo ascoltiamo tutto,più volte se necessario e se possibile distesi sul letto.La posizione orizzontale porta solitamente a chiudere gli occhi e questo pezzo di piano non è possibile ascoltarlo ad occhi aperti.Il corpo invece,quello si che sarà bene tenerlo in tensione il più possibile,in ascolto il più possibile.
Qualcuno mi disse che ero esattamente come questa canzone,con tutti i suoi bassi ed i suoi acuti e le sue contraddizioni.Così allora lo ascoltai più e più volte tentando di riconoscermi in quelle note,finchè suggestionata pensai che io ero esattamente questo "pezzo di pace".
Un pranzo,all'incirca verso fine ottobre,incrociai mia madre in cucina.Era una di quelle giornate che aveva deciso di essere stanca ed annoiata per lavorare ed io di conseguenza mi sentii stanca ed annoiata abbastanza da non andare all'università.La sera prima inoltre ricordo che presi appuntamento con gli altri ragazzi per vedere una casa il pomeriggio seguente.
Credo che mia madre avesse sentito la mia telefonata,ma era solo un dubbio,che divenne certezza quel giorno a pranzo quando volle raccontarmi un sogno che aveva fatto.Non lo faceva mai,eppure non mi sembrò strano;mentre si sedeva e si accendeva una sigaretta io ascoltavo il mio "pezzo di pace"e mi concentravo per impanare la mia fettina di carne nella farina il più meticolosamente possibile.Non la guardai e lei non guardava me,parlava come se stesse spiegando un documento a qualche suo superiore.Non credo badò molto alla musica che c'era in sottofondo,l'unica affermazione che fece fu qualcosa a proposito della luce calda che c'era quel giorno.
E poi cadevo,ricordo solo questa sensazione.Era come non toccare mai per terra...cadevo piano,lentamente ed avevo la certezza che a lanciarmi fossi stata io,nessuno mi aveva spinta,ma continuavo a cadere e credo che mi lanciai da un balcone.Poi la neve,quella la ricordo bene,che c'era tanta neve.Mi sono dovuta alzare sai e venire in camera tua a vedere se c'eri,perchè avevo ancora l'impressione di essere sola in mezzo a tutta quella neve e quando mi sono svegliata nonostante mi sono resa conto subito di essere in camera mia,l'impressione di scivolare e di solitudine ce l'avevo ancora addosso,così sono venuta a vedere se stavi nel tuo letto.
Mi disse qualcosa di poco importante sul gatto e così come era venta se ne andò dalla cucina.Continuai a rotolare la mia carne nella farina che mi sembrava essere diventata come neve e in un attimo un'immagine che era più una sensazione vaga.La sentivo da quando mi ero svegliata e mi concentravo da ore per capire che immagine fosse,che colori e odori avesse.Continuavo a girare quella carne e a concentrarmi,lo sforzo era fortissimo.L'unica parte viva del mio corpo in quel momento erano gli occhi e la fronte,il resto era come anestetizzato,la pelle,le braccia e le gambe le avevo come dimenticate,non le sentivo più.
Poi l'odore della sua camicia da notte,il caldo della mia coperta ed una luce fiochissima intorno la serranda della mia finestra mi fecero ricordare.Quella notte o mattina l'avevo sentita entrare e sedersi sul mio letto e "sei la sola cosa riuscita nella mia vita"detta quasi con una risatina ingenua.
Questo ricordai e anche la decisione che presi in quel dormi veglia di riaddormentarmi subito,immediatamente.
Ecco cosa era stato.Poi nient altro.Mi ero semplicemente alzata con il desiderio di ascoltare il mio "peace piece",concentrarmi e ricercarmi in quelle note.Nella calma e nella contraddizione e negli acuti e negli accompagnamenti di sottofondo.
Anche quando lasciò la cucina ed io continuai con carne e neve non ricordo di aver smesso di cercarmi,di combaciare con quel pezzo di pace che non riusciva mai a tranquillizzarmi.
La rividi fuori dalla finestra che dava da mangiare ai gatti,alzai il volume dello stereo,rimisi daccapo la canzone continuai a fissarla senza farmi vedere.In una perenne contraddizione era perfetta là fuori con questa musica che io solo sentivo in quel momento,credo infatti che fuori arrivasse un unico suono lungo e ovattato.
Lei era così,si adattava perfettamente,ci si adagiava e le rifletteva tutte quante.
Io continuai ad ascoltarla senza riuscire se non per brevi istanti a vedermi insieme a mia madre e a quelle note.
lunedì, ottobre 23, 2006
SOLITARIO(#3)
"Molto forte,incredibilmente vicino"
J.S.Foer
Quando mi risedetti accanto a lui gli chiesi che giornale stesse leggendo e se voleva dell'altro vino.A quel tempo una delle cose che mi faceva vacillare di più era notare negli altri una non totale simpatia o empatia nei miei confronti.Non aveva molta importanza allora chi avessi davanti,poteva trattarsi tranquillamente di una persona di cui non mi interessava nulla,eppure dovevo a tutti i costi contare qualcosa,positivamente intendo dire.Così,dopo la tensione che si era creata quella sera,sentii il bisogno di essere gentile nei suoi riguardi,nonostante non ne avessi assolutamente voglia,ma dovevo esserlo.Lo guardai mentre mi spiegava che giornale fosse accennando anche piccoli sorrisi.Va tutto bene,non c'è motivo di mettersi sulla difensiva inutilmente.Volevo dirgli questo con quella piccola attenzione.Ti ho osservato,ti ho guardato le altre sere,avevo notato il giornale anche,non è inutile ascoltare la tua storia,mi interessa davvero.
Non so se colse tutto questo mio sforzo di telepatia.Qualunque cosa stesse pensando continuò a raccontare.Mi bastò quello.
"Non mi guardi così.Non sono deluso o arrabbiato con lei.Per me poteva anche rientrare nel locale e non rivolgermi più parola,è liberissima di farlo.Credo però che abbia voglia di ascoltarmi e credo anche che io abbia detto qualcosa che l'ha toccata in qualche modo,da qualche parte.Sbaglio?La prego non mi faccia passare per presuntuoso ancora una volta;le dico solo quello che vedo,che sembra palese e no,non può dirmi che non si sia risentita in qualche modo.Magari però lei non lo sta pensando vero?Guardi io non volevo farlo,lasciare Marìa intendo.Può anche non credermi,ma io Marìa ero convinto di amarla profondamente la sera che mi misi a dormire e quando spensi la luce mi concentrai come avevo fatto per anni sulla sua pancia che respirando faceva un lievissimo movimento sotto la coperta.La mattina stavo così male invece,così insopportabilmente male...il petto lo sentivo sul punto di esplodere e la doccia non mi fece sentire meglio.Andai nel salone della nostra piccola casa,in un quartiere abbastanza periferico di Buenosaires,e andai verso il giradischi come ogni mattina;misi un disco di Mercedes Sosa.Accadde allora,più manifestatamente intendo dire.Marìa era accanto a me e quando sistemai la puntina sul disco la canzone cominciò ad un volume altissimo.Dovemmo metterci entrambi le mani sulle orecchie,perchè era insopportabile.Quando riuscii ad abbassare mi voltai come una furia verso di lei,temo che la guardai con un odio viscerale e profondo,in quel momento non era importante se fosse davvero colpa sua,se avesse lei mosso magari spolverando,la manovella del volume.Continuavo a guardarla duramente,chiedendole perchè,solamente perchè.Lei restò immobile,continuava a fissarmi sbigottita e non riusciva a dire nulla,mi guardava e basta.Io quello sguardo ce l'ho ancora qui e non so,un pò quello che tentavo di dirle prima,sento tutto questo molto forte,vicino,ma quando provo a ricongiungere i punti di quel nostro ultimo incontro tutto si perde,io mi perdo,il suo viso si perde.E soprattutto si perde il perchè.Perchè la odiai,perchè volli andare via,senza prendere nulla,venendo qui in Italia solo perchè da anni avevo un cugino che viveva qui;per continuare poi a fare il correttore di bozze in una piccola casa editrice,cosa che mi sembrava di fare felicemente nella mia città.ma sa,uno può stare una vita a chiedersi queste cose,ma finchè non ci si stacca dalla concretezza,dall'evidenza di alcuni fatti io credo che non si trovi proprio un bel niente.Posso continuare a chiedermi cosa non andasse tra me e Marìa,o tra me ed il lavoro o tra me e l'Argentina.Non ho trovato una sola risposta che valga la pena di analizzare,per anni l'ho fatto ed il risultato sono stati una manciata di anni vissuti più per l'abitudine a vivere che per altro.Così l'altra sera quando lei ha messo quel disco ho dovuto smettere di bere perchè per un secondo il viso di Marìa è riapparso così nitidamente da farmi male.E di nuovo la paura,la paura folle che fosse morta che io l'avessi uccisa,tra l'altro senza un perchè,senza aver trovato un motivo che potesse lasciarmi libero da lei in questa nuova vita.Ho fatto qualcosa di profondamente sbagliato e continuo a non capire dove devo riprendere il filo e ricominciare,quando sento il desiderio di farlo...ecco la sensazione di avere tutto forte e molto vicino,ma di non avercelo sulla pelle,dentro la pelle.A quel punto non so più cosa fare e semplicemente mi metto in attesa."
In silenzio tutto il tempo lo guardai con paura.Egoista e arrabbiata non pensai che a Marìa,dove fosse,cosa stesse facendo,se aveva un nuovo amore.Per lui non provai allora nesusna pena o compassione.
Quello che non mi fu chiaro allora era il motivo della mia paura.In realtà non tanto la storia,quanto il suo modo di raccontarla entrò con una prepotenza incredibile nella mia giornata.Non lo ammisi,ma temevo che concludesse tutto con uno sguardo,un parallelo lanciato tra me e lui attraverso un silenzio complice.Temevo quella sera che in fondo anche io avrei potuto uccidere qualcuno,se non lo avevo ancora fatto.Io credo che pensò questo,o fui io a pensarlo?
Lasciai che se ne andasse,dicendomi che la domenica successiva sarebbe tornato e l'ultima cosa che pensai fu che alle volte si riceve violenza da tutte le parti.In momenti che non ti aspetti e da persone che con la tua vita non c'entrano un bel niente.
Perchè lui con me,non aveva assolutamente niente a che vedere.
J.S.Foer
Quando mi risedetti accanto a lui gli chiesi che giornale stesse leggendo e se voleva dell'altro vino.A quel tempo una delle cose che mi faceva vacillare di più era notare negli altri una non totale simpatia o empatia nei miei confronti.Non aveva molta importanza allora chi avessi davanti,poteva trattarsi tranquillamente di una persona di cui non mi interessava nulla,eppure dovevo a tutti i costi contare qualcosa,positivamente intendo dire.Così,dopo la tensione che si era creata quella sera,sentii il bisogno di essere gentile nei suoi riguardi,nonostante non ne avessi assolutamente voglia,ma dovevo esserlo.Lo guardai mentre mi spiegava che giornale fosse accennando anche piccoli sorrisi.Va tutto bene,non c'è motivo di mettersi sulla difensiva inutilmente.Volevo dirgli questo con quella piccola attenzione.Ti ho osservato,ti ho guardato le altre sere,avevo notato il giornale anche,non è inutile ascoltare la tua storia,mi interessa davvero.
Non so se colse tutto questo mio sforzo di telepatia.Qualunque cosa stesse pensando continuò a raccontare.Mi bastò quello.
"Non mi guardi così.Non sono deluso o arrabbiato con lei.Per me poteva anche rientrare nel locale e non rivolgermi più parola,è liberissima di farlo.Credo però che abbia voglia di ascoltarmi e credo anche che io abbia detto qualcosa che l'ha toccata in qualche modo,da qualche parte.Sbaglio?La prego non mi faccia passare per presuntuoso ancora una volta;le dico solo quello che vedo,che sembra palese e no,non può dirmi che non si sia risentita in qualche modo.Magari però lei non lo sta pensando vero?Guardi io non volevo farlo,lasciare Marìa intendo.Può anche non credermi,ma io Marìa ero convinto di amarla profondamente la sera che mi misi a dormire e quando spensi la luce mi concentrai come avevo fatto per anni sulla sua pancia che respirando faceva un lievissimo movimento sotto la coperta.La mattina stavo così male invece,così insopportabilmente male...il petto lo sentivo sul punto di esplodere e la doccia non mi fece sentire meglio.Andai nel salone della nostra piccola casa,in un quartiere abbastanza periferico di Buenosaires,e andai verso il giradischi come ogni mattina;misi un disco di Mercedes Sosa.Accadde allora,più manifestatamente intendo dire.Marìa era accanto a me e quando sistemai la puntina sul disco la canzone cominciò ad un volume altissimo.Dovemmo metterci entrambi le mani sulle orecchie,perchè era insopportabile.Quando riuscii ad abbassare mi voltai come una furia verso di lei,temo che la guardai con un odio viscerale e profondo,in quel momento non era importante se fosse davvero colpa sua,se avesse lei mosso magari spolverando,la manovella del volume.Continuavo a guardarla duramente,chiedendole perchè,solamente perchè.Lei restò immobile,continuava a fissarmi sbigottita e non riusciva a dire nulla,mi guardava e basta.Io quello sguardo ce l'ho ancora qui e non so,un pò quello che tentavo di dirle prima,sento tutto questo molto forte,vicino,ma quando provo a ricongiungere i punti di quel nostro ultimo incontro tutto si perde,io mi perdo,il suo viso si perde.E soprattutto si perde il perchè.Perchè la odiai,perchè volli andare via,senza prendere nulla,venendo qui in Italia solo perchè da anni avevo un cugino che viveva qui;per continuare poi a fare il correttore di bozze in una piccola casa editrice,cosa che mi sembrava di fare felicemente nella mia città.ma sa,uno può stare una vita a chiedersi queste cose,ma finchè non ci si stacca dalla concretezza,dall'evidenza di alcuni fatti io credo che non si trovi proprio un bel niente.Posso continuare a chiedermi cosa non andasse tra me e Marìa,o tra me ed il lavoro o tra me e l'Argentina.Non ho trovato una sola risposta che valga la pena di analizzare,per anni l'ho fatto ed il risultato sono stati una manciata di anni vissuti più per l'abitudine a vivere che per altro.Così l'altra sera quando lei ha messo quel disco ho dovuto smettere di bere perchè per un secondo il viso di Marìa è riapparso così nitidamente da farmi male.E di nuovo la paura,la paura folle che fosse morta che io l'avessi uccisa,tra l'altro senza un perchè,senza aver trovato un motivo che potesse lasciarmi libero da lei in questa nuova vita.Ho fatto qualcosa di profondamente sbagliato e continuo a non capire dove devo riprendere il filo e ricominciare,quando sento il desiderio di farlo...ecco la sensazione di avere tutto forte e molto vicino,ma di non avercelo sulla pelle,dentro la pelle.A quel punto non so più cosa fare e semplicemente mi metto in attesa."
In silenzio tutto il tempo lo guardai con paura.Egoista e arrabbiata non pensai che a Marìa,dove fosse,cosa stesse facendo,se aveva un nuovo amore.Per lui non provai allora nesusna pena o compassione.
Quello che non mi fu chiaro allora era il motivo della mia paura.In realtà non tanto la storia,quanto il suo modo di raccontarla entrò con una prepotenza incredibile nella mia giornata.Non lo ammisi,ma temevo che concludesse tutto con uno sguardo,un parallelo lanciato tra me e lui attraverso un silenzio complice.Temevo quella sera che in fondo anche io avrei potuto uccidere qualcuno,se non lo avevo ancora fatto.Io credo che pensò questo,o fui io a pensarlo?
Lasciai che se ne andasse,dicendomi che la domenica successiva sarebbe tornato e l'ultima cosa che pensai fu che alle volte si riceve violenza da tutte le parti.In momenti che non ti aspetti e da persone che con la tua vita non c'entrano un bel niente.
Perchè lui con me,non aveva assolutamente niente a che vedere.
domenica, ottobre 22, 2006
LEI NON HA MAI UCCISO NESSUNO
"Guardi,vivere lontano dall'Argentina è una cosa che non avrei mai creduto possibile.Trovarmi ad un bar da solo ogni domenica a bere vino...bè,non mi vedevo un tipo così appena una manciata di anni fa.L'idea poi di essermi svegliato una mattina,respirando faticosamente ed aver deciso così in un attimo di lasciare tutto...può immaginare che non è proprio la cosa che pensi di provare quando la sera prima come mille altre sere ti sei addormentato accanto la persona che hai avuto vicino per una vita.Insomma non so se mi spiego...una sera sei come sempre hai pensato di essere,la mattina decidi di lasciare tutto.O lasci o lasci,così...senza altra soluzione possibile.Così lo fai ed uccidi due persone nello stesso tempo:la persona che da una vita hai avuto con te e la persona che tu sei stato durante tutto quel tempo.Uccidere qualcuno è qualcosa di inimmaginabile.Avere la presunzione di averlo fatto è ancora peggio.Addio Buenosaires,addio mujer mìa.Non ho mai avuto il coraggio di cercare di sapere come stesse,così una sera pensai che forse l'avevo uccisa,che probabilmente non esisteva più.Un giorno avevo il suo viso chiaramente delineato,il giorno dopo sentii che mi era svanita sotto gli occhi.In preda ad un angoscia silenziosissima pensai che non c'era più,che fosse sparita.In quegli istanti l'unica cosa che mi ricordava di esserci ancora era il petto che mi batteva fortissimo.Poi la sensazione di essermi perso e dissolto anche io.Provai anche il desiderio a quel punto di vedere davvero se le fosse successo qualcosa,ma era un desiderio vissuto con la sensazione di impossibilità.Non potevo fare altro che pensare che non ci fosse più,non potevo non pensare che non avrei mai potuto saperlo.Stringevo gli occhi,sentivo le rughe sulla fronte delinearsi,mi concentravo nel nulla cercando nulla.Era presente sempre,ma nel momento in cui cercavo di toccare un odore,un colore,un'espressione allora mi accorgevo che non ci riuscivo che era svanita nuovamente.Eppure da qualche parte era perchè la sentivo,ancora molto forte.Mi lasci bere un attimo il mio vino perchè l'ho intristita,ed era l'ultima cosa che volevo fare."
Pensai che no,non era affatto giusto che quella domenica mi intristisse,che non lo avevo scelto io e la mia giornata era destinata ad altro.Mi alzai lasciandolo da solo a bere il vino e rientrai nel caffè.Lui aveva lasciato la suerte en el vento,io non lasciavo in balia di una storia assurda le mie sensazioni,non quella volta.Provai rabbia e ruppi una tazzina e poi piansi un pò.Tornai fuori e lo guardai e gli dissi che poteva pure continuare a raccontare se lo faceva sentire meglio perchè tanto,fortunatamente,io ero lontana dal provare le cose di cui lui confusamente parlava e che no,non avevo ucciso nessuno.Almeno io non avevo la presunzione di credere di averlo fatto.
Pensai che no,non era affatto giusto che quella domenica mi intristisse,che non lo avevo scelto io e la mia giornata era destinata ad altro.Mi alzai lasciandolo da solo a bere il vino e rientrai nel caffè.Lui aveva lasciato la suerte en el vento,io non lasciavo in balia di una storia assurda le mie sensazioni,non quella volta.Provai rabbia e ruppi una tazzina e poi piansi un pò.Tornai fuori e lo guardai e gli dissi che poteva pure continuare a raccontare se lo faceva sentire meglio perchè tanto,fortunatamente,io ero lontana dal provare le cose di cui lui confusamente parlava e che no,non avevo ucciso nessuno.Almeno io non avevo la presunzione di credere di averlo fatto.
SOLITARIO(#2)
Domenica.Ce ne sono di almeno due tipi secondo me.Lo pensai quella domenica e lo penso tutt'ora.
C'è la domenica che dura una manciata di ore,una breve parentesi di luce pomeridiana,poi presto il buio ed un leggero sonno,una sorta di lentezza che non ti abbandona fino al momento in cui ti addormenti.C'è poi la domenica di sole e freddo,iniziata presto,con un senso di accellerazione costante.Una giornata dilatata finchè e possibile,di passeggiate e vino o momenti sospesi tra il piumone ed un libro.Lunga sembra non avere mai fine.
Era una domenica così,di quelle lunghe ma solo per una casualità.La finestra dimenticata aperta la notte prima mi aveva assicurato una domenica da sveglia.Così non dovetti andare al locale dopo poche ore da che avevo lasciato il letto.Non avevo solo una vaga sensazione di colazione e attesa alla fermata e qualche viso estraneo focalizzato di sfuggita.No.quella domenica arrivata al locale avevo sulla pelle,sotto la pelle una piazza del centro con giornali e pizza del forno,sole sul ponte che attraversai per raggiungere C. al bar dove da mesi osservava e si lasciava osservare dal ragazzo che ci lavorava e che allora non credeva(immagino)avrebbe fatto presto parte della sua vita.Sotto la pelle c'era il gradino del bar ed il caffè e pagine svogliate e stropicciate e capelli lunghi,nerissimi del ragazzo.E C.sorridente.Una giornata da respirarsi lentamente e profondamente,da sentire per bene,da prendere e portare con sè.
Poi giacca viola,scarpe viola,blu del jeans.Ed ancora giacca,scarpe,blu.Cominciai a camminare verso il locale nonostante fosse molto lontano dalla piazza dove mi trovavo.Camminai,testa bassa,concentrata sui colori dei miei abiti con i quali facevo accostamenti cromatici,paralleli di pieghe ed altri giochetti visivi con i quali mi sembrava di trovare infinite simmetrie.Camminai così perchè avevo voglia di guardare e respirare forte e sentire la fatica che ti fa arrossare tutto il viso e sentire addosso una sorta di formicolio ovunque.Arrivai al locale con le tempie che mi pulsavano e inginocchiarsi per alzare la saracinesca mi fece girare la testa.
Arrivò puntuale come sempre lui.Chissà se per caso o no,per prima cosa, misi il tavolino dove lui solitamente si sedeva.Quando si sedette mi guardò e prima ancora di chiedermi il solito vino,le sopracciglia disegnarono uno sguardo interrogativo.Quando mi invitò a sedersi con lui dato che era il solo cliente ancora stavo respirando affannata e non mi accorsi che respirai così tutto il tempo in cui ascoltai la sua voce raccontarmi che era argentino e che il motivo per cui tornava sempre era che la prima sera che venne c'era un disco di Mercedes Sosa che lo avevo fatto sentire a casa.
La musica che è riuscita a commuovermi anche se io non riesco mai a commuovermi.E poi il suo viso che sa,alle volte mi è sembrato così lontano e malinconico da ricordarmi la prima ragazza con cui uscii da ragazzo.Non so chi sia lei,ma ho avuto voglia di parlarle,ma forse lei da barman ne incontra ogni sera di persone che hanno la presunzione di credere che la loro di storia valga la pena di essere raccontata ed ascoltata.O sbaglio?Io sono l'ennesimo vecchio che vuole raccontarle qualcosa,con l'intenzione malnascosta di darle un consiglio.E' strano penserà lei,dato che non so un bel niente della sua vita e di cosa fa e vuole...però che le devo dire?banalmente ho desiderato di parlarle...quando la vedo perdersi con lo sguardo chissà dove ho voglia di dirle che passa,passa tutto e allo stesso tempo di non dirle niente ed aspettare che torni a guardare tutto quello che ha accanto,anche se la sua espressione diventa meno bella,meno intensa.La sto annoiando?Posso raccontarle perchè ho così tanta voglia di raccontarle?
Lo fissai per un pò,sorrisi anche mi sembra,con la bocca storta,senza dire niente.Stavo pensando che avevo voglia di ascoltarlo.Quale consiglio però pensava di darmi?La presunzione mi fece desiderare che non mi dicesse proprio nulla.
Restai in bilico ancora qualche minuto(o forse solo secondi) tra queste due sensazioni opposte,cercando di capire quale la mia pelle ricercasse di più.
Lui prese a raccontare.Evidentemente il mio viso era stato più chiaro di tutti i miei pensieri.
C'è la domenica che dura una manciata di ore,una breve parentesi di luce pomeridiana,poi presto il buio ed un leggero sonno,una sorta di lentezza che non ti abbandona fino al momento in cui ti addormenti.C'è poi la domenica di sole e freddo,iniziata presto,con un senso di accellerazione costante.Una giornata dilatata finchè e possibile,di passeggiate e vino o momenti sospesi tra il piumone ed un libro.Lunga sembra non avere mai fine.
Era una domenica così,di quelle lunghe ma solo per una casualità.La finestra dimenticata aperta la notte prima mi aveva assicurato una domenica da sveglia.Così non dovetti andare al locale dopo poche ore da che avevo lasciato il letto.Non avevo solo una vaga sensazione di colazione e attesa alla fermata e qualche viso estraneo focalizzato di sfuggita.No.quella domenica arrivata al locale avevo sulla pelle,sotto la pelle una piazza del centro con giornali e pizza del forno,sole sul ponte che attraversai per raggiungere C. al bar dove da mesi osservava e si lasciava osservare dal ragazzo che ci lavorava e che allora non credeva(immagino)avrebbe fatto presto parte della sua vita.Sotto la pelle c'era il gradino del bar ed il caffè e pagine svogliate e stropicciate e capelli lunghi,nerissimi del ragazzo.E C.sorridente.Una giornata da respirarsi lentamente e profondamente,da sentire per bene,da prendere e portare con sè.
Poi giacca viola,scarpe viola,blu del jeans.Ed ancora giacca,scarpe,blu.Cominciai a camminare verso il locale nonostante fosse molto lontano dalla piazza dove mi trovavo.Camminai,testa bassa,concentrata sui colori dei miei abiti con i quali facevo accostamenti cromatici,paralleli di pieghe ed altri giochetti visivi con i quali mi sembrava di trovare infinite simmetrie.Camminai così perchè avevo voglia di guardare e respirare forte e sentire la fatica che ti fa arrossare tutto il viso e sentire addosso una sorta di formicolio ovunque.Arrivai al locale con le tempie che mi pulsavano e inginocchiarsi per alzare la saracinesca mi fece girare la testa.
Arrivò puntuale come sempre lui.Chissà se per caso o no,per prima cosa, misi il tavolino dove lui solitamente si sedeva.Quando si sedette mi guardò e prima ancora di chiedermi il solito vino,le sopracciglia disegnarono uno sguardo interrogativo.Quando mi invitò a sedersi con lui dato che era il solo cliente ancora stavo respirando affannata e non mi accorsi che respirai così tutto il tempo in cui ascoltai la sua voce raccontarmi che era argentino e che il motivo per cui tornava sempre era che la prima sera che venne c'era un disco di Mercedes Sosa che lo avevo fatto sentire a casa.
La musica che è riuscita a commuovermi anche se io non riesco mai a commuovermi.E poi il suo viso che sa,alle volte mi è sembrato così lontano e malinconico da ricordarmi la prima ragazza con cui uscii da ragazzo.Non so chi sia lei,ma ho avuto voglia di parlarle,ma forse lei da barman ne incontra ogni sera di persone che hanno la presunzione di credere che la loro di storia valga la pena di essere raccontata ed ascoltata.O sbaglio?Io sono l'ennesimo vecchio che vuole raccontarle qualcosa,con l'intenzione malnascosta di darle un consiglio.E' strano penserà lei,dato che non so un bel niente della sua vita e di cosa fa e vuole...però che le devo dire?banalmente ho desiderato di parlarle...quando la vedo perdersi con lo sguardo chissà dove ho voglia di dirle che passa,passa tutto e allo stesso tempo di non dirle niente ed aspettare che torni a guardare tutto quello che ha accanto,anche se la sua espressione diventa meno bella,meno intensa.La sto annoiando?Posso raccontarle perchè ho così tanta voglia di raccontarle?
Lo fissai per un pò,sorrisi anche mi sembra,con la bocca storta,senza dire niente.Stavo pensando che avevo voglia di ascoltarlo.Quale consiglio però pensava di darmi?La presunzione mi fece desiderare che non mi dicesse proprio nulla.
Restai in bilico ancora qualche minuto(o forse solo secondi) tra queste due sensazioni opposte,cercando di capire quale la mia pelle ricercasse di più.
Lui prese a raccontare.Evidentemente il mio viso era stato più chiaro di tutti i miei pensieri.
mercoledì, ottobre 18, 2006
METTI UNA MATTINA DAVANTI AL COMPUTER...
"Merecer la vida es erguirse vertical"
Mercedes Sosa
Metti di trovarti una mattina davanti al tuo computer e di avere qualche ora per scrivere un articolo per un giornale dove ti hanno appena "assunta".Metti che hai dei nuovi occhiali per non stancarti troppo mentre leggi e scrivi e tu non hai mai portato degli occhiali.Ti sbirci nel vetro della credenza e questo nuovo accessorio e il rumore del caffè che sta per uscire e i tuoi appunti sparsi sul tavolo ti fanno sentire come se fossi proprio tu in quel momento,perfetta nel fare quello che stai facendo,ti percepisci con una forza che da tempo mancava.
Per molto tempo fu più tangibile la sensazione di non sentire i confini del mio corpo e di non gestire spontaneamente neanche i movimenti più piccoli e quotidiani delle mani e braccia e testa.
Metti che ti stai simpatica con questi occhiali e il tuo computer:è un'immagine dolce e buffa,ed in quel momento pensi davvero che ti meriti tante sorprese divertenti dalle tue giornate.
Metti anche che comincia a fare freddo,ma la finestra vuoi proprio che resti aperta perchè poi la sensazione di stare sotto al piumone a leggere sarà ancora più desiderata e necessaria.
Metti che il solito disco di Mercedes Sosa in questo momento sta dicendo che meritarsi la vita significa "erguirse vertical"e suona in un angolo della tua cucina invasa di sole pomeriggio-presto che da sempre è un momento del giorno di pausa.
Una pausa.Metti che non sei stanca,ma nel gioco che è lo scrivere con dei nuovi occhiali è prevista una pausa sigaretta.
Metti che qualcuno la sera prima,inaspettatamente ti ha parlato della sua abitudine a vivere"che non è la stessa cosa che vivere".
Metti un vecchio,solitario,che ti ha detto "Beata lei,che non ha mai ucciso nessuno".
Metti tutte queste cose insieme e ti accorgi che in fondo nella tua cucina non si scrive poi così male.
Mercedes Sosa
Metti di trovarti una mattina davanti al tuo computer e di avere qualche ora per scrivere un articolo per un giornale dove ti hanno appena "assunta".Metti che hai dei nuovi occhiali per non stancarti troppo mentre leggi e scrivi e tu non hai mai portato degli occhiali.Ti sbirci nel vetro della credenza e questo nuovo accessorio e il rumore del caffè che sta per uscire e i tuoi appunti sparsi sul tavolo ti fanno sentire come se fossi proprio tu in quel momento,perfetta nel fare quello che stai facendo,ti percepisci con una forza che da tempo mancava.
Per molto tempo fu più tangibile la sensazione di non sentire i confini del mio corpo e di non gestire spontaneamente neanche i movimenti più piccoli e quotidiani delle mani e braccia e testa.
Metti che ti stai simpatica con questi occhiali e il tuo computer:è un'immagine dolce e buffa,ed in quel momento pensi davvero che ti meriti tante sorprese divertenti dalle tue giornate.
Metti anche che comincia a fare freddo,ma la finestra vuoi proprio che resti aperta perchè poi la sensazione di stare sotto al piumone a leggere sarà ancora più desiderata e necessaria.
Metti che il solito disco di Mercedes Sosa in questo momento sta dicendo che meritarsi la vita significa "erguirse vertical"e suona in un angolo della tua cucina invasa di sole pomeriggio-presto che da sempre è un momento del giorno di pausa.
Una pausa.Metti che non sei stanca,ma nel gioco che è lo scrivere con dei nuovi occhiali è prevista una pausa sigaretta.
Metti che qualcuno la sera prima,inaspettatamente ti ha parlato della sua abitudine a vivere"che non è la stessa cosa che vivere".
Metti un vecchio,solitario,che ti ha detto "Beata lei,che non ha mai ucciso nessuno".
Metti tutte queste cose insieme e ti accorgi che in fondo nella tua cucina non si scrive poi così male.
lunedì, ottobre 09, 2006
SOLITARIO(#1)
"Dov'eri tu quando le stelle del mattino gioivano in coro?"
C.Raimo
Erano sempre le prime serate di lavoro.Cominciò in quel periodo a frequentare il caffè un signore.Anziano,non saprei dire quanto.Sono sicura che se mi dicesse l'età rimarrei stupita.Almeno per qualche secondo.Penserei sicuramente che dimostra molti più anni di quelli che ha in realtà.
Cominciò a venire ogni domenica sera.Lo fa tutt'ora.
Vennè da solo la prima volta.Abitudine cui è rimasto fedele.
Entrò camminando lentamente.Notai che era altissimo e molto magro.Indossava ei pantaloni beige,una camicia a quadri blu e bianchi.Il volto era scavato e gli occhiali tondi.Nella tasca del pantalone aveva sempre un quotidiano sgualcito,di cui riuscivo a leggere solo le prime tre lettere "Day...".Pensai che poteva essere straniero,ne aveva l'aria.Camminava forse per l'altezza lievemente inclinato verso destra,la testa soprattutto.Quasi poggiava sulla spalla.
Restava in questa posizione anche quando si avvicinava al bancone e mi chiedeva un bicchiere di vino bianco.Gli elencavo quelli alla mescita,ma lui prendevo sempre e solo il Traminer.
Afferrava il calice e sempre lentamente si avviava al primo tavolino fuori,si siedeva senza neanche togliere il giornale dalla tasca e restava in silenzio.Beveva veloce,poi guardava la strada senza distogliere un attimo lo sguardo.Il telefono non ricordo di averglielo mai visto.
Solitamente dopo dieci minuti rientrava e mi chiedeva un altro bicchiere,sempre senza sorridere.Pagava e tornava fuori.Questa volta per restarci almeno fino a chiusura.Riportava sempre il bicchiere dentro,mi guardava appena poi si voltava e sussurrava un "buonaserata".
Una volta mi sorrise,ma non ricordo se avessi detto o fatto qualche cosa di buffo.Mi sorrise e basta.Poi andò via come sempre.
Non c'è domenica che io non abbia voglia di sedermi lì,bermi un caffè e poi rientrare.Senza dire necessariamente qualcosa.Non lo faccio mai.Non lo feci allora e continuo a non decidermi a spostarmi dal mio bancone e sedermi vicino a lui.Ed ogni volta,dopo,mi sento tristissima.
Come quella sera riesco solo a guardare attraverso la finestra e controllare che sia ancora lì.Non riesco a non farlo,anche se il caffè è pieno,anche se qualcuno davanti a me sta litigando o raccontando qualcosa in attesa di un mio sguardo che mostri interesse.Ha sempre l'esclusiva della mia attenzione.
Il desiderio di avvicinarmi a lui lo avverto sempre.E credo che una sera di queste lo farò.
C.Raimo
Erano sempre le prime serate di lavoro.Cominciò in quel periodo a frequentare il caffè un signore.Anziano,non saprei dire quanto.Sono sicura che se mi dicesse l'età rimarrei stupita.Almeno per qualche secondo.Penserei sicuramente che dimostra molti più anni di quelli che ha in realtà.
Cominciò a venire ogni domenica sera.Lo fa tutt'ora.
Vennè da solo la prima volta.Abitudine cui è rimasto fedele.
Entrò camminando lentamente.Notai che era altissimo e molto magro.Indossava ei pantaloni beige,una camicia a quadri blu e bianchi.Il volto era scavato e gli occhiali tondi.Nella tasca del pantalone aveva sempre un quotidiano sgualcito,di cui riuscivo a leggere solo le prime tre lettere "Day...".Pensai che poteva essere straniero,ne aveva l'aria.Camminava forse per l'altezza lievemente inclinato verso destra,la testa soprattutto.Quasi poggiava sulla spalla.
Restava in questa posizione anche quando si avvicinava al bancone e mi chiedeva un bicchiere di vino bianco.Gli elencavo quelli alla mescita,ma lui prendevo sempre e solo il Traminer.
Afferrava il calice e sempre lentamente si avviava al primo tavolino fuori,si siedeva senza neanche togliere il giornale dalla tasca e restava in silenzio.Beveva veloce,poi guardava la strada senza distogliere un attimo lo sguardo.Il telefono non ricordo di averglielo mai visto.
Solitamente dopo dieci minuti rientrava e mi chiedeva un altro bicchiere,sempre senza sorridere.Pagava e tornava fuori.Questa volta per restarci almeno fino a chiusura.Riportava sempre il bicchiere dentro,mi guardava appena poi si voltava e sussurrava un "buonaserata".
Una volta mi sorrise,ma non ricordo se avessi detto o fatto qualche cosa di buffo.Mi sorrise e basta.Poi andò via come sempre.
Non c'è domenica che io non abbia voglia di sedermi lì,bermi un caffè e poi rientrare.Senza dire necessariamente qualcosa.Non lo faccio mai.Non lo feci allora e continuo a non decidermi a spostarmi dal mio bancone e sedermi vicino a lui.Ed ogni volta,dopo,mi sento tristissima.
Come quella sera riesco solo a guardare attraverso la finestra e controllare che sia ancora lì.Non riesco a non farlo,anche se il caffè è pieno,anche se qualcuno davanti a me sta litigando o raccontando qualcosa in attesa di un mio sguardo che mostri interesse.Ha sempre l'esclusiva della mia attenzione.
Il desiderio di avvicinarmi a lui lo avverto sempre.E credo che una sera di queste lo farò.
venerdì, ottobre 06, 2006
COME FOSSE SCRITTO
"Se prima di ogni nostro atto ci mettessimo a prevedere tutte le conseguenze,a considerarle seriamente,anzitutto quelle immediate,poi le probabili,poi le possibili,poi le immaginabili,non arriveremmo neanche a muoverci dal punto cui ci avrebbe fatto fermare il primo pensiero.I buoni e i cattivi risultati delle nostre parole e delle nostre azioni si vanno distribuendo presumibilmente in modo alquanto uniforme ed equilibrato,in tutti i giorni del futuro,compresi quelli,infiniti,in cui non saremo più qui per poter confermare,per congratularci o chiedere perdono".
Josè Saramago
Sembrava sabato mattina.O forse domenica.Sarà stato per lo sciopero dei mezzi,ma per la strada non c'era nessuno.Ed i negozi erano tutti chiusi.Non ricordo se fosse festa.Ripensandoci oggi credo di no.La cucina era bianchissima,pulita dalla sera prima meticolosamente.
Misi la macchinetta del caffè sul fuoco.Già dopo pochi secondi cominciava col suo rumore classico che fa quando il caffè è pronto per uscire.
Mi ricordò quello di una barchetta che arriva in porto a motore spento.
Quello fu il giorno in cui mi arrivò la proposta di dividere l'appartamento.Non conoscevo bene i ragazzi,erano amici di amici di tante serate incrociate,sbirciate,condivise inconsapevolmente.
L'appuntamento era in un bar vicino la zona dove avevano sentito di una casa in affitto per quattro persone.Loro erano tre,mancava l'ultimo coinquilino.Avevano sentito che cercavo casa.
Credo che in momenti come quel giorno in realtà l'immobilità che sembra invadere tutto ce l'hai dentro.Ti fermi.Un attimo.Ti siedi.Come se ti mettessi in ascolto,come se avessi posto una domanda a qualcuno.Aspetti che qualcuno ti risponda.
Quand'è che avevo deciso di andare a vivere da sola?Non ricordavo neanche più l'istante preciso,tanto la decisione era radicata in me.Ci sono cose che sai,che senti.Impensabili che non siano così.Al liceo lo sapevo,sapevo che sarei andata via presto.Poi lui,anni di convivenza non dichiarata,anni di fuga da una casa all'altra.Una parentesi lunghissima.Ma solo una parentesi.
Giusto il tempo di capire e di raccogliere quel tanto di forza da poter smettere di pensare lo faccio?
Il tempo di rispondere ad una telefonata ed accettare una proposta.La prima.
Se mi capita di ripensare a quel giorno ancora oggi devo fermare tutto e sedermi.
La sensazione fu di placida inevitabilità.Non provai entusiasmo,non un pizzico di eccitazione.
Fu così.Accettai di andare via perchè sapevo da anni che sarebbe successo.
Ancora oggi,se mi concentro,ricordo perfettamente la sensazione fisica.Tutto il petto era come compresso,solo a metà,come fosse diviso in due parti uguali,avvertivo come un passaggio d'aria più forte del solito.Man mano sentivo allargarsi e diminuirsi questo condotto.Se si ingrandiva,il battito accellerava velocissimo.Altrimenti restava la quiete.Diffusa in tutto il corpo.
Restai ferma non so quanti minuti.Alcune volte sentii una spinta vaga.Sembrava bloccarmi l'idea che quella decisione era presa da tempo.Come se,invece di liberarmi,mi imprigionasse più stretta.Allora il respiro si ingrandiva ed il battito aumentava.Come tutto fosse già scelto,deciso.
Non posso fare altro.Era scritto che io prendessi una decisione del genere.Scritto da tempo.
Tutti questi anni solo per arrivare a questo momento.
Allora il petto prendeva a battere in modo incredibile.Poi,senza un motivo apparente,dopo una serie di spaccati di persone,luoghi,momenti della mia vita che in un secondo riempivano la mia testa,il respiro cominciava a rientrare nel suo condotto.Il battito si normalizzava.
Mi rividi nel momento in cui dissi si alla proposta.Mi vidi in quell'istante,seduta in cucina ad aspettare il caffè.Immobile.Tutto quello che avevo fatto si,era per arrivare a quel momento.Ma ci ero arrivata io e le possibilità che questo non accadesse erano infinite.Era successo perchè mai ho creduto che non fosse possibile.Era scritto nei miei desideri,non era scritto nelle persone,scelte,luoghi che avevo avuto intorno fino a quel momento.Era scritto nel senso che io avevo disegnato una mappa nella quale ci sarebbe stata questa decisione.E tutto quello che mi aveva portato fin lì era tutto accuratamente scelto.Non era capitato nulla per caso.Non perchè fosse tutto già deciso.
Quel giorno mi accorsi che facevo fatica a credere che il caso non esiste,nessun destino,ripetei più volte,è deciso da nessuna parte.Esiste solo quello che profondamente vuoi.
Dovetti in seguito pensare molte volte a questo "caso".Fu difficile ammetterlo che se vuoi le cose succedono davvero.
Proprio come tu avevi scritto.
Josè Saramago
Sembrava sabato mattina.O forse domenica.Sarà stato per lo sciopero dei mezzi,ma per la strada non c'era nessuno.Ed i negozi erano tutti chiusi.Non ricordo se fosse festa.Ripensandoci oggi credo di no.La cucina era bianchissima,pulita dalla sera prima meticolosamente.
Misi la macchinetta del caffè sul fuoco.Già dopo pochi secondi cominciava col suo rumore classico che fa quando il caffè è pronto per uscire.
Mi ricordò quello di una barchetta che arriva in porto a motore spento.
Quello fu il giorno in cui mi arrivò la proposta di dividere l'appartamento.Non conoscevo bene i ragazzi,erano amici di amici di tante serate incrociate,sbirciate,condivise inconsapevolmente.
L'appuntamento era in un bar vicino la zona dove avevano sentito di una casa in affitto per quattro persone.Loro erano tre,mancava l'ultimo coinquilino.Avevano sentito che cercavo casa.
Credo che in momenti come quel giorno in realtà l'immobilità che sembra invadere tutto ce l'hai dentro.Ti fermi.Un attimo.Ti siedi.Come se ti mettessi in ascolto,come se avessi posto una domanda a qualcuno.Aspetti che qualcuno ti risponda.
Quand'è che avevo deciso di andare a vivere da sola?Non ricordavo neanche più l'istante preciso,tanto la decisione era radicata in me.Ci sono cose che sai,che senti.Impensabili che non siano così.Al liceo lo sapevo,sapevo che sarei andata via presto.Poi lui,anni di convivenza non dichiarata,anni di fuga da una casa all'altra.Una parentesi lunghissima.Ma solo una parentesi.
Giusto il tempo di capire e di raccogliere quel tanto di forza da poter smettere di pensare lo faccio?
Il tempo di rispondere ad una telefonata ed accettare una proposta.La prima.
Se mi capita di ripensare a quel giorno ancora oggi devo fermare tutto e sedermi.
La sensazione fu di placida inevitabilità.Non provai entusiasmo,non un pizzico di eccitazione.
Fu così.Accettai di andare via perchè sapevo da anni che sarebbe successo.
Ancora oggi,se mi concentro,ricordo perfettamente la sensazione fisica.Tutto il petto era come compresso,solo a metà,come fosse diviso in due parti uguali,avvertivo come un passaggio d'aria più forte del solito.Man mano sentivo allargarsi e diminuirsi questo condotto.Se si ingrandiva,il battito accellerava velocissimo.Altrimenti restava la quiete.Diffusa in tutto il corpo.
Restai ferma non so quanti minuti.Alcune volte sentii una spinta vaga.Sembrava bloccarmi l'idea che quella decisione era presa da tempo.Come se,invece di liberarmi,mi imprigionasse più stretta.Allora il respiro si ingrandiva ed il battito aumentava.Come tutto fosse già scelto,deciso.
Non posso fare altro.Era scritto che io prendessi una decisione del genere.Scritto da tempo.
Tutti questi anni solo per arrivare a questo momento.
Allora il petto prendeva a battere in modo incredibile.Poi,senza un motivo apparente,dopo una serie di spaccati di persone,luoghi,momenti della mia vita che in un secondo riempivano la mia testa,il respiro cominciava a rientrare nel suo condotto.Il battito si normalizzava.
Mi rividi nel momento in cui dissi si alla proposta.Mi vidi in quell'istante,seduta in cucina ad aspettare il caffè.Immobile.Tutto quello che avevo fatto si,era per arrivare a quel momento.Ma ci ero arrivata io e le possibilità che questo non accadesse erano infinite.Era successo perchè mai ho creduto che non fosse possibile.Era scritto nei miei desideri,non era scritto nelle persone,scelte,luoghi che avevo avuto intorno fino a quel momento.Era scritto nel senso che io avevo disegnato una mappa nella quale ci sarebbe stata questa decisione.E tutto quello che mi aveva portato fin lì era tutto accuratamente scelto.Non era capitato nulla per caso.Non perchè fosse tutto già deciso.
Quel giorno mi accorsi che facevo fatica a credere che il caso non esiste,nessun destino,ripetei più volte,è deciso da nessuna parte.Esiste solo quello che profondamente vuoi.
Dovetti in seguito pensare molte volte a questo "caso".Fu difficile ammetterlo che se vuoi le cose succedono davvero.
Proprio come tu avevi scritto.
mercoledì, ottobre 04, 2006
NON È DISPERATAMENTE BUFFO?(una storia#2)
Aspettai la reazione sul cocktail.Non battè ciglio.Mi poggiai alla macchina del caffè alle mie spalle.Lei finì tutto il cocktail poi stette in silenzio.Mi guardò.
"Sono solo una ragazza,che sta chiedendo ad un ragazzo di amarla e di stare con lei.Cosa c'è di così complicato?Cosa può esserci di così...sbagliato?Io non credo si possa amare senza essere corrisposti,è una cosa che proprio non riesco a capire.Se mi sono innamorata di una persona e perchè inevitabilmente anche questa persona mi ama?Tu non lo trovi quasi banale per quanto è semplice questo concetto?Voglio dire..sono stata via per tre anni,in Spagna,ho studiato architettura,ho trovato quello che cercavo...mi sono vista capisci la sensazione?Sono tornata qui ed ho capito che probabilmente io prima non potevo proprio amare qualcuno,non ne ero in grado.Non è la cosa più difficile del mondo?Insomma,se non sai chi diavolo sei tu come puoi sperare di darti a qualcuno?Ecco io li ho fatti i miei errori,ero una sorta di piccolo pezzo di ghiaccio.No,certo,non è che me ne rendessi conto,però lo ero...ed è stato peggio.Pensare che non ti innamori per casualità,per incontri mancati,puoi andare avanti anni dicendotelo,invece non è così.Se non ci si innamora c'è qualcosa che non va giusto?Ecco io avevo messo tutti i miei piccoli pezzi a posto quando sono tornata.Ed ho rivisto,ho visto forse...per la prima volta questa persona che mi amava,da anni.Diavolo sono dieci anni...dieci.Ci consociamo da così tanto e so che mi ha amato sempre.Lo so.Ero io a non essere in grado di vedere,di accettare...poi torno,e non so sai le intuizioni?Ho sentito che era lui.Era lui e mi sono sentita così forte da dire,ma si,perchè no,riprovo.Gli ripiombo nella sua vita e gli chiedo se per favore può continuare ad amarmi.E pensi che lui non lo abbia fatto?L'ho corteggiato per mesi,ho lottato contro ogni resistenza poteva oppormi,ad ogni freddezza insistevo di più...ho richiamato all'ordine tutta una seri di ricordi e momenti e...capito una sorta di garanzia?Non l'avrei mai e poi mai fatto se non avessi sentito che anche lui in fondo...ancora.Sta con un'altra.Da un anno.Cosa mi ha detto?Che ha scelto la serenità,la tranquillità...cazzo,scusa mi fai un altro cocktail?si si quello...cosa mi stai dicendo?che hai rinunciato alle emozioni?che ti sei scelto questa vita di non troppo,non poco...così,un'ovattata...davvero.Non posso crederci.
Una notte,c'è stata una notte in cui ha lasciato,ha lasciato perdere tutto e mi ha detto che era innamorato.Così innamorato da odiarmi per essere scappata,per non averlo visto tutto questo tempo...e vaffanculo,io ti amo.Così mi ha detto.Poi solo poche ore dopo una mail.Un vero suicidio emotivo ecco quello che mi ha confessato,un suicidio.Tornava sui suoi passi.Non posso lasciare correre capisci?Su questo non posso proprio.Sarebbe facile,ma sento che non devo.Eppure.C'è un attimo in cui secondo me si può scegliere per un destino o un altro,per una vita o un'altra.Io ho deciso che è lui.Come può non accettarlo?Questo amore non è soltanto mio,non è soltanto mio...
Sai qual'è il problema?Secondo me la gente si caga sotto.Davvero.La gente è incapace di comunicare.Incapace di accettare che esistono anche cose belle,per cui vale la pena,per cui si può andare per strada a testa alta.Ha paura di sentire.Di guardare.Ha paura di farsi conoscere e conoscere.Di vivere.Che poi è l'unica ragione per cui siamo su questa terra...non è disperatamente buffo?La gente è incapace di accettare la felicità...non è disperatamente buffo?
Pensai quella sera che no,non era soltanto suo quell'amore e che si,era tutto disperatamente buffo.Quella sera la lasciai andare via senza chiederle niente.
Altrimenti si muore?Le storie vanno dimenticate o così,o altrimenti si muore?
Avvertii una vertigine fortissima,dovetti sedermi un attimo.
"Sono solo una ragazza,che sta chiedendo ad un ragazzo di amarla e di stare con lei.Cosa c'è di così complicato?Cosa può esserci di così...sbagliato?Io non credo si possa amare senza essere corrisposti,è una cosa che proprio non riesco a capire.Se mi sono innamorata di una persona e perchè inevitabilmente anche questa persona mi ama?Tu non lo trovi quasi banale per quanto è semplice questo concetto?Voglio dire..sono stata via per tre anni,in Spagna,ho studiato architettura,ho trovato quello che cercavo...mi sono vista capisci la sensazione?Sono tornata qui ed ho capito che probabilmente io prima non potevo proprio amare qualcuno,non ne ero in grado.Non è la cosa più difficile del mondo?Insomma,se non sai chi diavolo sei tu come puoi sperare di darti a qualcuno?Ecco io li ho fatti i miei errori,ero una sorta di piccolo pezzo di ghiaccio.No,certo,non è che me ne rendessi conto,però lo ero...ed è stato peggio.Pensare che non ti innamori per casualità,per incontri mancati,puoi andare avanti anni dicendotelo,invece non è così.Se non ci si innamora c'è qualcosa che non va giusto?Ecco io avevo messo tutti i miei piccoli pezzi a posto quando sono tornata.Ed ho rivisto,ho visto forse...per la prima volta questa persona che mi amava,da anni.Diavolo sono dieci anni...dieci.Ci consociamo da così tanto e so che mi ha amato sempre.Lo so.Ero io a non essere in grado di vedere,di accettare...poi torno,e non so sai le intuizioni?Ho sentito che era lui.Era lui e mi sono sentita così forte da dire,ma si,perchè no,riprovo.Gli ripiombo nella sua vita e gli chiedo se per favore può continuare ad amarmi.E pensi che lui non lo abbia fatto?L'ho corteggiato per mesi,ho lottato contro ogni resistenza poteva oppormi,ad ogni freddezza insistevo di più...ho richiamato all'ordine tutta una seri di ricordi e momenti e...capito una sorta di garanzia?Non l'avrei mai e poi mai fatto se non avessi sentito che anche lui in fondo...ancora.Sta con un'altra.Da un anno.Cosa mi ha detto?Che ha scelto la serenità,la tranquillità...cazzo,scusa mi fai un altro cocktail?si si quello...cosa mi stai dicendo?che hai rinunciato alle emozioni?che ti sei scelto questa vita di non troppo,non poco...così,un'ovattata...davvero.Non posso crederci.
Una notte,c'è stata una notte in cui ha lasciato,ha lasciato perdere tutto e mi ha detto che era innamorato.Così innamorato da odiarmi per essere scappata,per non averlo visto tutto questo tempo...e vaffanculo,io ti amo.Così mi ha detto.Poi solo poche ore dopo una mail.Un vero suicidio emotivo ecco quello che mi ha confessato,un suicidio.Tornava sui suoi passi.Non posso lasciare correre capisci?Su questo non posso proprio.Sarebbe facile,ma sento che non devo.Eppure.C'è un attimo in cui secondo me si può scegliere per un destino o un altro,per una vita o un'altra.Io ho deciso che è lui.Come può non accettarlo?Questo amore non è soltanto mio,non è soltanto mio...
Sai qual'è il problema?Secondo me la gente si caga sotto.Davvero.La gente è incapace di comunicare.Incapace di accettare che esistono anche cose belle,per cui vale la pena,per cui si può andare per strada a testa alta.Ha paura di sentire.Di guardare.Ha paura di farsi conoscere e conoscere.Di vivere.Che poi è l'unica ragione per cui siamo su questa terra...non è disperatamente buffo?La gente è incapace di accettare la felicità...non è disperatamente buffo?
Pensai quella sera che no,non era soltanto suo quell'amore e che si,era tutto disperatamente buffo.Quella sera la lasciai andare via senza chiederle niente.
Altrimenti si muore?Le storie vanno dimenticate o così,o altrimenti si muore?
Avvertii una vertigine fortissima,dovetti sedermi un attimo.
UNA STORIA(#1)
Come è possibile che qualcuno stia già aspettando per entrare?Pensai ingenuamente appena arrivai al caffè quel pomeriggio.Mi sentii stupida.Ricollegai in un istante tutte le rassicurazioni dei proprietari ed improvvisamente mi sembrò folle che avessero lasciato me sola a lavorare quella sera.Io,che non avevo neanche mai aperto quella saracinesca.
Dissi alla ragazza che aspettava di lasciarmi mezz'ora,giusto per sistemare dentro.
Strano il caffè vuoto.Silenzioso.Solo la macchina dei caffè e i frigoriferi che lavoravano senza sosta.
Scesi i tre scalini,posai casco e borsa e cominciai a fare tutto quello che mi avevano lasciato scritto sulla cassa.
Che disco ci ascoltiamo per questa prima serata al cafè-gnu?Direi Coltrane con J.Hartman,poi eventualmente Kind of Blue di Miles.Fu il principio delle mie storie,inauguriamo il tutto con i primi dischi di jazz che ascoltai.Il caffè di sera poi ha questa vaga atmosfera newyorkese anni trenta...si,è la musica adatta per giocare un pò.
Effettivamente mi sembrava di giocare un pò.Sapete quando da bambini entrate in una casa che non è la vostra e per qualche ragione i proprietari non ci sono e vi è concesso di sbirciare e fare finta che sia un pò vostra?Fate un pò finta di diventare...altro.Immaginate le persone che ci vivono e un pò vi immedesimate.
Ecco,provai la stessa sensazione.
Accendevo le candele sui tavolini,sistemavo le bottiglie di vino,sceglievo il disco da ascoltare.Vagavo un pò tra cucina e dispensa e mi sentivo la libertà addosso di fare qualsiasi cosa,ma sempre con una punta di attenzione.Come fosse una piccola violazione.Come se non mi fosse totalmente concesso essere lì.
Feci tutto con la sicurezza che quei gesti sarebbero presto diventati familiari,ma la sensazione di essere entrata in casa d'altri ce l'avevo sempre addosso.Come se da un momento all'altro qualcuno potesse entrare.
Pensate di poter entrare nella cucina di un ristorante chiuso.Magari di notte.Era eccitante.
Fu davvero come giocare,mi sentii ridicola più volte e più volte passando davanti lo specchio scoppiai a ridere.Come trovai tutto così divertente ancora oggi non me lo spiego molto.
Sembrava di essere entrati in una piccola scena di teatro,scegliere quella musica ed accendere solo le candele facevano parte della messinscena.Fu scrollarsi di dosso la solita immagine che si ha di sè,quel giorno per giunta era anche un'immagine antipatica.
Facciamo New York?Anni trenta?E scoppiavo a ridere.Fortuna che le saracinesche non le avevo ancora alzate.
Mi sentii molto serena.Non trovo altre parole per descriverlo.Ero lì,sorridevo e facevo semplicemente quello che sentivo e volevo fare.
Mi fermai un secondo prima di aprire la porta e fare entrare la ragazza.Tirai giù un sospiro,mi versai un bicchiere di vino rosso ed aprii la porta.
Diciamo che ci misi un pò a capire quello che successe allora.La ragazza entrò,fece qualche complimento sull'architettura del locale dicendomi che lei era architetto e lavorava lì vicino.Un caffè?Ma si credo prenderò un caffè.Si sedette al bancone.
Avvenne giusto in quei trenta secondi che ci misi a voltarmi e cambiare canzone.
Round midnight suonata da Chet Baker.
"Ti prego.Non quella canzone.Non quella canzone".
Mi voltai e la ragazza piangeva.Continuai a fissarla senza sapere bene che fare.Si era poggiata al bancone,riuscivo a vedere solo i ricci neri che le coprivano tutto il viso.Si tolse gli occhiali e l'unica cosa che riuscii a pensare è che aveva due occhi verdi bellissimi.
Poi le lacrime.Solo lacrime.
"Scusa,senti invece del caffè,un cocktail,uno qualsiasi".
Sgranai gli occhi.Un cocktail.Uno qualsiasi.Non mi sembrava reale quella situazione.Pensai di nascondere meglio che potevo la mia espressione allibita,che sentivo già delinearsi sul mio viso.
Cosa potevo prepararle?E come?Mi stavo agitando.Era anche cambiata canzone,ma le lacrime non smettevano di scendere.
Non era la canzone.Ormai aveva aperto qualcosa,aveva lasciato andare e non sarebbe certo bastato cambiare disco.Si trovava ora in chissà che giorno,luogo,ora della sua vita e non ne sarebbe uscita con un fazzoletto per asciugarsi gli occhi.
In quel momento la capii,non sapevo nulla,ma la capii.Continuai a guardarla e chissà che vidi in lei.Mi sembrò in quell'istante di vivere con lei,di sentirla.In un momento si abbassarono tutte le barriere,tutte le estraneità e come fosse la cosa più naturale le chiesi di raccontare,mentre io le preparavo il cocktail.Qualcosa di dolce,con la fragola e forte,proviamo vodka e tonica?
Improvvisamente mi sentii padrona di tutto ciò che avevo intorno,sicura di ogni gesto e sguardo che le rivolgevo.
"Ti sei mai innamorata?".Mi chiese.
Oddio.
Dissi alla ragazza che aspettava di lasciarmi mezz'ora,giusto per sistemare dentro.
Strano il caffè vuoto.Silenzioso.Solo la macchina dei caffè e i frigoriferi che lavoravano senza sosta.
Scesi i tre scalini,posai casco e borsa e cominciai a fare tutto quello che mi avevano lasciato scritto sulla cassa.
Che disco ci ascoltiamo per questa prima serata al cafè-gnu?Direi Coltrane con J.Hartman,poi eventualmente Kind of Blue di Miles.Fu il principio delle mie storie,inauguriamo il tutto con i primi dischi di jazz che ascoltai.Il caffè di sera poi ha questa vaga atmosfera newyorkese anni trenta...si,è la musica adatta per giocare un pò.
Effettivamente mi sembrava di giocare un pò.Sapete quando da bambini entrate in una casa che non è la vostra e per qualche ragione i proprietari non ci sono e vi è concesso di sbirciare e fare finta che sia un pò vostra?Fate un pò finta di diventare...altro.Immaginate le persone che ci vivono e un pò vi immedesimate.
Ecco,provai la stessa sensazione.
Accendevo le candele sui tavolini,sistemavo le bottiglie di vino,sceglievo il disco da ascoltare.Vagavo un pò tra cucina e dispensa e mi sentivo la libertà addosso di fare qualsiasi cosa,ma sempre con una punta di attenzione.Come fosse una piccola violazione.Come se non mi fosse totalmente concesso essere lì.
Feci tutto con la sicurezza che quei gesti sarebbero presto diventati familiari,ma la sensazione di essere entrata in casa d'altri ce l'avevo sempre addosso.Come se da un momento all'altro qualcuno potesse entrare.
Pensate di poter entrare nella cucina di un ristorante chiuso.Magari di notte.Era eccitante.
Fu davvero come giocare,mi sentii ridicola più volte e più volte passando davanti lo specchio scoppiai a ridere.Come trovai tutto così divertente ancora oggi non me lo spiego molto.
Sembrava di essere entrati in una piccola scena di teatro,scegliere quella musica ed accendere solo le candele facevano parte della messinscena.Fu scrollarsi di dosso la solita immagine che si ha di sè,quel giorno per giunta era anche un'immagine antipatica.
Facciamo New York?Anni trenta?E scoppiavo a ridere.Fortuna che le saracinesche non le avevo ancora alzate.
Mi sentii molto serena.Non trovo altre parole per descriverlo.Ero lì,sorridevo e facevo semplicemente quello che sentivo e volevo fare.
Mi fermai un secondo prima di aprire la porta e fare entrare la ragazza.Tirai giù un sospiro,mi versai un bicchiere di vino rosso ed aprii la porta.
Diciamo che ci misi un pò a capire quello che successe allora.La ragazza entrò,fece qualche complimento sull'architettura del locale dicendomi che lei era architetto e lavorava lì vicino.Un caffè?Ma si credo prenderò un caffè.Si sedette al bancone.
Avvenne giusto in quei trenta secondi che ci misi a voltarmi e cambiare canzone.
Round midnight suonata da Chet Baker.
"Ti prego.Non quella canzone.Non quella canzone".
Mi voltai e la ragazza piangeva.Continuai a fissarla senza sapere bene che fare.Si era poggiata al bancone,riuscivo a vedere solo i ricci neri che le coprivano tutto il viso.Si tolse gli occhiali e l'unica cosa che riuscii a pensare è che aveva due occhi verdi bellissimi.
Poi le lacrime.Solo lacrime.
"Scusa,senti invece del caffè,un cocktail,uno qualsiasi".
Sgranai gli occhi.Un cocktail.Uno qualsiasi.Non mi sembrava reale quella situazione.Pensai di nascondere meglio che potevo la mia espressione allibita,che sentivo già delinearsi sul mio viso.
Cosa potevo prepararle?E come?Mi stavo agitando.Era anche cambiata canzone,ma le lacrime non smettevano di scendere.
Non era la canzone.Ormai aveva aperto qualcosa,aveva lasciato andare e non sarebbe certo bastato cambiare disco.Si trovava ora in chissà che giorno,luogo,ora della sua vita e non ne sarebbe uscita con un fazzoletto per asciugarsi gli occhi.
In quel momento la capii,non sapevo nulla,ma la capii.Continuai a guardarla e chissà che vidi in lei.Mi sembrò in quell'istante di vivere con lei,di sentirla.In un momento si abbassarono tutte le barriere,tutte le estraneità e come fosse la cosa più naturale le chiesi di raccontare,mentre io le preparavo il cocktail.Qualcosa di dolce,con la fragola e forte,proviamo vodka e tonica?
Improvvisamente mi sentii padrona di tutto ciò che avevo intorno,sicura di ogni gesto e sguardo che le rivolgevo.
"Ti sei mai innamorata?".Mi chiese.
Oddio.
martedì, ottobre 03, 2006
FORSE UN'INTUIZIONE
Il giorno dopo la festa mi svegliai tardi ed ancora alquanto stranita.Mi guardai allo specchio,prima di fare il caffè,cosa che solitamente non avveniva.Avevo delle occhiaie spaventose.Anche quella era una novità.Il gatto non venne a salutarmi come al solito.
La giornata prometteva bene.Ben tre "fuori programma".Ed eravamo solo all'inizio.
Cominciavo a starmi antipatica.Avevo quattro ore libere,poi sarei andata al caffè.Prima giornata di lavoro da barman.Ovviamente avevo mentito spudoratamente.Non sapevo neanche come si facesse un gin lemon,la mia adolescenza aveva conosciuto solo birra,vino alle volte.
Scesi a prendere il giornale degli affitti e lessi senza vera concentrazione.Che cercavo?Una stanza?Un appartamento per due?Certo e l'altra persona come speravo di incontrarla?Magari uscendo di casa e scontrandomi per caso con qualcuno che aveva il mio stesso giornale?
Mi stetti ancora più antipatica.Però gli annunci...dio mio.Quel giorno scoprii che erano comici.Davvero.Per le cucine soprattutto:utilizzavano termini come cucinino,cucinotto,deliziosa-cucina-di-passaggio.
Cioè?Cosa dovevo aspettarmi?Un fornelletto da campeggio all'ingresso?
Ovviamente il gatto spuntò fuori ad un certo punto,perchè aveva fame.Salì sulla scrivania e rovesciò una scatola di foto.Quale poteva mai essere la prima foto che raccolsi da terra?
Il gatto quel giorno saltò casualmente un pasto.
Tornò anche mia madre dal lavoro.Arrivò tipo falco alle spalle.
"Che ci fai con quel giornale?Ma non è che vuoi andare via?".Lo disse con il tono cantilenante da bambina che sapeva benissimo procurarmi grande urto.
"No mamma,sai che adoro leggere gli annunci".Feci per andare via.
"Cretina".
Va bene,va bene,va bene.Ora ti vesti,infili la maglietta nera del caffè,prendi gli appunti sui cocktail e te ne vai a lavoro con un bell'anticipo.Così feci.Che ci ascoltiamo in motorino lungo il tragitto?Niente.Ascoltiamo il panico della città.
Quel giorno feci la cosa migliore che potessi fare.Mi mossi.Verso questo lavoro notturno che allora,anche se non lo ammettevo,mi incuriosiva non poco.
Non immaginai nemmeno,ovviamente,che la prima storia sarebbe stata lì ad aspettarmi al varco.Non immaginai che la ragazza che aspettava impaziente che aprisse il locale mi avrebbe raccontato una storia cui avrei pensato per notti e notti.Non immaginai che sarebbe stata solo la prima di una lunga serie che mi avrebbero ricordato che non vivevo sola in questo universo.E che sarebbero riuscite a farmi spostare il mio raggio di osservazione di non pochi punti di vista.
Non lo sapevo,ma forse in fondo ebbi un'intuizione.
Altrimenti non avrei corso così tanto con il motorino.
La giornata prometteva bene.Ben tre "fuori programma".Ed eravamo solo all'inizio.
Cominciavo a starmi antipatica.Avevo quattro ore libere,poi sarei andata al caffè.Prima giornata di lavoro da barman.Ovviamente avevo mentito spudoratamente.Non sapevo neanche come si facesse un gin lemon,la mia adolescenza aveva conosciuto solo birra,vino alle volte.
Scesi a prendere il giornale degli affitti e lessi senza vera concentrazione.Che cercavo?Una stanza?Un appartamento per due?Certo e l'altra persona come speravo di incontrarla?Magari uscendo di casa e scontrandomi per caso con qualcuno che aveva il mio stesso giornale?
Mi stetti ancora più antipatica.Però gli annunci...dio mio.Quel giorno scoprii che erano comici.Davvero.Per le cucine soprattutto:utilizzavano termini come cucinino,cucinotto,deliziosa-cucina-di-passaggio.
Cioè?Cosa dovevo aspettarmi?Un fornelletto da campeggio all'ingresso?
Ovviamente il gatto spuntò fuori ad un certo punto,perchè aveva fame.Salì sulla scrivania e rovesciò una scatola di foto.Quale poteva mai essere la prima foto che raccolsi da terra?
Il gatto quel giorno saltò casualmente un pasto.
Tornò anche mia madre dal lavoro.Arrivò tipo falco alle spalle.
"Che ci fai con quel giornale?Ma non è che vuoi andare via?".Lo disse con il tono cantilenante da bambina che sapeva benissimo procurarmi grande urto.
"No mamma,sai che adoro leggere gli annunci".Feci per andare via.
"Cretina".
Va bene,va bene,va bene.Ora ti vesti,infili la maglietta nera del caffè,prendi gli appunti sui cocktail e te ne vai a lavoro con un bell'anticipo.Così feci.Che ci ascoltiamo in motorino lungo il tragitto?Niente.Ascoltiamo il panico della città.
Quel giorno feci la cosa migliore che potessi fare.Mi mossi.Verso questo lavoro notturno che allora,anche se non lo ammettevo,mi incuriosiva non poco.
Non immaginai nemmeno,ovviamente,che la prima storia sarebbe stata lì ad aspettarmi al varco.Non immaginai che la ragazza che aspettava impaziente che aprisse il locale mi avrebbe raccontato una storia cui avrei pensato per notti e notti.Non immaginai che sarebbe stata solo la prima di una lunga serie che mi avrebbero ricordato che non vivevo sola in questo universo.E che sarebbero riuscite a farmi spostare il mio raggio di osservazione di non pochi punti di vista.
Non lo sapevo,ma forse in fondo ebbi un'intuizione.
Altrimenti non avrei corso così tanto con il motorino.
"NEL QUALE LE LACRIME SONO L'UNICO RIMEDIO CONTRO L'ODIO"
"Teardrop on the fire"
Massive Attack
La sensazione era quella di non vedere,sentire,toccare,odorare,assaggiare più niente.
Aveva tutto un tono abbastanza neutro.Cosa bevessi o chi avessi davanti quella sera non procurava la minima reazione in me.Ero semplicemente lì.Ci stavo,ma non avvertivo nessun movimento.
Registrai tutto quello che avevo intorno come dati di un elenco.Esistevano,punto.Erano presenti,niente di più.Non solo io mi sentivo ferma,ma credevo che nessuna cosa intorno a me avesse uno spessore.Tutto più o meno bidimensionale.
Riuscivo a parlare,bere,sorridere.Tagliare la torta,sistemare le candeline.Tutto.Sottile.Mi sentivo sottile e priva di gravità.Non controllavo nessuno sguardo o gesto.Avvenivano e passavano ed io non sentivo nulla.
Solo un martello pneumatico incessante dentro al petto.Parlavo con non ricordo chi ed ebbi paura ad un certo punto che potesse sentirlo.Lui c'era,nell'altra stanza a suonare con altre persone.Anche lui esisteva semplicemente,ma non aveva nessun impatto.
Lo cercai più volte con lo sguardo per osservarlo,ma l'unica cosa che riuscivo a pensare era:è lui.Nient altro.
Poi il petto mi fece quasi male,dovetti spegnere la sigaretta.Mi sedetti.
La fatica questa volta cominciava a farsi sentire.Non volevo che nessuno si avvicinasse,nè che mi parlasse,nè che mi chiedesse cosa stessi facendo.Non volevo che lui mi facesse qualche cenno gentile e freddo.Volevo stare solo lì.Seduta.
Quella sera non capii che quel martello era l'unica cosa che dovessi ascoltare.Che l'unica cosa cui aggrapparmi come vera era quel dolore diffuso tra lo stomaco e il seno.
Invece di continuare a dare le più svariate spiegazioni per quel dolore,dovevo solo lasciarlo stare.
Mi mentii e lo feci più volte.
Il freddo,le sigarette,lui,gli altri che sapevano e non dicevano.
La festa trascorse e io me ne andai solo quando visi lui prendere il cappotto.Automaticamente lo feci anche io.Credo che lo salutai anche abbastanza allegramente.
Presi il motorino e tornai verso casa.
Cominciai a sentire un'insofferenza verso tutte le persone che avevo avuto vicino durante la festa.Continuavo a sentire il petto ed in più respiravo a tratti brevissimi e veloci.
L'insofferenza,il fastidio diffuso crescevano.Mi sembrò allora che nessuno riuscisse davvero a comunicare con gli altri,che tutti fossero,chi più chi meno,piatti ed inutili.Che nulla delle loro parole o dei loro gesti fosse teso a significare qualcosa.
Anche quando fui stesa nel mio letto e spensi la luce la sensazione non mi abbandonò.
Se avessi capito allora che ero la prima a non amare ciò che vedevo intorno,forse non avrei accusato nessuno di non vedermi davvero,forse non avrei odiato così tanto.Odiato il fatto di non sentirmi,quella sera,amata da nessuno.
Le lacrime poi,quelle davvero non me le aspettavo,quella notte.
Massive Attack
La sensazione era quella di non vedere,sentire,toccare,odorare,assaggiare più niente.
Aveva tutto un tono abbastanza neutro.Cosa bevessi o chi avessi davanti quella sera non procurava la minima reazione in me.Ero semplicemente lì.Ci stavo,ma non avvertivo nessun movimento.
Registrai tutto quello che avevo intorno come dati di un elenco.Esistevano,punto.Erano presenti,niente di più.Non solo io mi sentivo ferma,ma credevo che nessuna cosa intorno a me avesse uno spessore.Tutto più o meno bidimensionale.
Riuscivo a parlare,bere,sorridere.Tagliare la torta,sistemare le candeline.Tutto.Sottile.Mi sentivo sottile e priva di gravità.Non controllavo nessuno sguardo o gesto.Avvenivano e passavano ed io non sentivo nulla.
Solo un martello pneumatico incessante dentro al petto.Parlavo con non ricordo chi ed ebbi paura ad un certo punto che potesse sentirlo.Lui c'era,nell'altra stanza a suonare con altre persone.Anche lui esisteva semplicemente,ma non aveva nessun impatto.
Lo cercai più volte con lo sguardo per osservarlo,ma l'unica cosa che riuscivo a pensare era:è lui.Nient altro.
Poi il petto mi fece quasi male,dovetti spegnere la sigaretta.Mi sedetti.
La fatica questa volta cominciava a farsi sentire.Non volevo che nessuno si avvicinasse,nè che mi parlasse,nè che mi chiedesse cosa stessi facendo.Non volevo che lui mi facesse qualche cenno gentile e freddo.Volevo stare solo lì.Seduta.
Quella sera non capii che quel martello era l'unica cosa che dovessi ascoltare.Che l'unica cosa cui aggrapparmi come vera era quel dolore diffuso tra lo stomaco e il seno.
Invece di continuare a dare le più svariate spiegazioni per quel dolore,dovevo solo lasciarlo stare.
Mi mentii e lo feci più volte.
Il freddo,le sigarette,lui,gli altri che sapevano e non dicevano.
La festa trascorse e io me ne andai solo quando visi lui prendere il cappotto.Automaticamente lo feci anche io.Credo che lo salutai anche abbastanza allegramente.
Presi il motorino e tornai verso casa.
Cominciai a sentire un'insofferenza verso tutte le persone che avevo avuto vicino durante la festa.Continuavo a sentire il petto ed in più respiravo a tratti brevissimi e veloci.
L'insofferenza,il fastidio diffuso crescevano.Mi sembrò allora che nessuno riuscisse davvero a comunicare con gli altri,che tutti fossero,chi più chi meno,piatti ed inutili.Che nulla delle loro parole o dei loro gesti fosse teso a significare qualcosa.
Anche quando fui stesa nel mio letto e spensi la luce la sensazione non mi abbandonò.
Se avessi capito allora che ero la prima a non amare ciò che vedevo intorno,forse non avrei accusato nessuno di non vedermi davvero,forse non avrei odiato così tanto.Odiato il fatto di non sentirmi,quella sera,amata da nessuno.
Le lacrime poi,quelle davvero non me le aspettavo,quella notte.
domenica, ottobre 01, 2006
MA D'ALTRA PARTE...
"If you see her say hello... Say for me that i'm all right,though things get kind of slow she might think that i've forgotten her,don't tell her isn't so"
B.Dylan
Non è che quella mattina decisi di ascoltare quella canzone.
Mi alzai,feci il solito caffè,presi una felpa perchè in terrazza a quell'ora faceva freddo e bevvì la mia tazza.Il gatto come al solito mi salutava stropicciandosi sulle mie gambe.
La radio l'avevo accesa ma finchè non fui seduta fuori non mi accorsi della canzone.
Non avevo scelto di ascoltare Dylan.
Mi risultò subito abbastanza faticoso cercare di non cedere alla suggestione che le sue parole fossero legate a momenti della giornata che,d'altra parte,dovevo ancora vivere.
Pensai ad altro.Pensai al cambio turno al caffè.Dal giorno seguente avrei lavorato come barman la sera.Quindi avrei avuto più soldi.
Era possibile.Non avevo bisogno di molto.Ed il cambio turno sembrava essere capitato al momento giusto.Una somma iniziale per la caparra.Certo anche altre persone con cui trovare un appartamento.
Lo avrei fatto,presto.Fui così certa di quella decisione che pensai che non avevo ulteriore bisogno di riflettere.
Bevvì il caffè veloce,feci scivolare il gatto dalle mie gambe,infilai i jeans,una maglietta e scesi a prendere i giornali.
Decisi anche che avrei mangiato a casa quel giorno,cosa che non accadeva da tempo.
Scesi al mercato per comprare pane e pomodori.Molti visi conosciuti,qualche cenno impercettibile di saluto.Nel mio quartiere avevo lavorato e studiato.Nient altro.Avevano un'immagine di me di ragazza seria,gentile,distaccata.
Se riflettevo anche solo un istante al turbinio di sensazioni che solitamente provavo,mi girava la testa per quanto non mi riconoscessi nell'idea che tutti più o meno si erano fatti di me.
Mi fermai al primo bancone.Scelsi pane e pomodori e mentre cercavo i soldi per pagare,una signora anziana con suo figlio discutevano sul fatto che lei si ostinasse a leggere il sole24ore senza capirci nulla.Quando mi allontanai li osservai ancora una volta con la coda dell'occhio.
Stavano ancora discutendo.
Mi sentii avvolta da un'improvvisa euforia.
Girai ancora tra i banchi.Osservavo tazze e coperte e pentolini per il latte.
Pensai ad un numero indefinito di colazioni e di tazze e coperte colorate che avrei scelto nella mia vita.Mi mise un'allegria inspiegabile.
Avrei continuato a sbirciare ancora,nonostante il sole caldissimo.Mi veniva facile sorridere ai banchisti e al mio quartiere.Mi veniva facile partecipare con uno sguardo di complicità a tutte le conversazioni che ascoltavo per caso.
Va bene,si poteva.Potevo.
Sentii nascerla dalla pancia questa sensazione.Camminavo verso casa e la sentivo salire fino al petto e poi avrei voluto che lì si fermasse.Non c'era bisogno che la pensassi.
Camminavo e mi concentravo sui miei passi.
Va bene,va bene così.Tienila.Tienila con te questa sensazione.
Sperai che il mio corpo la stesse registrando perchè un pensiero alla fine lo feci.
Nonostante la resistenza.
Lo ricordai(lo cantai?).
"We had a falling out like lovers often will,and to think of how she left that night it still brings me a chill.And though our separation it pierced me to the heart,she still lives inside of me,we've never been apart".
Perchè non sei qui a vedere che alla fine l'ho fatto?Perchè non sei qui a guardarmi con rispetto mentre io decido di farlo?di andare via?perchè non sei qui ad accorgerti che io sono felice e ti sto dimenticando?perchè non sei qui mentre io vivo comunque e nonostante?
Aprii il portone di casa e pensai se sarei stata in grado la sera di andare a quel compleanno.
Ci sarebbe stato anche lui.Tra qualche ora,il pomeriggio come al solito e poi la festa.
Potrei anche non andare,anzi perchè andare?c'è forse stata una sola volta in questi 4mesi che siamo riusciti a...scegli quello che davvero vuoi fare,per te,te soltanto.non andare,pensa alle tue di cose e la festa no,non è proprio importante.
Sapevo perfettamente che ci sarei andata.Lo sapevo da quando la radio aveva deciso per me quale canzone ascoltare per prima.Ma non lo avevo scelto io.Non potevo farci niente.Il caso aveva voluto che.Quindi sarei andata.No,non lo volevo.
Ma d'altra parte.
B.Dylan
Non è che quella mattina decisi di ascoltare quella canzone.
Mi alzai,feci il solito caffè,presi una felpa perchè in terrazza a quell'ora faceva freddo e bevvì la mia tazza.Il gatto come al solito mi salutava stropicciandosi sulle mie gambe.
La radio l'avevo accesa ma finchè non fui seduta fuori non mi accorsi della canzone.
Non avevo scelto di ascoltare Dylan.
Mi risultò subito abbastanza faticoso cercare di non cedere alla suggestione che le sue parole fossero legate a momenti della giornata che,d'altra parte,dovevo ancora vivere.
Pensai ad altro.Pensai al cambio turno al caffè.Dal giorno seguente avrei lavorato come barman la sera.Quindi avrei avuto più soldi.
Era possibile.Non avevo bisogno di molto.Ed il cambio turno sembrava essere capitato al momento giusto.Una somma iniziale per la caparra.Certo anche altre persone con cui trovare un appartamento.
Lo avrei fatto,presto.Fui così certa di quella decisione che pensai che non avevo ulteriore bisogno di riflettere.
Bevvì il caffè veloce,feci scivolare il gatto dalle mie gambe,infilai i jeans,una maglietta e scesi a prendere i giornali.
Decisi anche che avrei mangiato a casa quel giorno,cosa che non accadeva da tempo.
Scesi al mercato per comprare pane e pomodori.Molti visi conosciuti,qualche cenno impercettibile di saluto.Nel mio quartiere avevo lavorato e studiato.Nient altro.Avevano un'immagine di me di ragazza seria,gentile,distaccata.
Se riflettevo anche solo un istante al turbinio di sensazioni che solitamente provavo,mi girava la testa per quanto non mi riconoscessi nell'idea che tutti più o meno si erano fatti di me.
Mi fermai al primo bancone.Scelsi pane e pomodori e mentre cercavo i soldi per pagare,una signora anziana con suo figlio discutevano sul fatto che lei si ostinasse a leggere il sole24ore senza capirci nulla.Quando mi allontanai li osservai ancora una volta con la coda dell'occhio.
Stavano ancora discutendo.
Mi sentii avvolta da un'improvvisa euforia.
Girai ancora tra i banchi.Osservavo tazze e coperte e pentolini per il latte.
Pensai ad un numero indefinito di colazioni e di tazze e coperte colorate che avrei scelto nella mia vita.Mi mise un'allegria inspiegabile.
Avrei continuato a sbirciare ancora,nonostante il sole caldissimo.Mi veniva facile sorridere ai banchisti e al mio quartiere.Mi veniva facile partecipare con uno sguardo di complicità a tutte le conversazioni che ascoltavo per caso.
Va bene,si poteva.Potevo.
Sentii nascerla dalla pancia questa sensazione.Camminavo verso casa e la sentivo salire fino al petto e poi avrei voluto che lì si fermasse.Non c'era bisogno che la pensassi.
Camminavo e mi concentravo sui miei passi.
Va bene,va bene così.Tienila.Tienila con te questa sensazione.
Sperai che il mio corpo la stesse registrando perchè un pensiero alla fine lo feci.
Nonostante la resistenza.
Lo ricordai(lo cantai?).
"We had a falling out like lovers often will,and to think of how she left that night it still brings me a chill.And though our separation it pierced me to the heart,she still lives inside of me,we've never been apart".
Perchè non sei qui a vedere che alla fine l'ho fatto?Perchè non sei qui a guardarmi con rispetto mentre io decido di farlo?di andare via?perchè non sei qui ad accorgerti che io sono felice e ti sto dimenticando?perchè non sei qui mentre io vivo comunque e nonostante?
Aprii il portone di casa e pensai se sarei stata in grado la sera di andare a quel compleanno.
Ci sarebbe stato anche lui.Tra qualche ora,il pomeriggio come al solito e poi la festa.
Potrei anche non andare,anzi perchè andare?c'è forse stata una sola volta in questi 4mesi che siamo riusciti a...scegli quello che davvero vuoi fare,per te,te soltanto.non andare,pensa alle tue di cose e la festa no,non è proprio importante.
Sapevo perfettamente che ci sarei andata.Lo sapevo da quando la radio aveva deciso per me quale canzone ascoltare per prima.Ma non lo avevo scelto io.Non potevo farci niente.Il caso aveva voluto che.Quindi sarei andata.No,non lo volevo.
Ma d'altra parte.
domenica, settembre 24, 2006
UNA GIORNATA SENZA PRETESE(una sorta di fine)
"Nel quale,a volte,quello che si ha nel cuore è più chiaro di ciò che si dice con la lingua"
J.C.Izzo
Arrivata a casa,quella sera crollai sul divano.
Sentii solo mia madre che zittiva mia sorella e la consistenza della coperta che mi mise addosso.
Pur essendo un gesto dolce,ebbi voglia di dirle che preferivo il freddo a QUELLA coperta.Per tante ragioni che non seppi elencare nemmeno a me stessa.
Dormii profondamente e quando mi svegliai era buio.Cercai di capire di che buio si trattasse.In salone c'era una sola lampada accesa,la luce era fioca e giallognola ed un senso di malinconia mi colse alla gola in modo inaspettato e rapidissimo.
Non riuscivo a respirare bene.Strinsi la coperta e provai a richiudere gli occhi.Mia madre però stava preparando la cena,come al solito,in modo estremamente rumoroso.
Tutto intorno era freddo ed estraneo.
Poi ricordai il sogno.Ricordai una maglietta di colore blu elettrico che avevo indossato insieme a delle scarpe nuove.Ricordai la sensazione di assoluta familiarità con i nuovi indumenti,il pensiero che feci:"ecco,sono loro i miei panni".
Mi alzai dal divano ancora stranita.Mi lavai la faccia,sbirciai i libri in corridoio e mia sorella che ascoltava la radio in camera.Spostai lo sguardo e mi intravidi.
Nello specchio all'ingresso.Ero lontana quindi riuscivo a vedere solamente la mia sagoma.
Ma ero indiscutibilmente IO.Continuai ad osservarmi.Era strano.Come quando riptevo il mio nome da piccola,che solitamente si da per scontato,poi un giorno te lo ripeti tante volte di seguito e ti sembra strano.Ma assolutamente tuo.Non sapresti immaginarti con un altro.
Ripensai alla mia giornata,e tanti punti si univano in modo meravigliosamente naturale.
Non tenni più.Decisi in un attimo di provare a non tenere,a non sforzarmi più.
Provai a lasciare,sapevo che non sarei caduta,ma lasciai comunque.
Misi i piedi in terra e aspettai di vedere che effetto faceva.
Si fugge per debolezza,per volontà,per destino,da se stessi.
Per ritrovarsi.
Andai in cucina,mia madre stava lavando i piatti.Fumava.Come facesse non l'ho mai capito.
Mi guardò.
"Amore!"come non mi vedesse da giorni.
Le sorrisi.Senza sentir crescere nessuna ansia mentre lo facevo stavolta.
Semplicemente,sorridendole.
Pensai,con assoluta certezza,che la mattina,dopo colazione,sarei andata a comprare il giornale degli affitti.
J.C.Izzo
Arrivata a casa,quella sera crollai sul divano.
Sentii solo mia madre che zittiva mia sorella e la consistenza della coperta che mi mise addosso.
Pur essendo un gesto dolce,ebbi voglia di dirle che preferivo il freddo a QUELLA coperta.Per tante ragioni che non seppi elencare nemmeno a me stessa.
Dormii profondamente e quando mi svegliai era buio.Cercai di capire di che buio si trattasse.In salone c'era una sola lampada accesa,la luce era fioca e giallognola ed un senso di malinconia mi colse alla gola in modo inaspettato e rapidissimo.
Non riuscivo a respirare bene.Strinsi la coperta e provai a richiudere gli occhi.Mia madre però stava preparando la cena,come al solito,in modo estremamente rumoroso.
Tutto intorno era freddo ed estraneo.
Poi ricordai il sogno.Ricordai una maglietta di colore blu elettrico che avevo indossato insieme a delle scarpe nuove.Ricordai la sensazione di assoluta familiarità con i nuovi indumenti,il pensiero che feci:"ecco,sono loro i miei panni".
Mi alzai dal divano ancora stranita.Mi lavai la faccia,sbirciai i libri in corridoio e mia sorella che ascoltava la radio in camera.Spostai lo sguardo e mi intravidi.
Nello specchio all'ingresso.Ero lontana quindi riuscivo a vedere solamente la mia sagoma.
Ma ero indiscutibilmente IO.Continuai ad osservarmi.Era strano.Come quando riptevo il mio nome da piccola,che solitamente si da per scontato,poi un giorno te lo ripeti tante volte di seguito e ti sembra strano.Ma assolutamente tuo.Non sapresti immaginarti con un altro.
Ripensai alla mia giornata,e tanti punti si univano in modo meravigliosamente naturale.
Non tenni più.Decisi in un attimo di provare a non tenere,a non sforzarmi più.
Provai a lasciare,sapevo che non sarei caduta,ma lasciai comunque.
Misi i piedi in terra e aspettai di vedere che effetto faceva.
Si fugge per debolezza,per volontà,per destino,da se stessi.
Per ritrovarsi.
Andai in cucina,mia madre stava lavando i piatti.Fumava.Come facesse non l'ho mai capito.
Mi guardò.
"Amore!"come non mi vedesse da giorni.
Le sorrisi.Senza sentir crescere nessuna ansia mentre lo facevo stavolta.
Semplicemente,sorridendole.
Pensai,con assoluta certezza,che la mattina,dopo colazione,sarei andata a comprare il giornale degli affitti.
sabato, settembre 23, 2006
UNA GIORNATA SENZA PRETESE(2parte)
"and imagine you're a girl just trying to finally come clean knowing full well they'd prefer you were dirty and smiling. And i'am sorry i'am not a maiden fair,and i'am not a kitten stuck up a tree somewhere"
A.Difranco
Finii di togliere i bicchieri rimasti sui tavoli.Le utlime persone erano uscite dal caffè,abbastanza velocemente,con i visi che lasciavano intravedere abbastanza chiaramente quanta poca voglia avessero di tornare nei loro uffici.
La bionda ed il marito si erano seduti al primo tavolino per fare la chiusura giornaliera,io cominciai a ritirare i tavolini e le sedie da fuori.
Verso le 3del pomeriggio,l'ora in cui chiudevamo,non passava quasi nessuno per la strada.L'enoteca aveva già chiuso,così come l'alimentari e il giornalaio.
Rimaneva solo qualche donna,vestita di bianco e beige,che rientrava con calma :poggiava per un minuto la bicicletta al muro,estraeva le chiavi ed apriva i l cancello che dava su piccoli cortili interni.
I palazzi erano imponenti,ma l'architettura non mi dispiaceva affatto.La piazza vicino il locale non aveva niente di particolare a parte questi vecchi edifici e svariati alberi.Però sapeva di notti d'estate e persone che a fine giornata si tolgono la cravatta e si fermano un attimo a respirare prima di tornare per cena.
C.forse avrebbe trovato casa lì vicino,proprio davanti il caffè.Anche lei come me tentava di andare via.
Ne eravamo entrambe certe,ma non abbastanza forse da smettere di fare conti su conti e vedere se ce l'avremmo,economicamente,fatta.
Rientrai con i tavolini,mi tolsi la parannanza nel piccolo spogliatoio,mi riguardai un attimo veloce allo specchio,ma dovevo andare.Neanche questa volta riuscii a fermarmi un attimo.
"Cri niente caffè e sigaretta oggi..."
"Ma come sarah?e che fai mi lasci così?dov'è che devi andare eh?!" Cristina diceva sempre queste frasi senza nascondere nessun sorrido o malizia.
"Ma guarda che sei...niente di quello che immagini,vado a consegnare i documenti per la borsa di studio"
"Se se...la borsa di studio..." e scoppiò a ridere.
"Vabbè cri" le dissi afferrando la borsa e uscendo dalla cucina"tanto il tempo che utilizzerei a convincerti sarebe sprecato.Ciaooo...a domani"le sorrisi e me ne andai.
Uscendo incrociai lo sguardo dei due proprietari,che tutti quei giorni erano rimasti abbastanza sulle loro.
Ecco.Una volta fuori respirai forte e mi accorsi che c'era una temperatura completamente diversa.E mi accorsi che c'era molto silenzio.
Al caffè solitamente si lavorava tanto,ma solamente tra le13 e le14e30:era quella l'ora in cui arrivavano tutti gli impiegati dagli uffici che volevano mangiare in quindici minuti circa.
Le prime due ora scorrevano rilassate,anche perchè eravamo sempre solamente io e cri.Sistemavo la sala,olio-sale,il pane da tagliare,i tavolini fuori,l'apparecchiatura con le tovagliette all'americana e poi avevo tutto il tempo di chiacchierare e bere cappuccini e caffè.
Poi arrivavano i proprietari,cri si murava in cucina e allora il tempo si comprimeva,cominciavo ad accellerare sempre di più,il disco che avevo messo cominciava ad essere coperto dalle voci sempre più numerose.
Durante quella parentesi di tempo i gesti erano rapidi ed automatici,non c'era il tempo per soffermare lo sguardo più di pochi istanti sulle persone che mangiavano ed in generale il contatto su tutto quello che avevo attorno era pari a zero.
Poi quando,piano piano,tutto si svuotava,risentivo la consistenza delle tazzine tra le mie mani,riascoltavo il disco che non si era mai interrotto,notavo quando stesse bene al caffè il verde delle nicchie ed il muretto tutto intorno le pareti.
Ero fuori comunque.Sistemai i soldi in borsa,pochi a dir la verità e con il motorino mi diressi verso il caf per i documenti.
Non mi ero accorta fosse così tardi,dove mi ero soffermata per aver perso tanto tempo?Entrai veloce e tentai di dimenticare che questo ufficio fosse proprio sotto casa di lui.
Scesi tre scalini e mi ritrovai un ragazzo alla scrivania che parlava al telefono.Mi fece l'occhiolino come se ci conoscessimo da tempo.Continuava a parlare tranquillamente,senza farsi alcun problema.Mi guardai intorno e vidi alle pareti manifesti politici,sinistroidi.Dovevano avere qualche anno;per il resto c'era forte odore di sigaretta e diverse porte dipinte di rosso.Tutte chiuse.
Ci mise qualche minuto ad attaccare ed occuparsi di me.Intanto mi guardavo intorno e mi accorsi che quella non era la sede del caf.Ero entrata nella porta sbagliata.Questa era la sezione giovani dei DS.
Vattene no?che diavolo aspetti?gli fai un cenno e te ne vai...capace che altrimenti chiude davvero il caf ed allora addio borsa di studio senza neanche provarci.insomma?perchè diavolo non ti alzi da questa sedia?che figura fai tanto?ecco sta finendo di parlare,invece di stare poi lì a raccontare che...
Troppo tardi.Il ragazzo mi guardava interrogativo,ma sorridente.Divertito?Non sono brava a nascondere i miei pensieri.O meglio,alle volte sono più chiari a chi mi osserva da fuori che a me stessa.Ma perchè alle volte non si fa la cosa più semplice che si possa fare?E cioè quello che si desidera fare?
Potevo prendere ed andare via,invece mi sentivo inchiodata a quella sedia e per di più a disagio.Ne provavo migliaia di sensazioni così ed ogni volta mi tornava in mente la stessa frase "l'insicurezza toglie qualsiasi sensualità ad una donna".Non che ci credessi davvero.Me lo dicevo per punirmi un pò.
Continuava a guardarmi così cominciai a dirgli dell'equivoco.Sperai di salvarmi da una conversazione inutile commentando una bella fotografia di un tanguero appesa dietro di lui.
Mossa sbagliata.(O giusta?) Si alzò in piedi,mi venne vicino e cominciò ad improvvisare alcuni passi.Mi ivnitò a ballare.Sentii una sorta di tachicardia crescere.
Perchè sei sempre così rigida?perchè non riesci ad essere "fisica"con le persone?me lo diceva sempre anche "lui",che respingevo gli abbracci.
Senza pensarci e per sottrarmi all'invito,gli dissi che cercavo da mesi una scuola di tango e nel giro di pochi minuti mi ritrovai al motorino sistemandomi il casco con in mano il suo numero di telefono.Insegnava tango in sezione.Mi avrebbe chiamato appena fossero iniziati i corsi.
Accesi il motorino e mi venne da ridere.
Cominciai a dirigermi verso casa.Avevo voglia di cenare qualcosa di veloce e poi vedere C. per il nostro giro notturno.
Volevo stare poco,il minimo a casa,fare un pieno di libri da portare a C.per leggerne,come al solito dei pezzi.
Tornando passai davanti il mio vecchio liceo,un bar che frequentavo sempre,case di amici che non vedevo da tempo,il primo locale dove lavorai,la casa vecchia di lui,il bar delle cioccolate,il pub delle riunioni del primo giornale della scuola e dei primi concerti.
Poi cominciai a vedere i pini e la campagna,ancora una curva e sarei arrivata nella vera borgata.Casa.
Pensai agli ultimi sette-otto anni della mia vita e li sentii pieni.
Sentii anche che avrei potuto lasciare tutto questo ora,senza pensarci un istante di più.
A.Difranco
Finii di togliere i bicchieri rimasti sui tavoli.Le utlime persone erano uscite dal caffè,abbastanza velocemente,con i visi che lasciavano intravedere abbastanza chiaramente quanta poca voglia avessero di tornare nei loro uffici.
La bionda ed il marito si erano seduti al primo tavolino per fare la chiusura giornaliera,io cominciai a ritirare i tavolini e le sedie da fuori.
Verso le 3del pomeriggio,l'ora in cui chiudevamo,non passava quasi nessuno per la strada.L'enoteca aveva già chiuso,così come l'alimentari e il giornalaio.
Rimaneva solo qualche donna,vestita di bianco e beige,che rientrava con calma :poggiava per un minuto la bicicletta al muro,estraeva le chiavi ed apriva i l cancello che dava su piccoli cortili interni.
I palazzi erano imponenti,ma l'architettura non mi dispiaceva affatto.La piazza vicino il locale non aveva niente di particolare a parte questi vecchi edifici e svariati alberi.Però sapeva di notti d'estate e persone che a fine giornata si tolgono la cravatta e si fermano un attimo a respirare prima di tornare per cena.
C.forse avrebbe trovato casa lì vicino,proprio davanti il caffè.Anche lei come me tentava di andare via.
Ne eravamo entrambe certe,ma non abbastanza forse da smettere di fare conti su conti e vedere se ce l'avremmo,economicamente,fatta.
Rientrai con i tavolini,mi tolsi la parannanza nel piccolo spogliatoio,mi riguardai un attimo veloce allo specchio,ma dovevo andare.Neanche questa volta riuscii a fermarmi un attimo.
"Cri niente caffè e sigaretta oggi..."
"Ma come sarah?e che fai mi lasci così?dov'è che devi andare eh?!" Cristina diceva sempre queste frasi senza nascondere nessun sorrido o malizia.
"Ma guarda che sei...niente di quello che immagini,vado a consegnare i documenti per la borsa di studio"
"Se se...la borsa di studio..." e scoppiò a ridere.
"Vabbè cri" le dissi afferrando la borsa e uscendo dalla cucina"tanto il tempo che utilizzerei a convincerti sarebe sprecato.Ciaooo...a domani"le sorrisi e me ne andai.
Uscendo incrociai lo sguardo dei due proprietari,che tutti quei giorni erano rimasti abbastanza sulle loro.
Ecco.Una volta fuori respirai forte e mi accorsi che c'era una temperatura completamente diversa.E mi accorsi che c'era molto silenzio.
Al caffè solitamente si lavorava tanto,ma solamente tra le13 e le14e30:era quella l'ora in cui arrivavano tutti gli impiegati dagli uffici che volevano mangiare in quindici minuti circa.
Le prime due ora scorrevano rilassate,anche perchè eravamo sempre solamente io e cri.Sistemavo la sala,olio-sale,il pane da tagliare,i tavolini fuori,l'apparecchiatura con le tovagliette all'americana e poi avevo tutto il tempo di chiacchierare e bere cappuccini e caffè.
Poi arrivavano i proprietari,cri si murava in cucina e allora il tempo si comprimeva,cominciavo ad accellerare sempre di più,il disco che avevo messo cominciava ad essere coperto dalle voci sempre più numerose.
Durante quella parentesi di tempo i gesti erano rapidi ed automatici,non c'era il tempo per soffermare lo sguardo più di pochi istanti sulle persone che mangiavano ed in generale il contatto su tutto quello che avevo attorno era pari a zero.
Poi quando,piano piano,tutto si svuotava,risentivo la consistenza delle tazzine tra le mie mani,riascoltavo il disco che non si era mai interrotto,notavo quando stesse bene al caffè il verde delle nicchie ed il muretto tutto intorno le pareti.
Ero fuori comunque.Sistemai i soldi in borsa,pochi a dir la verità e con il motorino mi diressi verso il caf per i documenti.
Non mi ero accorta fosse così tardi,dove mi ero soffermata per aver perso tanto tempo?Entrai veloce e tentai di dimenticare che questo ufficio fosse proprio sotto casa di lui.
Scesi tre scalini e mi ritrovai un ragazzo alla scrivania che parlava al telefono.Mi fece l'occhiolino come se ci conoscessimo da tempo.Continuava a parlare tranquillamente,senza farsi alcun problema.Mi guardai intorno e vidi alle pareti manifesti politici,sinistroidi.Dovevano avere qualche anno;per il resto c'era forte odore di sigaretta e diverse porte dipinte di rosso.Tutte chiuse.
Ci mise qualche minuto ad attaccare ed occuparsi di me.Intanto mi guardavo intorno e mi accorsi che quella non era la sede del caf.Ero entrata nella porta sbagliata.Questa era la sezione giovani dei DS.
Vattene no?che diavolo aspetti?gli fai un cenno e te ne vai...capace che altrimenti chiude davvero il caf ed allora addio borsa di studio senza neanche provarci.insomma?perchè diavolo non ti alzi da questa sedia?che figura fai tanto?ecco sta finendo di parlare,invece di stare poi lì a raccontare che...
Troppo tardi.Il ragazzo mi guardava interrogativo,ma sorridente.Divertito?Non sono brava a nascondere i miei pensieri.O meglio,alle volte sono più chiari a chi mi osserva da fuori che a me stessa.Ma perchè alle volte non si fa la cosa più semplice che si possa fare?E cioè quello che si desidera fare?
Potevo prendere ed andare via,invece mi sentivo inchiodata a quella sedia e per di più a disagio.Ne provavo migliaia di sensazioni così ed ogni volta mi tornava in mente la stessa frase "l'insicurezza toglie qualsiasi sensualità ad una donna".Non che ci credessi davvero.Me lo dicevo per punirmi un pò.
Continuava a guardarmi così cominciai a dirgli dell'equivoco.Sperai di salvarmi da una conversazione inutile commentando una bella fotografia di un tanguero appesa dietro di lui.
Mossa sbagliata.(O giusta?) Si alzò in piedi,mi venne vicino e cominciò ad improvvisare alcuni passi.Mi ivnitò a ballare.Sentii una sorta di tachicardia crescere.
Perchè sei sempre così rigida?perchè non riesci ad essere "fisica"con le persone?me lo diceva sempre anche "lui",che respingevo gli abbracci.
Senza pensarci e per sottrarmi all'invito,gli dissi che cercavo da mesi una scuola di tango e nel giro di pochi minuti mi ritrovai al motorino sistemandomi il casco con in mano il suo numero di telefono.Insegnava tango in sezione.Mi avrebbe chiamato appena fossero iniziati i corsi.
Accesi il motorino e mi venne da ridere.
Cominciai a dirigermi verso casa.Avevo voglia di cenare qualcosa di veloce e poi vedere C. per il nostro giro notturno.
Volevo stare poco,il minimo a casa,fare un pieno di libri da portare a C.per leggerne,come al solito dei pezzi.
Tornando passai davanti il mio vecchio liceo,un bar che frequentavo sempre,case di amici che non vedevo da tempo,il primo locale dove lavorai,la casa vecchia di lui,il bar delle cioccolate,il pub delle riunioni del primo giornale della scuola e dei primi concerti.
Poi cominciai a vedere i pini e la campagna,ancora una curva e sarei arrivata nella vera borgata.Casa.
Pensai agli ultimi sette-otto anni della mia vita e li sentii pieni.
Sentii anche che avrei potuto lasciare tutto questo ora,senza pensarci un istante di più.
venerdì, settembre 22, 2006
UNA GIORNATA SENZA PRETESE(1parte)
Ci sono giorni in cui si torna indietro.
Giorni in cui ci si perde.Mi ero persa.Così,all'improvviso.
Succede alle volte.Ci si aggrappa con le unghie al passato,si compie uno sforzo disumano per reggere e tenere su qualcosa...stai con i piedi sollevati per aria e lotti con quanta energia hai in corpo.
Poi succede che cominci a perdere consistenza.Non ti metti una maglietta al mattino con la stessa concentrazione,non scegli il disco da ascoltare al tuo ritorno dal lavoro con lo stesso desiderio,non osservi le persone accanto a te con la stessa spasmodica curiosità di sempre.
Semplicemente scivoli tra un'ora e l'altra,tra il lavoro e il letto,tra un sorriso ed un discorso.
Anche il tono di voce sembra cambiare,e la convinzione con cui pensavi a tante piccole cose della tua vita diminuisce in modo incredibilmente rapido.
Poi succede che qualcosa di non voluto,di non atteso ti consigli di mettere giù quei dannati piedi.
E allora,non senza un attimo di resistenza,lo fai.Segui il consiglio.Metti giù i piedi e,semplicemente,smetti di tenere su,di reggere e senti le energie rifocalizzarsi su ciò che hai vicino.Molto vicino.Che,chissà come,non vedevi più.
Una giornata così,iniziata senza pretese.
Erano giorni di sensazione di perdita,di mancanza,di nostalgia vaga.
Quando succede così,passo in rassegna ogni singola situazione o persona del mia vita.Giusto per vedere se a qualcuno spetta il merito di questo stato d'animo.Ma non si arriva mai a niente.
Guardi intorno e quello che vedi è tutto come sempre.
Come quella mattina.Al caffè ad esempio non era mutato nulla,cristina mi accolse come al solito,C. mi aspettava dopo il lavoro per il giro pomeridiano in centro,a casa avevo tutti i miei dischi e libri che ogni sera mi davano la sensazione indistinta di possibilità aperte se solo io avessi voluto per la mia vita.
Tutto normale.E allora?allora cosa?
Chi o cosa mi mancava?sentivo di aver perso...di non esserci.
Stavo accendendo la macchina del caffè e sistemando i menù sui tavolini quando C.inaspettatamente entra al caffè.Seguita da un ragazzo.
"ehi!"
"ciao..ma come mai qui?niente lavoro?"
"niente lavoro oggi!senti..siamo tutti precari?non ci pagano uno straccio di malattia che se ci piglia una banale febbre è un casino?ci danno due lire e per giunta non riconoscendo la fatica de sto lavoro?bè...sai che mi sono detta stamattina?me la prendo...c'è il sole,due soldi ce l'avevo...giornata per me!e poi è passato a trovarmi lui,vi conoscete?Luca..."
"ciao piacere...bè dai sedetevi vi faccio un caffè"
Sentii una spinta irrefrenabile di affetto per C. Mi sentii anche in colpa.Come facevo a non accorgermi ogni giorno di quanto fosse bella?era bella quel giorno.più del solito.
Lo era anche lui,notai mentre facevo i caffè.Era sudamericano,aveva un viso elegantissimo.
Incrociammo lo sguardo almeno tre volte,per il resto,mentre facevamo colazione,chiacchierammo di semplici cose.Non ci conoscevamo così ci regalammo a vicenda un piccolo veloce spaccato delle nostre vite.Mi sembrava di metterci una cura estrema nel farlo.
Proseguirono verso la loro giornata,non prima di aver detto che dovevamo andare a trovarlo nel locale dove lui suonava.Presto.Dissi si,ed era semplicemente quello che volevo e quello che avrei fatto in seguito.
Chiusa la porta sorrisi e mi diressi verso i primi due clienti.
"solita caprese e coca?"
"ah ma allora cominciamo a conoscerli questi clienti?!"mi disse l'architetto che veniva sempre con una bellissima donna,la sua socia.
"bè,si..siete i primi.posso coccolarvi oggi"risi,senza sapere neanche perchè mi fosse uscita una frase del genere.
"posso dirle una cosa?si imbarazza?lei è veramente molto bella".
Ringraziai,portai le comande a cristina e mi guardai di sfuggita allo specchio.
Mi soffermai un attimo sui miei occhi,ma nel riflesso vidi la solita folla di persona aggingersi ad entrare.Così mi voltai e rimandai tutto a più tardi.
Giorni in cui ci si perde.Mi ero persa.Così,all'improvviso.
Succede alle volte.Ci si aggrappa con le unghie al passato,si compie uno sforzo disumano per reggere e tenere su qualcosa...stai con i piedi sollevati per aria e lotti con quanta energia hai in corpo.
Poi succede che cominci a perdere consistenza.Non ti metti una maglietta al mattino con la stessa concentrazione,non scegli il disco da ascoltare al tuo ritorno dal lavoro con lo stesso desiderio,non osservi le persone accanto a te con la stessa spasmodica curiosità di sempre.
Semplicemente scivoli tra un'ora e l'altra,tra il lavoro e il letto,tra un sorriso ed un discorso.
Anche il tono di voce sembra cambiare,e la convinzione con cui pensavi a tante piccole cose della tua vita diminuisce in modo incredibilmente rapido.
Poi succede che qualcosa di non voluto,di non atteso ti consigli di mettere giù quei dannati piedi.
E allora,non senza un attimo di resistenza,lo fai.Segui il consiglio.Metti giù i piedi e,semplicemente,smetti di tenere su,di reggere e senti le energie rifocalizzarsi su ciò che hai vicino.Molto vicino.Che,chissà come,non vedevi più.
Una giornata così,iniziata senza pretese.
Erano giorni di sensazione di perdita,di mancanza,di nostalgia vaga.
Quando succede così,passo in rassegna ogni singola situazione o persona del mia vita.Giusto per vedere se a qualcuno spetta il merito di questo stato d'animo.Ma non si arriva mai a niente.
Guardi intorno e quello che vedi è tutto come sempre.
Come quella mattina.Al caffè ad esempio non era mutato nulla,cristina mi accolse come al solito,C. mi aspettava dopo il lavoro per il giro pomeridiano in centro,a casa avevo tutti i miei dischi e libri che ogni sera mi davano la sensazione indistinta di possibilità aperte se solo io avessi voluto per la mia vita.
Tutto normale.E allora?allora cosa?
Chi o cosa mi mancava?sentivo di aver perso...di non esserci.
Stavo accendendo la macchina del caffè e sistemando i menù sui tavolini quando C.inaspettatamente entra al caffè.Seguita da un ragazzo.
"ehi!"
"ciao..ma come mai qui?niente lavoro?"
"niente lavoro oggi!senti..siamo tutti precari?non ci pagano uno straccio di malattia che se ci piglia una banale febbre è un casino?ci danno due lire e per giunta non riconoscendo la fatica de sto lavoro?bè...sai che mi sono detta stamattina?me la prendo...c'è il sole,due soldi ce l'avevo...giornata per me!e poi è passato a trovarmi lui,vi conoscete?Luca..."
"ciao piacere...bè dai sedetevi vi faccio un caffè"
Sentii una spinta irrefrenabile di affetto per C. Mi sentii anche in colpa.Come facevo a non accorgermi ogni giorno di quanto fosse bella?era bella quel giorno.più del solito.
Lo era anche lui,notai mentre facevo i caffè.Era sudamericano,aveva un viso elegantissimo.
Incrociammo lo sguardo almeno tre volte,per il resto,mentre facevamo colazione,chiacchierammo di semplici cose.Non ci conoscevamo così ci regalammo a vicenda un piccolo veloce spaccato delle nostre vite.Mi sembrava di metterci una cura estrema nel farlo.
Proseguirono verso la loro giornata,non prima di aver detto che dovevamo andare a trovarlo nel locale dove lui suonava.Presto.Dissi si,ed era semplicemente quello che volevo e quello che avrei fatto in seguito.
Chiusa la porta sorrisi e mi diressi verso i primi due clienti.
"solita caprese e coca?"
"ah ma allora cominciamo a conoscerli questi clienti?!"mi disse l'architetto che veniva sempre con una bellissima donna,la sua socia.
"bè,si..siete i primi.posso coccolarvi oggi"risi,senza sapere neanche perchè mi fosse uscita una frase del genere.
"posso dirle una cosa?si imbarazza?lei è veramente molto bella".
Ringraziai,portai le comande a cristina e mi guardai di sfuggita allo specchio.
Mi soffermai un attimo sui miei occhi,ma nel riflesso vidi la solita folla di persona aggingersi ad entrare.Così mi voltai e rimandai tutto a più tardi.
mercoledì, settembre 20, 2006
HONRAR LA VIDA
"Porque no es lo mismo que vivir,honrar la vida"
M.Sosa
"Bisogna accontentarsi del passato ed essere intransigenti col futuro"
L.Nico
La mattina,la prima cosa che feci arrivata al caffè fu mettere un disco di Mercedes Sosa.
La seconda preparare il cappuccino a Cristina che non sapeva usare la macchina del caffè.
Avevamo preso in una sola settimana già due piccole abitudini:preparare due cappuccini con molta schiuma da bere sui tavolini fuori,prima che la gente prendesse d'assalto il locale;berci due caffè decaffeinati a fine giornata fumando una sigaretta insieme.
In quei momenti era sempre lei che mi raccontava del suo bambino,di suo marito e della gente ignorante che ogni mattina incontrava sul treno.
Se era di cattivo umore invece se la prendeva con il panettiere, che arrivava troppo presto,col tipo che portava la bufala,sempre tardi,con i proprietari,che erano incapaci di gestire un locale come quello.
Quella mattina però arrivai,misi il disco,preparai i cappuccini e mi sedetti fuori.
Arrivò dopo pochi minuti e stette in silenzio per un pò.
Io cominciavo a svegliarmi in quel momento.Il tragitto in motorino e lo scambio solito con il giornalaio mi sembrava di averli vissuti distrattamente.Mi concentrai solo quando cristina mi chiese:
"ma sarah ma tu mi nascondi qualche cosa?"rise,come al solito.
"in che senso?cioè a cosa ti riferisci?"le risposi,non senza curiosità.
"chi è quel ragazetto che ti è venuto a prendere questi ultimi due giorni?"
"ah ecco"sorrisi" stai parlando di I.immagino"
"voglio sapere tuto tuto".
"da dove comincio cri?da dove posso cominciare?è un amico si?diciamo un amico...anzi è assolutamente un amico.Se possiamo non considerare i baci e gli abbracci,voglio dire...non so se riuscirai a capirmi,ma...ci provo...è come se fosse l'idea di una storia.Non mi capisci vero?non è niente di reale,neanche il contatto fisico è reale.Io mi sveglio ogni mattina e penso a questa persona.Ma non è reale.Penso al gelato che prenderò dopo lavoro con quella persona,alla passeggiata al parco,penso anche alla notte,se la passerà da me o se ci saluteremo all'alba.Poi vedo questa persona ed ho tutte le immagini che ti dicevo nella mente ed è lì che comincio ad avere mal di pancia..no,non ridere.Non "quel"maldipancia.é una sorta di malessere che parte dalla pancia e muore in gola,in quel momento mi batte il cuore,ma so che mi succede solo perchè sto cercando disperatamente di non "vedere"chi ho davanti. E questa sensazione mi resta sulla pelle per tutta la durata delle ore che trascorriamo insieme.
é solo l'idea che potrebbe essere e invece...non è niente,non è niente di quello che io immagino di notte.Lo so,lo penso sempre,svegliandomi che potrebbe non coincidere,ma ogni volta ricomincio.Ricomincio con l'idea di una storia e allora...mi stai capendo?è tutto sottocutaneo,non so come dire:sai quando senti un'emozione forte nascere e la senti così dentro,così radicata...ecco,l'emozione che provo con lui è appena sotto la pelle,nè dentro,nè fuori.Resta imprigionata lì,quest'idea.Appena sotto la pelle.Ma credo mi serva,sai?potrebbe essere qualcosa di nuovo,insomma non tutte le storie nascono immediatamente sicure,non con tutti senti che quella,quella persona farà parte della tua vita per molto tempo,non con tutti hai la certezza che...questa potrebbe essere diversa,potrebbe rivelarsi piano piano,in fondo sento troppo ingombrante la figura di lui,lui l'altro cristina sto dicendo...lui che non avevo dubbi quando lo incontrai che...allora lo seppi subito.Contro ogni pensiero,contro ogni idea..sai questo fu bello con lui (sempre l'altro lui,si cri)che non ebbi il tempo di pensare nulla.Mi muovevo fluida e a mio agio,ogni mio desiderio,ogni mia spinta corrispondeva alla realtà che andava creandosi attorno a noi.Vollì solo bere tante cioccolate calde insieme.Tutto qui.Lo amai profondamente e subito.Non ridere...perchè non sono romantica,io...avvenne così cri.
Ora non so,I.è un'altra cosa,è meno...è meno però potrebbe...potrei provare e magari scoprire che sto bene,un'altra serenità forse...io.non lo so.non posso saperlo.Bisogna accontentarsi del passato ed essere intransigenti col futuro".
"Che disco è?"mi chiese spegnendo la sua sigaretta sottile e pulendosi le mani dallo zucchero.
"Una cantante meravigliosa,Mercedes Sosa"
"Come si chiama la canzone?"
"Honrar la vida"
"Che dice?"
"Ora?no es lo mismo que vivir,honrar la vida"traducendolo poi in italiano.
"Ah ecco.bè..."
"..."
"Sono molto di accordo con questa cosa qui che dice la cantante sai sarah?"
Ero d'accordo anche io.
Semplicemente.Imbarazzante quanto fosse semplice e quanto fossi d'accordo.Ero felice di "sentire" finalmente qualcosa.Mi sentivo profondamente sicura di qualcosa e avrei saputo spiegarlo a chiunque.Senza storcere la bocca.
Prima di seguire Cri dentro e continuare con le solite mansioni,presi il cellulare e telefonai a I.
Bisogna accontantarsi del passato ed essere intransigenti sul futuro.
Aveva pienamente ragione.Per questo gli dissi che non ci saremmo più visti.
Poi continuai a sistemare i tavoli dentro.Tra poco sarebbero arrivati i primi clienti.
M.Sosa
"Bisogna accontentarsi del passato ed essere intransigenti col futuro"
L.Nico
La mattina,la prima cosa che feci arrivata al caffè fu mettere un disco di Mercedes Sosa.
La seconda preparare il cappuccino a Cristina che non sapeva usare la macchina del caffè.
Avevamo preso in una sola settimana già due piccole abitudini:preparare due cappuccini con molta schiuma da bere sui tavolini fuori,prima che la gente prendesse d'assalto il locale;berci due caffè decaffeinati a fine giornata fumando una sigaretta insieme.
In quei momenti era sempre lei che mi raccontava del suo bambino,di suo marito e della gente ignorante che ogni mattina incontrava sul treno.
Se era di cattivo umore invece se la prendeva con il panettiere, che arrivava troppo presto,col tipo che portava la bufala,sempre tardi,con i proprietari,che erano incapaci di gestire un locale come quello.
Quella mattina però arrivai,misi il disco,preparai i cappuccini e mi sedetti fuori.
Arrivò dopo pochi minuti e stette in silenzio per un pò.
Io cominciavo a svegliarmi in quel momento.Il tragitto in motorino e lo scambio solito con il giornalaio mi sembrava di averli vissuti distrattamente.Mi concentrai solo quando cristina mi chiese:
"ma sarah ma tu mi nascondi qualche cosa?"rise,come al solito.
"in che senso?cioè a cosa ti riferisci?"le risposi,non senza curiosità.
"chi è quel ragazetto che ti è venuto a prendere questi ultimi due giorni?"
"ah ecco"sorrisi" stai parlando di I.immagino"
"voglio sapere tuto tuto".
"da dove comincio cri?da dove posso cominciare?è un amico si?diciamo un amico...anzi è assolutamente un amico.Se possiamo non considerare i baci e gli abbracci,voglio dire...non so se riuscirai a capirmi,ma...ci provo...è come se fosse l'idea di una storia.Non mi capisci vero?non è niente di reale,neanche il contatto fisico è reale.Io mi sveglio ogni mattina e penso a questa persona.Ma non è reale.Penso al gelato che prenderò dopo lavoro con quella persona,alla passeggiata al parco,penso anche alla notte,se la passerà da me o se ci saluteremo all'alba.Poi vedo questa persona ed ho tutte le immagini che ti dicevo nella mente ed è lì che comincio ad avere mal di pancia..no,non ridere.Non "quel"maldipancia.é una sorta di malessere che parte dalla pancia e muore in gola,in quel momento mi batte il cuore,ma so che mi succede solo perchè sto cercando disperatamente di non "vedere"chi ho davanti. E questa sensazione mi resta sulla pelle per tutta la durata delle ore che trascorriamo insieme.
é solo l'idea che potrebbe essere e invece...non è niente,non è niente di quello che io immagino di notte.Lo so,lo penso sempre,svegliandomi che potrebbe non coincidere,ma ogni volta ricomincio.Ricomincio con l'idea di una storia e allora...mi stai capendo?è tutto sottocutaneo,non so come dire:sai quando senti un'emozione forte nascere e la senti così dentro,così radicata...ecco,l'emozione che provo con lui è appena sotto la pelle,nè dentro,nè fuori.Resta imprigionata lì,quest'idea.Appena sotto la pelle.Ma credo mi serva,sai?potrebbe essere qualcosa di nuovo,insomma non tutte le storie nascono immediatamente sicure,non con tutti senti che quella,quella persona farà parte della tua vita per molto tempo,non con tutti hai la certezza che...questa potrebbe essere diversa,potrebbe rivelarsi piano piano,in fondo sento troppo ingombrante la figura di lui,lui l'altro cristina sto dicendo...lui che non avevo dubbi quando lo incontrai che...allora lo seppi subito.Contro ogni pensiero,contro ogni idea..sai questo fu bello con lui (sempre l'altro lui,si cri)che non ebbi il tempo di pensare nulla.Mi muovevo fluida e a mio agio,ogni mio desiderio,ogni mia spinta corrispondeva alla realtà che andava creandosi attorno a noi.Vollì solo bere tante cioccolate calde insieme.Tutto qui.Lo amai profondamente e subito.Non ridere...perchè non sono romantica,io...avvenne così cri.
Ora non so,I.è un'altra cosa,è meno...è meno però potrebbe...potrei provare e magari scoprire che sto bene,un'altra serenità forse...io.non lo so.non posso saperlo.Bisogna accontentarsi del passato ed essere intransigenti col futuro".
"Che disco è?"mi chiese spegnendo la sua sigaretta sottile e pulendosi le mani dallo zucchero.
"Una cantante meravigliosa,Mercedes Sosa"
"Come si chiama la canzone?"
"Honrar la vida"
"Che dice?"
"Ora?no es lo mismo que vivir,honrar la vida"traducendolo poi in italiano.
"Ah ecco.bè..."
"..."
"Sono molto di accordo con questa cosa qui che dice la cantante sai sarah?"
Ero d'accordo anche io.
Semplicemente.Imbarazzante quanto fosse semplice e quanto fossi d'accordo.Ero felice di "sentire" finalmente qualcosa.Mi sentivo profondamente sicura di qualcosa e avrei saputo spiegarlo a chiunque.Senza storcere la bocca.
Prima di seguire Cri dentro e continuare con le solite mansioni,presi il cellulare e telefonai a I.
Bisogna accontantarsi del passato ed essere intransigenti sul futuro.
Aveva pienamente ragione.Per questo gli dissi che non ci saremmo più visti.
Poi continuai a sistemare i tavoli dentro.Tra poco sarebbero arrivati i primi clienti.
lunedì, settembre 18, 2006
UNA MATTINA,TRA LE TANTE MATTINE...
"Se tu sarai capace di stare senza attesa,vedrai cose che gli altri non vedono,quello a cui tieni,quello che ti capiterà,non verrà con un'attesa"
E.De Luca
Credo che ci siano mattine,in cui ancora prima di aprire gli occhi decidi quale sorte avrà la tua giornata.
Lo decidi tu,e gli eventi esterni saranno solo un pretesto per avvalorare la tua tesi.
Credo ci sia,ogni mattina,un attimo di sospensione in cui,ancora accucciati nel proprio letto,con un residuo di immagini notturne nella mente,decidiamo se quella sarà una bella o brutta giornata.
Un attimo di sospensione in cui scegliamo se imprigionarci o liberarci per tutto il resto del giorno.
Quella notte avevo sognato new-york e della cioccolata.
Non ricordavo con chi fossi,o perchè stessi a new-york.Nè perchè stessi mangiando della cioccolata.Intuitivamente pensai che fosse stato un bel sogno.Dovevo solo decidere se stare con quella sensazione o cercare di capire che legami quel sogno potesse avere con la mia realtà e quindi,con tutta probabilità,perdere quella sorta d' indefinito benessere che mi aveva lasciato l'immagine.
Suonò la sveglia a lungo ed io tentai di non aprire gli occhi.
Sapevo che sarebbe stato più difficile tenere con me,in me quell'emozione buona se il mio sguardo fosse inciampato in un libro,un cd,un bicchiere vuoto un posacenere zeppo,in qualsiasi cosa avesse potuto ricordarmi altro,rimandarmi ad attimi non felici.
Sarebbe stato difficile guardare tutto quello che mi circondava come semplici "cose",alzarmi,vestirmi,uscire e andare al caffè proteggendo la mia immagine notturna.
Così continuavo a stare con gli occhi chiusi e ferma nel mio divanoletto il più possibile.
Era dura,durissima.Avevo paura che svanisse,avevo paura di me;me che probabilmente non sarei riuscita a difenderla con le unghie quella sensazione.
Mi sembrava di tenere una vela contro un vento fortissimo,conscia del fatto che un minimo movimento avrebbe cambiato la mia direzione.
Suonò la sveglia ancora una volta.
Partì anche la radio che annunciava che la giornata in città sarebbe stata calda,nessuna ombra della pioggia del giorno precedente.
Occhi ancora chiusi.
nessun rumore,potevo restare così ancora qualche minuto...
Lo speaker poi annunciò una canzone.
"Bridge over trouble water" di Simon&garfunkel.
era la mia occasione.L'occasione per legare al mio bel sogno notturno,immagini coscienti legate a quella canzone che avrebbero imprigionato la mia giornata.
Mi alzai di scatto.filai in bagno ed aprii il getto dell'acqua fredda.
Corsi in cucina,misi il caffè sui fornelli.
Scelsi una maglia verde,diedi da mangiare ai gatti.
La canzone ancora suonava,ma era agli sgoccioli.Se ricordavo bene ancora una strofa e sarebbe finita.
Bevvì il caffè,mi guardai di sfuggita allo specchio,legai i capelli in alto.
Feci fatica a non socchiudere gli occhi quando uscii di casa.
Presi il motorino.
Ero contenta di dirigermi al caffè.
E.De Luca
Credo che ci siano mattine,in cui ancora prima di aprire gli occhi decidi quale sorte avrà la tua giornata.
Lo decidi tu,e gli eventi esterni saranno solo un pretesto per avvalorare la tua tesi.
Credo ci sia,ogni mattina,un attimo di sospensione in cui,ancora accucciati nel proprio letto,con un residuo di immagini notturne nella mente,decidiamo se quella sarà una bella o brutta giornata.
Un attimo di sospensione in cui scegliamo se imprigionarci o liberarci per tutto il resto del giorno.
Quella notte avevo sognato new-york e della cioccolata.
Non ricordavo con chi fossi,o perchè stessi a new-york.Nè perchè stessi mangiando della cioccolata.Intuitivamente pensai che fosse stato un bel sogno.Dovevo solo decidere se stare con quella sensazione o cercare di capire che legami quel sogno potesse avere con la mia realtà e quindi,con tutta probabilità,perdere quella sorta d' indefinito benessere che mi aveva lasciato l'immagine.
Suonò la sveglia a lungo ed io tentai di non aprire gli occhi.
Sapevo che sarebbe stato più difficile tenere con me,in me quell'emozione buona se il mio sguardo fosse inciampato in un libro,un cd,un bicchiere vuoto un posacenere zeppo,in qualsiasi cosa avesse potuto ricordarmi altro,rimandarmi ad attimi non felici.
Sarebbe stato difficile guardare tutto quello che mi circondava come semplici "cose",alzarmi,vestirmi,uscire e andare al caffè proteggendo la mia immagine notturna.
Così continuavo a stare con gli occhi chiusi e ferma nel mio divanoletto il più possibile.
Era dura,durissima.Avevo paura che svanisse,avevo paura di me;me che probabilmente non sarei riuscita a difenderla con le unghie quella sensazione.
Mi sembrava di tenere una vela contro un vento fortissimo,conscia del fatto che un minimo movimento avrebbe cambiato la mia direzione.
Suonò la sveglia ancora una volta.
Partì anche la radio che annunciava che la giornata in città sarebbe stata calda,nessuna ombra della pioggia del giorno precedente.
Occhi ancora chiusi.
nessun rumore,potevo restare così ancora qualche minuto...
Lo speaker poi annunciò una canzone.
"Bridge over trouble water" di Simon&garfunkel.
era la mia occasione.L'occasione per legare al mio bel sogno notturno,immagini coscienti legate a quella canzone che avrebbero imprigionato la mia giornata.
Mi alzai di scatto.filai in bagno ed aprii il getto dell'acqua fredda.
Corsi in cucina,misi il caffè sui fornelli.
Scelsi una maglia verde,diedi da mangiare ai gatti.
La canzone ancora suonava,ma era agli sgoccioli.Se ricordavo bene ancora una strofa e sarebbe finita.
Bevvì il caffè,mi guardai di sfuggita allo specchio,legai i capelli in alto.
Feci fatica a non socchiudere gli occhi quando uscii di casa.
Presi il motorino.
Ero contenta di dirigermi al caffè.
venerdì, settembre 15, 2006
Minestra di patate (ovvero con un sorriso)
Questa è la ricetta per la minestra che Cristina mi ha preparato il primo giorno che entrai al cafè-gnu e che mangiai seduta sui tavolini di legno fuori con lei che mi osservava.
Cristina è davvero raro che non sorrida.
(mise anche il disco di billie,anche se lo pescò a caso tra i tanti)
"ma davero davero ti piace sarah?"mi chiese
"sarah?si comunque...è la prima cosa che riesce a piacermi della giornata"dissi accennando un sorriso incerto.
Storco sempre un pò la bocca quando sono imbarazzata.
"sai,non riesco a pronunciare il tuo nome,è strano eh!va bene se ti chiamo sarah?"
Mi misi a ridere elei lo prese come un tacito assenso.
Per i primi mesi mi chiamò sempre così.
Non serve molto:basta una qualsiasi pasta da minestra, delle patate,un pò di brodo vegetale e la salsa di pomodoro.
Fate soffriggere un pochino di cipolla nell'olio ed aggiungete poi le patate;ah dimenticavo anche un pò di sedano.
Versate brodo e salsa di pomodoro e cuocete per 20 minuti.
Intanto fate bollire l'acqua per la pasta che avete scelto.
Se vi piace il formaggio preparate del pane in cassetta con il formaggio che preferite e bruscatelo al forno.
Poi fatelo a pezzettini.
Alla fine unite salsa,pasta e crostini.
A crudo un pochino di aceto balsamico.
Quella mattina mi rimise al mondo.
Sentii sapore di paese,nonna e sole invernale.
Creò un pò di calore nello stomaco e sentii sciogliermi la gola;
ma non seppi capire se fosse merito della minestra.
Probabilmente senza qualcuno che ti guarda sorridendo mentre mangi non ha lo stesso effetto.
Cristina è davvero raro che non sorrida.
(mise anche il disco di billie,anche se lo pescò a caso tra i tanti)
"ma davero davero ti piace sarah?"mi chiese
"sarah?si comunque...è la prima cosa che riesce a piacermi della giornata"dissi accennando un sorriso incerto.
Storco sempre un pò la bocca quando sono imbarazzata.
"sai,non riesco a pronunciare il tuo nome,è strano eh!va bene se ti chiamo sarah?"
Mi misi a ridere elei lo prese come un tacito assenso.
Per i primi mesi mi chiamò sempre così.
Non serve molto:basta una qualsiasi pasta da minestra, delle patate,un pò di brodo vegetale e la salsa di pomodoro.
Fate soffriggere un pochino di cipolla nell'olio ed aggiungete poi le patate;ah dimenticavo anche un pò di sedano.
Versate brodo e salsa di pomodoro e cuocete per 20 minuti.
Intanto fate bollire l'acqua per la pasta che avete scelto.
Se vi piace il formaggio preparate del pane in cassetta con il formaggio che preferite e bruscatelo al forno.
Poi fatelo a pezzettini.
Alla fine unite salsa,pasta e crostini.
A crudo un pochino di aceto balsamico.
Quella mattina mi rimise al mondo.
Sentii sapore di paese,nonna e sole invernale.
Creò un pò di calore nello stomaco e sentii sciogliermi la gola;
ma non seppi capire se fosse merito della minestra.
Probabilmente senza qualcuno che ti guarda sorridendo mentre mangi non ha lo stesso effetto.
Questa volta...(ovvero una spiegazione)
"imagine that i'm at your mercy,imagine that your are at mine.just pretend that i've been standing here,watching you,watching me all of this time,
imagine that you are the weather in the tiny snow globe of this song. and i'm a statue of liberty one inch long.so here i'm at my most hungry,and here i'm at my most full.and here i am waving red cape,locking eyes whit a bull"
Ani Difranco
questa volta si cambia disco.
questa volta ci ascoltiamo una cantautrice americana che allora aveva il potere di anestetizzarmi.Ani Difranco.
Imagine that...
Il primo temporale ce l'aveva fatta ad arrivare portando con sè la scia di odori capaci di farti tornare alla mente anche parentesi lontanissime oramai.
Che so,un gelato e l'espressione buffa del gelataio mentre te lo porgeva,il colore di un maglione a righe,una colazione fatta con mandarini e abbracci del mulino bianco,un gioco stupido che facevi con la tua compagna di banco,una carrellata indefinita di faccette buffe.
Cose di questo tipo.
Forte nostalgia,ma di fondo un senso di pienezza.
Allora erano più le sere che tornavo a casa con una testa vuota,l'idea che avevo tempo,ma che probabilmente amare,vivere con-passione la vita di qualcun altro era quasi incompresibile.
Tornare a casa senza avere nulla da dire,continuando a pensare ad una persona che ti guarda in quel modo,come mai ti ha guardata.
Come potevo tornare a casa senza nulla da dire?solamente con quello sguardo che continua a seguirti come rimproverandoti di?
Ero piena si,ma così tanto da sentirmi schiacciata sul divano dove automaticamente ogni sera sprofondavo tornata dal cafè-gnu.
Mia madre e mia sorella dormivano sempre ed io non sapevo dove mettermi.Dormivo da poco di nuovo nel mio divanoletto e non riuscivo a prendere sonno prima di molte ora,oramai lo sapevo.
Fu così che presi a restarmene immobile sul divanoletto(evitando accuratamente di aprirlo) scegliendo un disco,diverso ogni notte e ad ascoltarlo in ripetizione.
Quella notte...ti ho amato e allora?allora adesso?ogni tanto nel silenzio del mio salone cercavo di immaginare il suo viso e provavo a parlargli.
non funzionava quasi mai.
Quella mattina qualche ora al caffè era scivolata via,l'indomani sarei tornata.Tra l'altro avevo il primo turno.
La prima vera giornata prova.
Chi avrei trovato?Cristina?era abbastanza uguale,non cambiava poi molto in fondo chi avrei trovato.
Altrimenti si muore.
Meglio questo strato di cemento sulla pelle piuttosto che.
Casa tra l'altro mi sembrava sempre più stretta le notti che tornavo.
Preferivo accendere una sola lampada in modo da non vedere il giallo che avanzava sulle pareti e che mia madre non si decideva ad eliminare con una bella mano di pittura fresca e bianca.
Mi misi a letto alla fine e la prima immagine che sognai fu la minestra di patate e pomodori che Cristina quel giorno mi aveva preparato per pranzo.
imagine that you are the weather in the tiny snow globe of this song. and i'm a statue of liberty one inch long.so here i'm at my most hungry,and here i'm at my most full.and here i am waving red cape,locking eyes whit a bull"
Ani Difranco
questa volta si cambia disco.
questa volta ci ascoltiamo una cantautrice americana che allora aveva il potere di anestetizzarmi.Ani Difranco.
Imagine that...
Il primo temporale ce l'aveva fatta ad arrivare portando con sè la scia di odori capaci di farti tornare alla mente anche parentesi lontanissime oramai.
Che so,un gelato e l'espressione buffa del gelataio mentre te lo porgeva,il colore di un maglione a righe,una colazione fatta con mandarini e abbracci del mulino bianco,un gioco stupido che facevi con la tua compagna di banco,una carrellata indefinita di faccette buffe.
Cose di questo tipo.
Forte nostalgia,ma di fondo un senso di pienezza.
Allora erano più le sere che tornavo a casa con una testa vuota,l'idea che avevo tempo,ma che probabilmente amare,vivere con-passione la vita di qualcun altro era quasi incompresibile.
Tornare a casa senza avere nulla da dire,continuando a pensare ad una persona che ti guarda in quel modo,come mai ti ha guardata.
Come potevo tornare a casa senza nulla da dire?solamente con quello sguardo che continua a seguirti come rimproverandoti di?
Ero piena si,ma così tanto da sentirmi schiacciata sul divano dove automaticamente ogni sera sprofondavo tornata dal cafè-gnu.
Mia madre e mia sorella dormivano sempre ed io non sapevo dove mettermi.Dormivo da poco di nuovo nel mio divanoletto e non riuscivo a prendere sonno prima di molte ora,oramai lo sapevo.
Fu così che presi a restarmene immobile sul divanoletto(evitando accuratamente di aprirlo) scegliendo un disco,diverso ogni notte e ad ascoltarlo in ripetizione.
Quella notte...ti ho amato e allora?allora adesso?ogni tanto nel silenzio del mio salone cercavo di immaginare il suo viso e provavo a parlargli.
non funzionava quasi mai.
Quella mattina qualche ora al caffè era scivolata via,l'indomani sarei tornata.Tra l'altro avevo il primo turno.
La prima vera giornata prova.
Chi avrei trovato?Cristina?era abbastanza uguale,non cambiava poi molto in fondo chi avrei trovato.
Altrimenti si muore.
Meglio questo strato di cemento sulla pelle piuttosto che.
Casa tra l'altro mi sembrava sempre più stretta le notti che tornavo.
Preferivo accendere una sola lampada in modo da non vedere il giallo che avanzava sulle pareti e che mia madre non si decideva ad eliminare con una bella mano di pittura fresca e bianca.
Mi misi a letto alla fine e la prima immagine che sognai fu la minestra di patate e pomodori che Cristina quel giorno mi aveva preparato per pranzo.
giovedì, settembre 14, 2006
UNA SBIRCIATA AL CAFÈ-GNU
"Un'attimo di gioia ancora,uno strappato alla vita che impaziente lo aspettava fuori al varco. Per riprenderselo di nuovo. Con le sue domande,i suoi dubbi.Le sue leggi e le sue norme. Perchè non si può far aspettare la vita. C'è sempre una porta da aprire o da chiudere"
J.C.Izzo
La prima cosa che vidi fu il verde.Poi i cucchiai.
Che non erano in un semplice portaposate, bensì incastonati nel piccolo bancone quadrato di legno scuro situato esattamente davanti la porta d'ingresso.
Ero ancora sui tre scalini dell'ingresso,accanto a C,la mia amicizia più vecchia quando la terza cosa che vidi furono loro.
Una ragazza bionda di età indefinibile,tra i venti ed i trenta pensai,ed un uomo più alto di lei con gli occhi chiari ed i capelli ricci e scuri.
Lei sorrise senza alzare neanche gli occhi dalla cassa.Lui venne incontro a C.che lavorava lì da loro da qualche mese.
Mi sembrava molto,molto alto. Rigidamente si presentò in qualità di marito della proprietaria.
Solo dopo qualche minuto mi resi conto che il piccolo locale era strapieno di gente,gente seduta,gente in piedi davanti la cassa,gente che ci passava alle spalle urtandoci.
Era l'ora di pranzo e dovevo cominciare a lavorare subito.
Per lo più impiegati,giovani,quasi tutti in giacca e cravatta,le donne in completo.
Dai gesti rapidi e sicuri si intuiva come ognuno di loro si sentisse parte della clientela abituè: il modo agile di saltare i primi tre gradini all'ingresso,l'aria falsamente casuale che assumevano mentre sceglievano il tavolo(sempre il solito scoprii in seguito),lo sguardo di intesa e complicità che lanciavano ai proprietari quando erano pronti per ordinare (atteggiamento accentuato quando venivano in compagnia di amici e/o parenti che non conoscevano il locale)
Le classiche persone che hanno giusto qualche anno più di te,ma che ti fissano come a volerti dire "tanto bella non scappi,finirai anche tu così".
Per intenderci,la folla che troveresti nei drugstore alle20e30 di sera,inenti a comprare surgelati,birra e-prestopresto-che la videoteca chiude.
Innocui.
Mi perdevo in queste ipotesi, su spaccati di vita lontani mille momenti da me,quando mi accorsi di una persona che non ero riuscita ancora a focalizzare.
Era una donna robusta,molto chiara in viso e piena di lentiggini.Fu l'unica che si presentò sorridendomi e guardandomi in faccia.
"non è italiana?"mormorai a C.
"no,lei è,Cristina è rumena,mi sembra..si si rumena"mi spiegò C.che si era intrufolata nel frattempo in cucina attraverso un archetto senza porta accanto al bancone.
"pensavo fossi un maschio"
"cosa?"
"quando ho leto il nome sul calendario dei turni pensavo fosi un ragazzetto!" cristina mi disse così e poi scoppiò in una risata davvero deliziosa.
Sorrisi anche io,ed anche C.che intanto parlava con la bionda ed il marito che ogni tanto mi scrutavano senza però muovere un passo in mia direzione.
Il locale poteva essere tranquillamente un posto del sud america,Argentina, pensai quel giorno.
Anche se io in Argentina non c'ero mai stata e non avevo idea di che tipo di locali potessero esserci lì.Forse era per il tango.C'era un cd di tango anche se le voci fortissime dei clienti permettevano solo di ascoltarlo ad intervalli irregolari.
Per il resto era piacevole:una piccola elle,con tavolini in legno da due posti,alcuni quadri di dubbio gusto, ma molto colorati,le pareti verdi e un muretto sul modello loft-statunitense che perimetrava tutto il locale.Tre finestre grandi con davanti candele,lampade e giornali gratuiti che descrivevano la vita del quartiere,uno dei più altolocati della città.
"Devo andare via,devo andare in trattoria a lavorare stasera,chiamami dopo,mi dici come è andata"e già C. era schizzata via dal cafè-gnu.
Loro erano ancora lì dietro al bancone e stavolta mi osservavano abbastanza esplicitamente.
Neanche il tempo di riflettere se fosse semplice maleducazione o comportamentò da cui essere messe in soggezione,che una voce mi scosse.Proveniva dalla porta della cucina.
"Vieni,vieni che adesso arriva tuta la gente e ti renderai conto che casino qui sempre!"
Cristina mi legò la parannanza nera intorno la vita e mi trascinò in cucina chiedendomi che cosa volessi per pranzo.
J.C.Izzo
La prima cosa che vidi fu il verde.Poi i cucchiai.
Che non erano in un semplice portaposate, bensì incastonati nel piccolo bancone quadrato di legno scuro situato esattamente davanti la porta d'ingresso.
Ero ancora sui tre scalini dell'ingresso,accanto a C,la mia amicizia più vecchia quando la terza cosa che vidi furono loro.
Una ragazza bionda di età indefinibile,tra i venti ed i trenta pensai,ed un uomo più alto di lei con gli occhi chiari ed i capelli ricci e scuri.
Lei sorrise senza alzare neanche gli occhi dalla cassa.Lui venne incontro a C.che lavorava lì da loro da qualche mese.
Mi sembrava molto,molto alto. Rigidamente si presentò in qualità di marito della proprietaria.
Solo dopo qualche minuto mi resi conto che il piccolo locale era strapieno di gente,gente seduta,gente in piedi davanti la cassa,gente che ci passava alle spalle urtandoci.
Era l'ora di pranzo e dovevo cominciare a lavorare subito.
Per lo più impiegati,giovani,quasi tutti in giacca e cravatta,le donne in completo.
Dai gesti rapidi e sicuri si intuiva come ognuno di loro si sentisse parte della clientela abituè: il modo agile di saltare i primi tre gradini all'ingresso,l'aria falsamente casuale che assumevano mentre sceglievano il tavolo(sempre il solito scoprii in seguito),lo sguardo di intesa e complicità che lanciavano ai proprietari quando erano pronti per ordinare (atteggiamento accentuato quando venivano in compagnia di amici e/o parenti che non conoscevano il locale)
Le classiche persone che hanno giusto qualche anno più di te,ma che ti fissano come a volerti dire "tanto bella non scappi,finirai anche tu così".
Per intenderci,la folla che troveresti nei drugstore alle20e30 di sera,inenti a comprare surgelati,birra e-prestopresto-che la videoteca chiude.
Innocui.
Mi perdevo in queste ipotesi, su spaccati di vita lontani mille momenti da me,quando mi accorsi di una persona che non ero riuscita ancora a focalizzare.
Era una donna robusta,molto chiara in viso e piena di lentiggini.Fu l'unica che si presentò sorridendomi e guardandomi in faccia.
"non è italiana?"mormorai a C.
"no,lei è,Cristina è rumena,mi sembra..si si rumena"mi spiegò C.che si era intrufolata nel frattempo in cucina attraverso un archetto senza porta accanto al bancone.
"pensavo fossi un maschio"
"cosa?"
"quando ho leto il nome sul calendario dei turni pensavo fosi un ragazzetto!" cristina mi disse così e poi scoppiò in una risata davvero deliziosa.
Sorrisi anche io,ed anche C.che intanto parlava con la bionda ed il marito che ogni tanto mi scrutavano senza però muovere un passo in mia direzione.
Il locale poteva essere tranquillamente un posto del sud america,Argentina, pensai quel giorno.
Anche se io in Argentina non c'ero mai stata e non avevo idea di che tipo di locali potessero esserci lì.Forse era per il tango.C'era un cd di tango anche se le voci fortissime dei clienti permettevano solo di ascoltarlo ad intervalli irregolari.
Per il resto era piacevole:una piccola elle,con tavolini in legno da due posti,alcuni quadri di dubbio gusto, ma molto colorati,le pareti verdi e un muretto sul modello loft-statunitense che perimetrava tutto il locale.Tre finestre grandi con davanti candele,lampade e giornali gratuiti che descrivevano la vita del quartiere,uno dei più altolocati della città.
"Devo andare via,devo andare in trattoria a lavorare stasera,chiamami dopo,mi dici come è andata"e già C. era schizzata via dal cafè-gnu.
Loro erano ancora lì dietro al bancone e stavolta mi osservavano abbastanza esplicitamente.
Neanche il tempo di riflettere se fosse semplice maleducazione o comportamentò da cui essere messe in soggezione,che una voce mi scosse.Proveniva dalla porta della cucina.
"Vieni,vieni che adesso arriva tuta la gente e ti renderai conto che casino qui sempre!"
Cristina mi legò la parannanza nera intorno la vita e mi trascinò in cucina chiedendomi che cosa volessi per pranzo.
martedì, settembre 12, 2006
PERCHÈ ALTRIMENTI SI MUORE
1)I'M A FOOL TO WANT YOU (ovvero un preludio)
"lady in satin"è disco di billie holiday,il mio preferito in assoluto.
Quando entrai la prima volta al cafè-gnu c'era questa canzone.
i'm a fool to want you.
anche io ero reduce da una fine.
questo disco allora lo avevo sotto la pelle.
il giorno che cominciai a lavorare al caffè-gnu ero convinta che ogni storia andasse dimenticata.
2)PERCHÈ ALTRIMENTI SI MUORE (ovvero una sorta d'inizio)
prima ci disperdemmo tra la folla,voltandoci le spalle e cominciando da quel momento ad essere due perfetti sconosciuti.
Poi la sensazione che annullare qualsiasi cosa fossimo stati insieme negli ultimi anni fosse l'unica soluzione possibile per poter vivere.
Perchè altrimenti si muore.
O dimentichi la tua storia,o altrimenti si muore.
Come potrebbe la gente crescendo accumulare storie su storie senza impazzire,senza non morire?no,non si poteva.
era naturale,era nell'ordine delle cose.
Questo pensavo.O meglio lui, che allora era parte di me, pensava.
Ed io,per non perdere qualcosa che giudicavo fondamentale come una gamba,un braccio,un occhio mi convinsi che era anche un mio pensiero:anche io seguii l'idea che in fondo ora potevamo essere semplicemente due persone che si trovano gradevoli a vicenda e che ogni tanto potevano conversare del tempo o di qualcosa di veramente poco importante.
Perchè altrimenti si muore.O si dimentica,o così o...altrimenti si muore.
Questo pensavo la mattina che cominciai a lavorare.
Finchè non aspettai una lunga mezz'ora il tram 19 e mi presentai lì al cafè-gnu dove nessuno mi aveva mai vista e dove ero io, io sola.
Cercavo lavoro per poter avere finalmente una casa tutta mia.
Questo sapevo oltre al fatto che si dovesse lottare affinchè nessuna storia ti restasse sulla pelle.
Così cercai di neutralizzare il mal di testa fortissimo,unico ricordo fisico della conversazione con lui,aprii la porta del caffè ed entrai.
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