"Un'attimo di gioia ancora,uno strappato alla vita che impaziente lo aspettava fuori al varco. Per riprenderselo di nuovo. Con le sue domande,i suoi dubbi.Le sue leggi e le sue norme. Perchè non si può far aspettare la vita. C'è sempre una porta da aprire o da chiudere"
J.C.Izzo
La prima cosa che vidi fu il verde.Poi i cucchiai.
Che non erano in un semplice portaposate, bensì incastonati nel piccolo bancone quadrato di legno scuro situato esattamente davanti la porta d'ingresso.
Ero ancora sui tre scalini dell'ingresso,accanto a C,la mia amicizia più vecchia quando la terza cosa che vidi furono loro.
Una ragazza bionda di età indefinibile,tra i venti ed i trenta pensai,ed un uomo più alto di lei con gli occhi chiari ed i capelli ricci e scuri.
Lei sorrise senza alzare neanche gli occhi dalla cassa.Lui venne incontro a C.che lavorava lì da loro da qualche mese.
Mi sembrava molto,molto alto. Rigidamente si presentò in qualità di marito della proprietaria.
Solo dopo qualche minuto mi resi conto che il piccolo locale era strapieno di gente,gente seduta,gente in piedi davanti la cassa,gente che ci passava alle spalle urtandoci.
Era l'ora di pranzo e dovevo cominciare a lavorare subito.
Per lo più impiegati,giovani,quasi tutti in giacca e cravatta,le donne in completo.
Dai gesti rapidi e sicuri si intuiva come ognuno di loro si sentisse parte della clientela abituè: il modo agile di saltare i primi tre gradini all'ingresso,l'aria falsamente casuale che assumevano mentre sceglievano il tavolo(sempre il solito scoprii in seguito),lo sguardo di intesa e complicità che lanciavano ai proprietari quando erano pronti per ordinare (atteggiamento accentuato quando venivano in compagnia di amici e/o parenti che non conoscevano il locale)
Le classiche persone che hanno giusto qualche anno più di te,ma che ti fissano come a volerti dire "tanto bella non scappi,finirai anche tu così".
Per intenderci,la folla che troveresti nei drugstore alle20e30 di sera,inenti a comprare surgelati,birra e-prestopresto-che la videoteca chiude.
Innocui.
Mi perdevo in queste ipotesi, su spaccati di vita lontani mille momenti da me,quando mi accorsi di una persona che non ero riuscita ancora a focalizzare.
Era una donna robusta,molto chiara in viso e piena di lentiggini.Fu l'unica che si presentò sorridendomi e guardandomi in faccia.
"non è italiana?"mormorai a C.
"no,lei è,Cristina è rumena,mi sembra..si si rumena"mi spiegò C.che si era intrufolata nel frattempo in cucina attraverso un archetto senza porta accanto al bancone.
"pensavo fossi un maschio"
"cosa?"
"quando ho leto il nome sul calendario dei turni pensavo fosi un ragazzetto!" cristina mi disse così e poi scoppiò in una risata davvero deliziosa.
Sorrisi anche io,ed anche C.che intanto parlava con la bionda ed il marito che ogni tanto mi scrutavano senza però muovere un passo in mia direzione.
Il locale poteva essere tranquillamente un posto del sud america,Argentina, pensai quel giorno.
Anche se io in Argentina non c'ero mai stata e non avevo idea di che tipo di locali potessero esserci lì.Forse era per il tango.C'era un cd di tango anche se le voci fortissime dei clienti permettevano solo di ascoltarlo ad intervalli irregolari.
Per il resto era piacevole:una piccola elle,con tavolini in legno da due posti,alcuni quadri di dubbio gusto, ma molto colorati,le pareti verdi e un muretto sul modello loft-statunitense che perimetrava tutto il locale.Tre finestre grandi con davanti candele,lampade e giornali gratuiti che descrivevano la vita del quartiere,uno dei più altolocati della città.
"Devo andare via,devo andare in trattoria a lavorare stasera,chiamami dopo,mi dici come è andata"e già C. era schizzata via dal cafè-gnu.
Loro erano ancora lì dietro al bancone e stavolta mi osservavano abbastanza esplicitamente.
Neanche il tempo di riflettere se fosse semplice maleducazione o comportamentò da cui essere messe in soggezione,che una voce mi scosse.Proveniva dalla porta della cucina.
"Vieni,vieni che adesso arriva tuta la gente e ti renderai conto che casino qui sempre!"
Cristina mi legò la parannanza nera intorno la vita e mi trascinò in cucina chiedendomi che cosa volessi per pranzo.
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