Qualcuno un pomeriggio mi disse che ero simile ad un pezzo di Bill Evans,"Peace Piece".
Oggi ce lo ascoltiamo tutto,più volte se necessario e se possibile distesi sul letto.La posizione orizzontale porta solitamente a chiudere gli occhi e questo pezzo di piano non è possibile ascoltarlo ad occhi aperti.Il corpo invece,quello si che sarà bene tenerlo in tensione il più possibile,in ascolto il più possibile.
Qualcuno mi disse che ero esattamente come questa canzone,con tutti i suoi bassi ed i suoi acuti e le sue contraddizioni.Così allora lo ascoltai più e più volte tentando di riconoscermi in quelle note,finchè suggestionata pensai che io ero esattamente questo "pezzo di pace".
Un pranzo,all'incirca verso fine ottobre,incrociai mia madre in cucina.Era una di quelle giornate che aveva deciso di essere stanca ed annoiata per lavorare ed io di conseguenza mi sentii stanca ed annoiata abbastanza da non andare all'università.La sera prima inoltre ricordo che presi appuntamento con gli altri ragazzi per vedere una casa il pomeriggio seguente.
Credo che mia madre avesse sentito la mia telefonata,ma era solo un dubbio,che divenne certezza quel giorno a pranzo quando volle raccontarmi un sogno che aveva fatto.Non lo faceva mai,eppure non mi sembrò strano;mentre si sedeva e si accendeva una sigaretta io ascoltavo il mio "pezzo di pace"e mi concentravo per impanare la mia fettina di carne nella farina il più meticolosamente possibile.Non la guardai e lei non guardava me,parlava come se stesse spiegando un documento a qualche suo superiore.Non credo badò molto alla musica che c'era in sottofondo,l'unica affermazione che fece fu qualcosa a proposito della luce calda che c'era quel giorno.
E poi cadevo,ricordo solo questa sensazione.Era come non toccare mai per terra...cadevo piano,lentamente ed avevo la certezza che a lanciarmi fossi stata io,nessuno mi aveva spinta,ma continuavo a cadere e credo che mi lanciai da un balcone.Poi la neve,quella la ricordo bene,che c'era tanta neve.Mi sono dovuta alzare sai e venire in camera tua a vedere se c'eri,perchè avevo ancora l'impressione di essere sola in mezzo a tutta quella neve e quando mi sono svegliata nonostante mi sono resa conto subito di essere in camera mia,l'impressione di scivolare e di solitudine ce l'avevo ancora addosso,così sono venuta a vedere se stavi nel tuo letto.
Mi disse qualcosa di poco importante sul gatto e così come era venta se ne andò dalla cucina.Continuai a rotolare la mia carne nella farina che mi sembrava essere diventata come neve e in un attimo un'immagine che era più una sensazione vaga.La sentivo da quando mi ero svegliata e mi concentravo da ore per capire che immagine fosse,che colori e odori avesse.Continuavo a girare quella carne e a concentrarmi,lo sforzo era fortissimo.L'unica parte viva del mio corpo in quel momento erano gli occhi e la fronte,il resto era come anestetizzato,la pelle,le braccia e le gambe le avevo come dimenticate,non le sentivo più.
Poi l'odore della sua camicia da notte,il caldo della mia coperta ed una luce fiochissima intorno la serranda della mia finestra mi fecero ricordare.Quella notte o mattina l'avevo sentita entrare e sedersi sul mio letto e "sei la sola cosa riuscita nella mia vita"detta quasi con una risatina ingenua.
Questo ricordai e anche la decisione che presi in quel dormi veglia di riaddormentarmi subito,immediatamente.
Ecco cosa era stato.Poi nient altro.Mi ero semplicemente alzata con il desiderio di ascoltare il mio "peace piece",concentrarmi e ricercarmi in quelle note.Nella calma e nella contraddizione e negli acuti e negli accompagnamenti di sottofondo.
Anche quando lasciò la cucina ed io continuai con carne e neve non ricordo di aver smesso di cercarmi,di combaciare con quel pezzo di pace che non riusciva mai a tranquillizzarmi.
La rividi fuori dalla finestra che dava da mangiare ai gatti,alzai il volume dello stereo,rimisi daccapo la canzone continuai a fissarla senza farmi vedere.In una perenne contraddizione era perfetta là fuori con questa musica che io solo sentivo in quel momento,credo infatti che fuori arrivasse un unico suono lungo e ovattato.
Lei era così,si adattava perfettamente,ci si adagiava e le rifletteva tutte quante.
Io continuai ad ascoltarla senza riuscire se non per brevi istanti a vedermi insieme a mia madre e a quelle note.
martedì, ottobre 31, 2006
lunedì, ottobre 23, 2006
SOLITARIO(#3)
"Molto forte,incredibilmente vicino"
J.S.Foer
Quando mi risedetti accanto a lui gli chiesi che giornale stesse leggendo e se voleva dell'altro vino.A quel tempo una delle cose che mi faceva vacillare di più era notare negli altri una non totale simpatia o empatia nei miei confronti.Non aveva molta importanza allora chi avessi davanti,poteva trattarsi tranquillamente di una persona di cui non mi interessava nulla,eppure dovevo a tutti i costi contare qualcosa,positivamente intendo dire.Così,dopo la tensione che si era creata quella sera,sentii il bisogno di essere gentile nei suoi riguardi,nonostante non ne avessi assolutamente voglia,ma dovevo esserlo.Lo guardai mentre mi spiegava che giornale fosse accennando anche piccoli sorrisi.Va tutto bene,non c'è motivo di mettersi sulla difensiva inutilmente.Volevo dirgli questo con quella piccola attenzione.Ti ho osservato,ti ho guardato le altre sere,avevo notato il giornale anche,non è inutile ascoltare la tua storia,mi interessa davvero.
Non so se colse tutto questo mio sforzo di telepatia.Qualunque cosa stesse pensando continuò a raccontare.Mi bastò quello.
"Non mi guardi così.Non sono deluso o arrabbiato con lei.Per me poteva anche rientrare nel locale e non rivolgermi più parola,è liberissima di farlo.Credo però che abbia voglia di ascoltarmi e credo anche che io abbia detto qualcosa che l'ha toccata in qualche modo,da qualche parte.Sbaglio?La prego non mi faccia passare per presuntuoso ancora una volta;le dico solo quello che vedo,che sembra palese e no,non può dirmi che non si sia risentita in qualche modo.Magari però lei non lo sta pensando vero?Guardi io non volevo farlo,lasciare Marìa intendo.Può anche non credermi,ma io Marìa ero convinto di amarla profondamente la sera che mi misi a dormire e quando spensi la luce mi concentrai come avevo fatto per anni sulla sua pancia che respirando faceva un lievissimo movimento sotto la coperta.La mattina stavo così male invece,così insopportabilmente male...il petto lo sentivo sul punto di esplodere e la doccia non mi fece sentire meglio.Andai nel salone della nostra piccola casa,in un quartiere abbastanza periferico di Buenosaires,e andai verso il giradischi come ogni mattina;misi un disco di Mercedes Sosa.Accadde allora,più manifestatamente intendo dire.Marìa era accanto a me e quando sistemai la puntina sul disco la canzone cominciò ad un volume altissimo.Dovemmo metterci entrambi le mani sulle orecchie,perchè era insopportabile.Quando riuscii ad abbassare mi voltai come una furia verso di lei,temo che la guardai con un odio viscerale e profondo,in quel momento non era importante se fosse davvero colpa sua,se avesse lei mosso magari spolverando,la manovella del volume.Continuavo a guardarla duramente,chiedendole perchè,solamente perchè.Lei restò immobile,continuava a fissarmi sbigottita e non riusciva a dire nulla,mi guardava e basta.Io quello sguardo ce l'ho ancora qui e non so,un pò quello che tentavo di dirle prima,sento tutto questo molto forte,vicino,ma quando provo a ricongiungere i punti di quel nostro ultimo incontro tutto si perde,io mi perdo,il suo viso si perde.E soprattutto si perde il perchè.Perchè la odiai,perchè volli andare via,senza prendere nulla,venendo qui in Italia solo perchè da anni avevo un cugino che viveva qui;per continuare poi a fare il correttore di bozze in una piccola casa editrice,cosa che mi sembrava di fare felicemente nella mia città.ma sa,uno può stare una vita a chiedersi queste cose,ma finchè non ci si stacca dalla concretezza,dall'evidenza di alcuni fatti io credo che non si trovi proprio un bel niente.Posso continuare a chiedermi cosa non andasse tra me e Marìa,o tra me ed il lavoro o tra me e l'Argentina.Non ho trovato una sola risposta che valga la pena di analizzare,per anni l'ho fatto ed il risultato sono stati una manciata di anni vissuti più per l'abitudine a vivere che per altro.Così l'altra sera quando lei ha messo quel disco ho dovuto smettere di bere perchè per un secondo il viso di Marìa è riapparso così nitidamente da farmi male.E di nuovo la paura,la paura folle che fosse morta che io l'avessi uccisa,tra l'altro senza un perchè,senza aver trovato un motivo che potesse lasciarmi libero da lei in questa nuova vita.Ho fatto qualcosa di profondamente sbagliato e continuo a non capire dove devo riprendere il filo e ricominciare,quando sento il desiderio di farlo...ecco la sensazione di avere tutto forte e molto vicino,ma di non avercelo sulla pelle,dentro la pelle.A quel punto non so più cosa fare e semplicemente mi metto in attesa."
In silenzio tutto il tempo lo guardai con paura.Egoista e arrabbiata non pensai che a Marìa,dove fosse,cosa stesse facendo,se aveva un nuovo amore.Per lui non provai allora nesusna pena o compassione.
Quello che non mi fu chiaro allora era il motivo della mia paura.In realtà non tanto la storia,quanto il suo modo di raccontarla entrò con una prepotenza incredibile nella mia giornata.Non lo ammisi,ma temevo che concludesse tutto con uno sguardo,un parallelo lanciato tra me e lui attraverso un silenzio complice.Temevo quella sera che in fondo anche io avrei potuto uccidere qualcuno,se non lo avevo ancora fatto.Io credo che pensò questo,o fui io a pensarlo?
Lasciai che se ne andasse,dicendomi che la domenica successiva sarebbe tornato e l'ultima cosa che pensai fu che alle volte si riceve violenza da tutte le parti.In momenti che non ti aspetti e da persone che con la tua vita non c'entrano un bel niente.
Perchè lui con me,non aveva assolutamente niente a che vedere.
J.S.Foer
Quando mi risedetti accanto a lui gli chiesi che giornale stesse leggendo e se voleva dell'altro vino.A quel tempo una delle cose che mi faceva vacillare di più era notare negli altri una non totale simpatia o empatia nei miei confronti.Non aveva molta importanza allora chi avessi davanti,poteva trattarsi tranquillamente di una persona di cui non mi interessava nulla,eppure dovevo a tutti i costi contare qualcosa,positivamente intendo dire.Così,dopo la tensione che si era creata quella sera,sentii il bisogno di essere gentile nei suoi riguardi,nonostante non ne avessi assolutamente voglia,ma dovevo esserlo.Lo guardai mentre mi spiegava che giornale fosse accennando anche piccoli sorrisi.Va tutto bene,non c'è motivo di mettersi sulla difensiva inutilmente.Volevo dirgli questo con quella piccola attenzione.Ti ho osservato,ti ho guardato le altre sere,avevo notato il giornale anche,non è inutile ascoltare la tua storia,mi interessa davvero.
Non so se colse tutto questo mio sforzo di telepatia.Qualunque cosa stesse pensando continuò a raccontare.Mi bastò quello.
"Non mi guardi così.Non sono deluso o arrabbiato con lei.Per me poteva anche rientrare nel locale e non rivolgermi più parola,è liberissima di farlo.Credo però che abbia voglia di ascoltarmi e credo anche che io abbia detto qualcosa che l'ha toccata in qualche modo,da qualche parte.Sbaglio?La prego non mi faccia passare per presuntuoso ancora una volta;le dico solo quello che vedo,che sembra palese e no,non può dirmi che non si sia risentita in qualche modo.Magari però lei non lo sta pensando vero?Guardi io non volevo farlo,lasciare Marìa intendo.Può anche non credermi,ma io Marìa ero convinto di amarla profondamente la sera che mi misi a dormire e quando spensi la luce mi concentrai come avevo fatto per anni sulla sua pancia che respirando faceva un lievissimo movimento sotto la coperta.La mattina stavo così male invece,così insopportabilmente male...il petto lo sentivo sul punto di esplodere e la doccia non mi fece sentire meglio.Andai nel salone della nostra piccola casa,in un quartiere abbastanza periferico di Buenosaires,e andai verso il giradischi come ogni mattina;misi un disco di Mercedes Sosa.Accadde allora,più manifestatamente intendo dire.Marìa era accanto a me e quando sistemai la puntina sul disco la canzone cominciò ad un volume altissimo.Dovemmo metterci entrambi le mani sulle orecchie,perchè era insopportabile.Quando riuscii ad abbassare mi voltai come una furia verso di lei,temo che la guardai con un odio viscerale e profondo,in quel momento non era importante se fosse davvero colpa sua,se avesse lei mosso magari spolverando,la manovella del volume.Continuavo a guardarla duramente,chiedendole perchè,solamente perchè.Lei restò immobile,continuava a fissarmi sbigottita e non riusciva a dire nulla,mi guardava e basta.Io quello sguardo ce l'ho ancora qui e non so,un pò quello che tentavo di dirle prima,sento tutto questo molto forte,vicino,ma quando provo a ricongiungere i punti di quel nostro ultimo incontro tutto si perde,io mi perdo,il suo viso si perde.E soprattutto si perde il perchè.Perchè la odiai,perchè volli andare via,senza prendere nulla,venendo qui in Italia solo perchè da anni avevo un cugino che viveva qui;per continuare poi a fare il correttore di bozze in una piccola casa editrice,cosa che mi sembrava di fare felicemente nella mia città.ma sa,uno può stare una vita a chiedersi queste cose,ma finchè non ci si stacca dalla concretezza,dall'evidenza di alcuni fatti io credo che non si trovi proprio un bel niente.Posso continuare a chiedermi cosa non andasse tra me e Marìa,o tra me ed il lavoro o tra me e l'Argentina.Non ho trovato una sola risposta che valga la pena di analizzare,per anni l'ho fatto ed il risultato sono stati una manciata di anni vissuti più per l'abitudine a vivere che per altro.Così l'altra sera quando lei ha messo quel disco ho dovuto smettere di bere perchè per un secondo il viso di Marìa è riapparso così nitidamente da farmi male.E di nuovo la paura,la paura folle che fosse morta che io l'avessi uccisa,tra l'altro senza un perchè,senza aver trovato un motivo che potesse lasciarmi libero da lei in questa nuova vita.Ho fatto qualcosa di profondamente sbagliato e continuo a non capire dove devo riprendere il filo e ricominciare,quando sento il desiderio di farlo...ecco la sensazione di avere tutto forte e molto vicino,ma di non avercelo sulla pelle,dentro la pelle.A quel punto non so più cosa fare e semplicemente mi metto in attesa."
In silenzio tutto il tempo lo guardai con paura.Egoista e arrabbiata non pensai che a Marìa,dove fosse,cosa stesse facendo,se aveva un nuovo amore.Per lui non provai allora nesusna pena o compassione.
Quello che non mi fu chiaro allora era il motivo della mia paura.In realtà non tanto la storia,quanto il suo modo di raccontarla entrò con una prepotenza incredibile nella mia giornata.Non lo ammisi,ma temevo che concludesse tutto con uno sguardo,un parallelo lanciato tra me e lui attraverso un silenzio complice.Temevo quella sera che in fondo anche io avrei potuto uccidere qualcuno,se non lo avevo ancora fatto.Io credo che pensò questo,o fui io a pensarlo?
Lasciai che se ne andasse,dicendomi che la domenica successiva sarebbe tornato e l'ultima cosa che pensai fu che alle volte si riceve violenza da tutte le parti.In momenti che non ti aspetti e da persone che con la tua vita non c'entrano un bel niente.
Perchè lui con me,non aveva assolutamente niente a che vedere.
domenica, ottobre 22, 2006
LEI NON HA MAI UCCISO NESSUNO
"Guardi,vivere lontano dall'Argentina è una cosa che non avrei mai creduto possibile.Trovarmi ad un bar da solo ogni domenica a bere vino...bè,non mi vedevo un tipo così appena una manciata di anni fa.L'idea poi di essermi svegliato una mattina,respirando faticosamente ed aver deciso così in un attimo di lasciare tutto...può immaginare che non è proprio la cosa che pensi di provare quando la sera prima come mille altre sere ti sei addormentato accanto la persona che hai avuto vicino per una vita.Insomma non so se mi spiego...una sera sei come sempre hai pensato di essere,la mattina decidi di lasciare tutto.O lasci o lasci,così...senza altra soluzione possibile.Così lo fai ed uccidi due persone nello stesso tempo:la persona che da una vita hai avuto con te e la persona che tu sei stato durante tutto quel tempo.Uccidere qualcuno è qualcosa di inimmaginabile.Avere la presunzione di averlo fatto è ancora peggio.Addio Buenosaires,addio mujer mìa.Non ho mai avuto il coraggio di cercare di sapere come stesse,così una sera pensai che forse l'avevo uccisa,che probabilmente non esisteva più.Un giorno avevo il suo viso chiaramente delineato,il giorno dopo sentii che mi era svanita sotto gli occhi.In preda ad un angoscia silenziosissima pensai che non c'era più,che fosse sparita.In quegli istanti l'unica cosa che mi ricordava di esserci ancora era il petto che mi batteva fortissimo.Poi la sensazione di essermi perso e dissolto anche io.Provai anche il desiderio a quel punto di vedere davvero se le fosse successo qualcosa,ma era un desiderio vissuto con la sensazione di impossibilità.Non potevo fare altro che pensare che non ci fosse più,non potevo non pensare che non avrei mai potuto saperlo.Stringevo gli occhi,sentivo le rughe sulla fronte delinearsi,mi concentravo nel nulla cercando nulla.Era presente sempre,ma nel momento in cui cercavo di toccare un odore,un colore,un'espressione allora mi accorgevo che non ci riuscivo che era svanita nuovamente.Eppure da qualche parte era perchè la sentivo,ancora molto forte.Mi lasci bere un attimo il mio vino perchè l'ho intristita,ed era l'ultima cosa che volevo fare."
Pensai che no,non era affatto giusto che quella domenica mi intristisse,che non lo avevo scelto io e la mia giornata era destinata ad altro.Mi alzai lasciandolo da solo a bere il vino e rientrai nel caffè.Lui aveva lasciato la suerte en el vento,io non lasciavo in balia di una storia assurda le mie sensazioni,non quella volta.Provai rabbia e ruppi una tazzina e poi piansi un pò.Tornai fuori e lo guardai e gli dissi che poteva pure continuare a raccontare se lo faceva sentire meglio perchè tanto,fortunatamente,io ero lontana dal provare le cose di cui lui confusamente parlava e che no,non avevo ucciso nessuno.Almeno io non avevo la presunzione di credere di averlo fatto.
Pensai che no,non era affatto giusto che quella domenica mi intristisse,che non lo avevo scelto io e la mia giornata era destinata ad altro.Mi alzai lasciandolo da solo a bere il vino e rientrai nel caffè.Lui aveva lasciato la suerte en el vento,io non lasciavo in balia di una storia assurda le mie sensazioni,non quella volta.Provai rabbia e ruppi una tazzina e poi piansi un pò.Tornai fuori e lo guardai e gli dissi che poteva pure continuare a raccontare se lo faceva sentire meglio perchè tanto,fortunatamente,io ero lontana dal provare le cose di cui lui confusamente parlava e che no,non avevo ucciso nessuno.Almeno io non avevo la presunzione di credere di averlo fatto.
SOLITARIO(#2)
Domenica.Ce ne sono di almeno due tipi secondo me.Lo pensai quella domenica e lo penso tutt'ora.
C'è la domenica che dura una manciata di ore,una breve parentesi di luce pomeridiana,poi presto il buio ed un leggero sonno,una sorta di lentezza che non ti abbandona fino al momento in cui ti addormenti.C'è poi la domenica di sole e freddo,iniziata presto,con un senso di accellerazione costante.Una giornata dilatata finchè e possibile,di passeggiate e vino o momenti sospesi tra il piumone ed un libro.Lunga sembra non avere mai fine.
Era una domenica così,di quelle lunghe ma solo per una casualità.La finestra dimenticata aperta la notte prima mi aveva assicurato una domenica da sveglia.Così non dovetti andare al locale dopo poche ore da che avevo lasciato il letto.Non avevo solo una vaga sensazione di colazione e attesa alla fermata e qualche viso estraneo focalizzato di sfuggita.No.quella domenica arrivata al locale avevo sulla pelle,sotto la pelle una piazza del centro con giornali e pizza del forno,sole sul ponte che attraversai per raggiungere C. al bar dove da mesi osservava e si lasciava osservare dal ragazzo che ci lavorava e che allora non credeva(immagino)avrebbe fatto presto parte della sua vita.Sotto la pelle c'era il gradino del bar ed il caffè e pagine svogliate e stropicciate e capelli lunghi,nerissimi del ragazzo.E C.sorridente.Una giornata da respirarsi lentamente e profondamente,da sentire per bene,da prendere e portare con sè.
Poi giacca viola,scarpe viola,blu del jeans.Ed ancora giacca,scarpe,blu.Cominciai a camminare verso il locale nonostante fosse molto lontano dalla piazza dove mi trovavo.Camminai,testa bassa,concentrata sui colori dei miei abiti con i quali facevo accostamenti cromatici,paralleli di pieghe ed altri giochetti visivi con i quali mi sembrava di trovare infinite simmetrie.Camminai così perchè avevo voglia di guardare e respirare forte e sentire la fatica che ti fa arrossare tutto il viso e sentire addosso una sorta di formicolio ovunque.Arrivai al locale con le tempie che mi pulsavano e inginocchiarsi per alzare la saracinesca mi fece girare la testa.
Arrivò puntuale come sempre lui.Chissà se per caso o no,per prima cosa, misi il tavolino dove lui solitamente si sedeva.Quando si sedette mi guardò e prima ancora di chiedermi il solito vino,le sopracciglia disegnarono uno sguardo interrogativo.Quando mi invitò a sedersi con lui dato che era il solo cliente ancora stavo respirando affannata e non mi accorsi che respirai così tutto il tempo in cui ascoltai la sua voce raccontarmi che era argentino e che il motivo per cui tornava sempre era che la prima sera che venne c'era un disco di Mercedes Sosa che lo avevo fatto sentire a casa.
La musica che è riuscita a commuovermi anche se io non riesco mai a commuovermi.E poi il suo viso che sa,alle volte mi è sembrato così lontano e malinconico da ricordarmi la prima ragazza con cui uscii da ragazzo.Non so chi sia lei,ma ho avuto voglia di parlarle,ma forse lei da barman ne incontra ogni sera di persone che hanno la presunzione di credere che la loro di storia valga la pena di essere raccontata ed ascoltata.O sbaglio?Io sono l'ennesimo vecchio che vuole raccontarle qualcosa,con l'intenzione malnascosta di darle un consiglio.E' strano penserà lei,dato che non so un bel niente della sua vita e di cosa fa e vuole...però che le devo dire?banalmente ho desiderato di parlarle...quando la vedo perdersi con lo sguardo chissà dove ho voglia di dirle che passa,passa tutto e allo stesso tempo di non dirle niente ed aspettare che torni a guardare tutto quello che ha accanto,anche se la sua espressione diventa meno bella,meno intensa.La sto annoiando?Posso raccontarle perchè ho così tanta voglia di raccontarle?
Lo fissai per un pò,sorrisi anche mi sembra,con la bocca storta,senza dire niente.Stavo pensando che avevo voglia di ascoltarlo.Quale consiglio però pensava di darmi?La presunzione mi fece desiderare che non mi dicesse proprio nulla.
Restai in bilico ancora qualche minuto(o forse solo secondi) tra queste due sensazioni opposte,cercando di capire quale la mia pelle ricercasse di più.
Lui prese a raccontare.Evidentemente il mio viso era stato più chiaro di tutti i miei pensieri.
C'è la domenica che dura una manciata di ore,una breve parentesi di luce pomeridiana,poi presto il buio ed un leggero sonno,una sorta di lentezza che non ti abbandona fino al momento in cui ti addormenti.C'è poi la domenica di sole e freddo,iniziata presto,con un senso di accellerazione costante.Una giornata dilatata finchè e possibile,di passeggiate e vino o momenti sospesi tra il piumone ed un libro.Lunga sembra non avere mai fine.
Era una domenica così,di quelle lunghe ma solo per una casualità.La finestra dimenticata aperta la notte prima mi aveva assicurato una domenica da sveglia.Così non dovetti andare al locale dopo poche ore da che avevo lasciato il letto.Non avevo solo una vaga sensazione di colazione e attesa alla fermata e qualche viso estraneo focalizzato di sfuggita.No.quella domenica arrivata al locale avevo sulla pelle,sotto la pelle una piazza del centro con giornali e pizza del forno,sole sul ponte che attraversai per raggiungere C. al bar dove da mesi osservava e si lasciava osservare dal ragazzo che ci lavorava e che allora non credeva(immagino)avrebbe fatto presto parte della sua vita.Sotto la pelle c'era il gradino del bar ed il caffè e pagine svogliate e stropicciate e capelli lunghi,nerissimi del ragazzo.E C.sorridente.Una giornata da respirarsi lentamente e profondamente,da sentire per bene,da prendere e portare con sè.
Poi giacca viola,scarpe viola,blu del jeans.Ed ancora giacca,scarpe,blu.Cominciai a camminare verso il locale nonostante fosse molto lontano dalla piazza dove mi trovavo.Camminai,testa bassa,concentrata sui colori dei miei abiti con i quali facevo accostamenti cromatici,paralleli di pieghe ed altri giochetti visivi con i quali mi sembrava di trovare infinite simmetrie.Camminai così perchè avevo voglia di guardare e respirare forte e sentire la fatica che ti fa arrossare tutto il viso e sentire addosso una sorta di formicolio ovunque.Arrivai al locale con le tempie che mi pulsavano e inginocchiarsi per alzare la saracinesca mi fece girare la testa.
Arrivò puntuale come sempre lui.Chissà se per caso o no,per prima cosa, misi il tavolino dove lui solitamente si sedeva.Quando si sedette mi guardò e prima ancora di chiedermi il solito vino,le sopracciglia disegnarono uno sguardo interrogativo.Quando mi invitò a sedersi con lui dato che era il solo cliente ancora stavo respirando affannata e non mi accorsi che respirai così tutto il tempo in cui ascoltai la sua voce raccontarmi che era argentino e che il motivo per cui tornava sempre era che la prima sera che venne c'era un disco di Mercedes Sosa che lo avevo fatto sentire a casa.
La musica che è riuscita a commuovermi anche se io non riesco mai a commuovermi.E poi il suo viso che sa,alle volte mi è sembrato così lontano e malinconico da ricordarmi la prima ragazza con cui uscii da ragazzo.Non so chi sia lei,ma ho avuto voglia di parlarle,ma forse lei da barman ne incontra ogni sera di persone che hanno la presunzione di credere che la loro di storia valga la pena di essere raccontata ed ascoltata.O sbaglio?Io sono l'ennesimo vecchio che vuole raccontarle qualcosa,con l'intenzione malnascosta di darle un consiglio.E' strano penserà lei,dato che non so un bel niente della sua vita e di cosa fa e vuole...però che le devo dire?banalmente ho desiderato di parlarle...quando la vedo perdersi con lo sguardo chissà dove ho voglia di dirle che passa,passa tutto e allo stesso tempo di non dirle niente ed aspettare che torni a guardare tutto quello che ha accanto,anche se la sua espressione diventa meno bella,meno intensa.La sto annoiando?Posso raccontarle perchè ho così tanta voglia di raccontarle?
Lo fissai per un pò,sorrisi anche mi sembra,con la bocca storta,senza dire niente.Stavo pensando che avevo voglia di ascoltarlo.Quale consiglio però pensava di darmi?La presunzione mi fece desiderare che non mi dicesse proprio nulla.
Restai in bilico ancora qualche minuto(o forse solo secondi) tra queste due sensazioni opposte,cercando di capire quale la mia pelle ricercasse di più.
Lui prese a raccontare.Evidentemente il mio viso era stato più chiaro di tutti i miei pensieri.
mercoledì, ottobre 18, 2006
METTI UNA MATTINA DAVANTI AL COMPUTER...
"Merecer la vida es erguirse vertical"
Mercedes Sosa
Metti di trovarti una mattina davanti al tuo computer e di avere qualche ora per scrivere un articolo per un giornale dove ti hanno appena "assunta".Metti che hai dei nuovi occhiali per non stancarti troppo mentre leggi e scrivi e tu non hai mai portato degli occhiali.Ti sbirci nel vetro della credenza e questo nuovo accessorio e il rumore del caffè che sta per uscire e i tuoi appunti sparsi sul tavolo ti fanno sentire come se fossi proprio tu in quel momento,perfetta nel fare quello che stai facendo,ti percepisci con una forza che da tempo mancava.
Per molto tempo fu più tangibile la sensazione di non sentire i confini del mio corpo e di non gestire spontaneamente neanche i movimenti più piccoli e quotidiani delle mani e braccia e testa.
Metti che ti stai simpatica con questi occhiali e il tuo computer:è un'immagine dolce e buffa,ed in quel momento pensi davvero che ti meriti tante sorprese divertenti dalle tue giornate.
Metti anche che comincia a fare freddo,ma la finestra vuoi proprio che resti aperta perchè poi la sensazione di stare sotto al piumone a leggere sarà ancora più desiderata e necessaria.
Metti che il solito disco di Mercedes Sosa in questo momento sta dicendo che meritarsi la vita significa "erguirse vertical"e suona in un angolo della tua cucina invasa di sole pomeriggio-presto che da sempre è un momento del giorno di pausa.
Una pausa.Metti che non sei stanca,ma nel gioco che è lo scrivere con dei nuovi occhiali è prevista una pausa sigaretta.
Metti che qualcuno la sera prima,inaspettatamente ti ha parlato della sua abitudine a vivere"che non è la stessa cosa che vivere".
Metti un vecchio,solitario,che ti ha detto "Beata lei,che non ha mai ucciso nessuno".
Metti tutte queste cose insieme e ti accorgi che in fondo nella tua cucina non si scrive poi così male.
Mercedes Sosa
Metti di trovarti una mattina davanti al tuo computer e di avere qualche ora per scrivere un articolo per un giornale dove ti hanno appena "assunta".Metti che hai dei nuovi occhiali per non stancarti troppo mentre leggi e scrivi e tu non hai mai portato degli occhiali.Ti sbirci nel vetro della credenza e questo nuovo accessorio e il rumore del caffè che sta per uscire e i tuoi appunti sparsi sul tavolo ti fanno sentire come se fossi proprio tu in quel momento,perfetta nel fare quello che stai facendo,ti percepisci con una forza che da tempo mancava.
Per molto tempo fu più tangibile la sensazione di non sentire i confini del mio corpo e di non gestire spontaneamente neanche i movimenti più piccoli e quotidiani delle mani e braccia e testa.
Metti che ti stai simpatica con questi occhiali e il tuo computer:è un'immagine dolce e buffa,ed in quel momento pensi davvero che ti meriti tante sorprese divertenti dalle tue giornate.
Metti anche che comincia a fare freddo,ma la finestra vuoi proprio che resti aperta perchè poi la sensazione di stare sotto al piumone a leggere sarà ancora più desiderata e necessaria.
Metti che il solito disco di Mercedes Sosa in questo momento sta dicendo che meritarsi la vita significa "erguirse vertical"e suona in un angolo della tua cucina invasa di sole pomeriggio-presto che da sempre è un momento del giorno di pausa.
Una pausa.Metti che non sei stanca,ma nel gioco che è lo scrivere con dei nuovi occhiali è prevista una pausa sigaretta.
Metti che qualcuno la sera prima,inaspettatamente ti ha parlato della sua abitudine a vivere"che non è la stessa cosa che vivere".
Metti un vecchio,solitario,che ti ha detto "Beata lei,che non ha mai ucciso nessuno".
Metti tutte queste cose insieme e ti accorgi che in fondo nella tua cucina non si scrive poi così male.
lunedì, ottobre 09, 2006
SOLITARIO(#1)
"Dov'eri tu quando le stelle del mattino gioivano in coro?"
C.Raimo
Erano sempre le prime serate di lavoro.Cominciò in quel periodo a frequentare il caffè un signore.Anziano,non saprei dire quanto.Sono sicura che se mi dicesse l'età rimarrei stupita.Almeno per qualche secondo.Penserei sicuramente che dimostra molti più anni di quelli che ha in realtà.
Cominciò a venire ogni domenica sera.Lo fa tutt'ora.
Vennè da solo la prima volta.Abitudine cui è rimasto fedele.
Entrò camminando lentamente.Notai che era altissimo e molto magro.Indossava ei pantaloni beige,una camicia a quadri blu e bianchi.Il volto era scavato e gli occhiali tondi.Nella tasca del pantalone aveva sempre un quotidiano sgualcito,di cui riuscivo a leggere solo le prime tre lettere "Day...".Pensai che poteva essere straniero,ne aveva l'aria.Camminava forse per l'altezza lievemente inclinato verso destra,la testa soprattutto.Quasi poggiava sulla spalla.
Restava in questa posizione anche quando si avvicinava al bancone e mi chiedeva un bicchiere di vino bianco.Gli elencavo quelli alla mescita,ma lui prendevo sempre e solo il Traminer.
Afferrava il calice e sempre lentamente si avviava al primo tavolino fuori,si siedeva senza neanche togliere il giornale dalla tasca e restava in silenzio.Beveva veloce,poi guardava la strada senza distogliere un attimo lo sguardo.Il telefono non ricordo di averglielo mai visto.
Solitamente dopo dieci minuti rientrava e mi chiedeva un altro bicchiere,sempre senza sorridere.Pagava e tornava fuori.Questa volta per restarci almeno fino a chiusura.Riportava sempre il bicchiere dentro,mi guardava appena poi si voltava e sussurrava un "buonaserata".
Una volta mi sorrise,ma non ricordo se avessi detto o fatto qualche cosa di buffo.Mi sorrise e basta.Poi andò via come sempre.
Non c'è domenica che io non abbia voglia di sedermi lì,bermi un caffè e poi rientrare.Senza dire necessariamente qualcosa.Non lo faccio mai.Non lo feci allora e continuo a non decidermi a spostarmi dal mio bancone e sedermi vicino a lui.Ed ogni volta,dopo,mi sento tristissima.
Come quella sera riesco solo a guardare attraverso la finestra e controllare che sia ancora lì.Non riesco a non farlo,anche se il caffè è pieno,anche se qualcuno davanti a me sta litigando o raccontando qualcosa in attesa di un mio sguardo che mostri interesse.Ha sempre l'esclusiva della mia attenzione.
Il desiderio di avvicinarmi a lui lo avverto sempre.E credo che una sera di queste lo farò.
C.Raimo
Erano sempre le prime serate di lavoro.Cominciò in quel periodo a frequentare il caffè un signore.Anziano,non saprei dire quanto.Sono sicura che se mi dicesse l'età rimarrei stupita.Almeno per qualche secondo.Penserei sicuramente che dimostra molti più anni di quelli che ha in realtà.
Cominciò a venire ogni domenica sera.Lo fa tutt'ora.
Vennè da solo la prima volta.Abitudine cui è rimasto fedele.
Entrò camminando lentamente.Notai che era altissimo e molto magro.Indossava ei pantaloni beige,una camicia a quadri blu e bianchi.Il volto era scavato e gli occhiali tondi.Nella tasca del pantalone aveva sempre un quotidiano sgualcito,di cui riuscivo a leggere solo le prime tre lettere "Day...".Pensai che poteva essere straniero,ne aveva l'aria.Camminava forse per l'altezza lievemente inclinato verso destra,la testa soprattutto.Quasi poggiava sulla spalla.
Restava in questa posizione anche quando si avvicinava al bancone e mi chiedeva un bicchiere di vino bianco.Gli elencavo quelli alla mescita,ma lui prendevo sempre e solo il Traminer.
Afferrava il calice e sempre lentamente si avviava al primo tavolino fuori,si siedeva senza neanche togliere il giornale dalla tasca e restava in silenzio.Beveva veloce,poi guardava la strada senza distogliere un attimo lo sguardo.Il telefono non ricordo di averglielo mai visto.
Solitamente dopo dieci minuti rientrava e mi chiedeva un altro bicchiere,sempre senza sorridere.Pagava e tornava fuori.Questa volta per restarci almeno fino a chiusura.Riportava sempre il bicchiere dentro,mi guardava appena poi si voltava e sussurrava un "buonaserata".
Una volta mi sorrise,ma non ricordo se avessi detto o fatto qualche cosa di buffo.Mi sorrise e basta.Poi andò via come sempre.
Non c'è domenica che io non abbia voglia di sedermi lì,bermi un caffè e poi rientrare.Senza dire necessariamente qualcosa.Non lo faccio mai.Non lo feci allora e continuo a non decidermi a spostarmi dal mio bancone e sedermi vicino a lui.Ed ogni volta,dopo,mi sento tristissima.
Come quella sera riesco solo a guardare attraverso la finestra e controllare che sia ancora lì.Non riesco a non farlo,anche se il caffè è pieno,anche se qualcuno davanti a me sta litigando o raccontando qualcosa in attesa di un mio sguardo che mostri interesse.Ha sempre l'esclusiva della mia attenzione.
Il desiderio di avvicinarmi a lui lo avverto sempre.E credo che una sera di queste lo farò.
venerdì, ottobre 06, 2006
COME FOSSE SCRITTO
"Se prima di ogni nostro atto ci mettessimo a prevedere tutte le conseguenze,a considerarle seriamente,anzitutto quelle immediate,poi le probabili,poi le possibili,poi le immaginabili,non arriveremmo neanche a muoverci dal punto cui ci avrebbe fatto fermare il primo pensiero.I buoni e i cattivi risultati delle nostre parole e delle nostre azioni si vanno distribuendo presumibilmente in modo alquanto uniforme ed equilibrato,in tutti i giorni del futuro,compresi quelli,infiniti,in cui non saremo più qui per poter confermare,per congratularci o chiedere perdono".
Josè Saramago
Sembrava sabato mattina.O forse domenica.Sarà stato per lo sciopero dei mezzi,ma per la strada non c'era nessuno.Ed i negozi erano tutti chiusi.Non ricordo se fosse festa.Ripensandoci oggi credo di no.La cucina era bianchissima,pulita dalla sera prima meticolosamente.
Misi la macchinetta del caffè sul fuoco.Già dopo pochi secondi cominciava col suo rumore classico che fa quando il caffè è pronto per uscire.
Mi ricordò quello di una barchetta che arriva in porto a motore spento.
Quello fu il giorno in cui mi arrivò la proposta di dividere l'appartamento.Non conoscevo bene i ragazzi,erano amici di amici di tante serate incrociate,sbirciate,condivise inconsapevolmente.
L'appuntamento era in un bar vicino la zona dove avevano sentito di una casa in affitto per quattro persone.Loro erano tre,mancava l'ultimo coinquilino.Avevano sentito che cercavo casa.
Credo che in momenti come quel giorno in realtà l'immobilità che sembra invadere tutto ce l'hai dentro.Ti fermi.Un attimo.Ti siedi.Come se ti mettessi in ascolto,come se avessi posto una domanda a qualcuno.Aspetti che qualcuno ti risponda.
Quand'è che avevo deciso di andare a vivere da sola?Non ricordavo neanche più l'istante preciso,tanto la decisione era radicata in me.Ci sono cose che sai,che senti.Impensabili che non siano così.Al liceo lo sapevo,sapevo che sarei andata via presto.Poi lui,anni di convivenza non dichiarata,anni di fuga da una casa all'altra.Una parentesi lunghissima.Ma solo una parentesi.
Giusto il tempo di capire e di raccogliere quel tanto di forza da poter smettere di pensare lo faccio?
Il tempo di rispondere ad una telefonata ed accettare una proposta.La prima.
Se mi capita di ripensare a quel giorno ancora oggi devo fermare tutto e sedermi.
La sensazione fu di placida inevitabilità.Non provai entusiasmo,non un pizzico di eccitazione.
Fu così.Accettai di andare via perchè sapevo da anni che sarebbe successo.
Ancora oggi,se mi concentro,ricordo perfettamente la sensazione fisica.Tutto il petto era come compresso,solo a metà,come fosse diviso in due parti uguali,avvertivo come un passaggio d'aria più forte del solito.Man mano sentivo allargarsi e diminuirsi questo condotto.Se si ingrandiva,il battito accellerava velocissimo.Altrimenti restava la quiete.Diffusa in tutto il corpo.
Restai ferma non so quanti minuti.Alcune volte sentii una spinta vaga.Sembrava bloccarmi l'idea che quella decisione era presa da tempo.Come se,invece di liberarmi,mi imprigionasse più stretta.Allora il respiro si ingrandiva ed il battito aumentava.Come tutto fosse già scelto,deciso.
Non posso fare altro.Era scritto che io prendessi una decisione del genere.Scritto da tempo.
Tutti questi anni solo per arrivare a questo momento.
Allora il petto prendeva a battere in modo incredibile.Poi,senza un motivo apparente,dopo una serie di spaccati di persone,luoghi,momenti della mia vita che in un secondo riempivano la mia testa,il respiro cominciava a rientrare nel suo condotto.Il battito si normalizzava.
Mi rividi nel momento in cui dissi si alla proposta.Mi vidi in quell'istante,seduta in cucina ad aspettare il caffè.Immobile.Tutto quello che avevo fatto si,era per arrivare a quel momento.Ma ci ero arrivata io e le possibilità che questo non accadesse erano infinite.Era successo perchè mai ho creduto che non fosse possibile.Era scritto nei miei desideri,non era scritto nelle persone,scelte,luoghi che avevo avuto intorno fino a quel momento.Era scritto nel senso che io avevo disegnato una mappa nella quale ci sarebbe stata questa decisione.E tutto quello che mi aveva portato fin lì era tutto accuratamente scelto.Non era capitato nulla per caso.Non perchè fosse tutto già deciso.
Quel giorno mi accorsi che facevo fatica a credere che il caso non esiste,nessun destino,ripetei più volte,è deciso da nessuna parte.Esiste solo quello che profondamente vuoi.
Dovetti in seguito pensare molte volte a questo "caso".Fu difficile ammetterlo che se vuoi le cose succedono davvero.
Proprio come tu avevi scritto.
Josè Saramago
Sembrava sabato mattina.O forse domenica.Sarà stato per lo sciopero dei mezzi,ma per la strada non c'era nessuno.Ed i negozi erano tutti chiusi.Non ricordo se fosse festa.Ripensandoci oggi credo di no.La cucina era bianchissima,pulita dalla sera prima meticolosamente.
Misi la macchinetta del caffè sul fuoco.Già dopo pochi secondi cominciava col suo rumore classico che fa quando il caffè è pronto per uscire.
Mi ricordò quello di una barchetta che arriva in porto a motore spento.
Quello fu il giorno in cui mi arrivò la proposta di dividere l'appartamento.Non conoscevo bene i ragazzi,erano amici di amici di tante serate incrociate,sbirciate,condivise inconsapevolmente.
L'appuntamento era in un bar vicino la zona dove avevano sentito di una casa in affitto per quattro persone.Loro erano tre,mancava l'ultimo coinquilino.Avevano sentito che cercavo casa.
Credo che in momenti come quel giorno in realtà l'immobilità che sembra invadere tutto ce l'hai dentro.Ti fermi.Un attimo.Ti siedi.Come se ti mettessi in ascolto,come se avessi posto una domanda a qualcuno.Aspetti che qualcuno ti risponda.
Quand'è che avevo deciso di andare a vivere da sola?Non ricordavo neanche più l'istante preciso,tanto la decisione era radicata in me.Ci sono cose che sai,che senti.Impensabili che non siano così.Al liceo lo sapevo,sapevo che sarei andata via presto.Poi lui,anni di convivenza non dichiarata,anni di fuga da una casa all'altra.Una parentesi lunghissima.Ma solo una parentesi.
Giusto il tempo di capire e di raccogliere quel tanto di forza da poter smettere di pensare lo faccio?
Il tempo di rispondere ad una telefonata ed accettare una proposta.La prima.
Se mi capita di ripensare a quel giorno ancora oggi devo fermare tutto e sedermi.
La sensazione fu di placida inevitabilità.Non provai entusiasmo,non un pizzico di eccitazione.
Fu così.Accettai di andare via perchè sapevo da anni che sarebbe successo.
Ancora oggi,se mi concentro,ricordo perfettamente la sensazione fisica.Tutto il petto era come compresso,solo a metà,come fosse diviso in due parti uguali,avvertivo come un passaggio d'aria più forte del solito.Man mano sentivo allargarsi e diminuirsi questo condotto.Se si ingrandiva,il battito accellerava velocissimo.Altrimenti restava la quiete.Diffusa in tutto il corpo.
Restai ferma non so quanti minuti.Alcune volte sentii una spinta vaga.Sembrava bloccarmi l'idea che quella decisione era presa da tempo.Come se,invece di liberarmi,mi imprigionasse più stretta.Allora il respiro si ingrandiva ed il battito aumentava.Come tutto fosse già scelto,deciso.
Non posso fare altro.Era scritto che io prendessi una decisione del genere.Scritto da tempo.
Tutti questi anni solo per arrivare a questo momento.
Allora il petto prendeva a battere in modo incredibile.Poi,senza un motivo apparente,dopo una serie di spaccati di persone,luoghi,momenti della mia vita che in un secondo riempivano la mia testa,il respiro cominciava a rientrare nel suo condotto.Il battito si normalizzava.
Mi rividi nel momento in cui dissi si alla proposta.Mi vidi in quell'istante,seduta in cucina ad aspettare il caffè.Immobile.Tutto quello che avevo fatto si,era per arrivare a quel momento.Ma ci ero arrivata io e le possibilità che questo non accadesse erano infinite.Era successo perchè mai ho creduto che non fosse possibile.Era scritto nei miei desideri,non era scritto nelle persone,scelte,luoghi che avevo avuto intorno fino a quel momento.Era scritto nel senso che io avevo disegnato una mappa nella quale ci sarebbe stata questa decisione.E tutto quello che mi aveva portato fin lì era tutto accuratamente scelto.Non era capitato nulla per caso.Non perchè fosse tutto già deciso.
Quel giorno mi accorsi che facevo fatica a credere che il caso non esiste,nessun destino,ripetei più volte,è deciso da nessuna parte.Esiste solo quello che profondamente vuoi.
Dovetti in seguito pensare molte volte a questo "caso".Fu difficile ammetterlo che se vuoi le cose succedono davvero.
Proprio come tu avevi scritto.
mercoledì, ottobre 04, 2006
NON È DISPERATAMENTE BUFFO?(una storia#2)
Aspettai la reazione sul cocktail.Non battè ciglio.Mi poggiai alla macchina del caffè alle mie spalle.Lei finì tutto il cocktail poi stette in silenzio.Mi guardò.
"Sono solo una ragazza,che sta chiedendo ad un ragazzo di amarla e di stare con lei.Cosa c'è di così complicato?Cosa può esserci di così...sbagliato?Io non credo si possa amare senza essere corrisposti,è una cosa che proprio non riesco a capire.Se mi sono innamorata di una persona e perchè inevitabilmente anche questa persona mi ama?Tu non lo trovi quasi banale per quanto è semplice questo concetto?Voglio dire..sono stata via per tre anni,in Spagna,ho studiato architettura,ho trovato quello che cercavo...mi sono vista capisci la sensazione?Sono tornata qui ed ho capito che probabilmente io prima non potevo proprio amare qualcuno,non ne ero in grado.Non è la cosa più difficile del mondo?Insomma,se non sai chi diavolo sei tu come puoi sperare di darti a qualcuno?Ecco io li ho fatti i miei errori,ero una sorta di piccolo pezzo di ghiaccio.No,certo,non è che me ne rendessi conto,però lo ero...ed è stato peggio.Pensare che non ti innamori per casualità,per incontri mancati,puoi andare avanti anni dicendotelo,invece non è così.Se non ci si innamora c'è qualcosa che non va giusto?Ecco io avevo messo tutti i miei piccoli pezzi a posto quando sono tornata.Ed ho rivisto,ho visto forse...per la prima volta questa persona che mi amava,da anni.Diavolo sono dieci anni...dieci.Ci consociamo da così tanto e so che mi ha amato sempre.Lo so.Ero io a non essere in grado di vedere,di accettare...poi torno,e non so sai le intuizioni?Ho sentito che era lui.Era lui e mi sono sentita così forte da dire,ma si,perchè no,riprovo.Gli ripiombo nella sua vita e gli chiedo se per favore può continuare ad amarmi.E pensi che lui non lo abbia fatto?L'ho corteggiato per mesi,ho lottato contro ogni resistenza poteva oppormi,ad ogni freddezza insistevo di più...ho richiamato all'ordine tutta una seri di ricordi e momenti e...capito una sorta di garanzia?Non l'avrei mai e poi mai fatto se non avessi sentito che anche lui in fondo...ancora.Sta con un'altra.Da un anno.Cosa mi ha detto?Che ha scelto la serenità,la tranquillità...cazzo,scusa mi fai un altro cocktail?si si quello...cosa mi stai dicendo?che hai rinunciato alle emozioni?che ti sei scelto questa vita di non troppo,non poco...così,un'ovattata...davvero.Non posso crederci.
Una notte,c'è stata una notte in cui ha lasciato,ha lasciato perdere tutto e mi ha detto che era innamorato.Così innamorato da odiarmi per essere scappata,per non averlo visto tutto questo tempo...e vaffanculo,io ti amo.Così mi ha detto.Poi solo poche ore dopo una mail.Un vero suicidio emotivo ecco quello che mi ha confessato,un suicidio.Tornava sui suoi passi.Non posso lasciare correre capisci?Su questo non posso proprio.Sarebbe facile,ma sento che non devo.Eppure.C'è un attimo in cui secondo me si può scegliere per un destino o un altro,per una vita o un'altra.Io ho deciso che è lui.Come può non accettarlo?Questo amore non è soltanto mio,non è soltanto mio...
Sai qual'è il problema?Secondo me la gente si caga sotto.Davvero.La gente è incapace di comunicare.Incapace di accettare che esistono anche cose belle,per cui vale la pena,per cui si può andare per strada a testa alta.Ha paura di sentire.Di guardare.Ha paura di farsi conoscere e conoscere.Di vivere.Che poi è l'unica ragione per cui siamo su questa terra...non è disperatamente buffo?La gente è incapace di accettare la felicità...non è disperatamente buffo?
Pensai quella sera che no,non era soltanto suo quell'amore e che si,era tutto disperatamente buffo.Quella sera la lasciai andare via senza chiederle niente.
Altrimenti si muore?Le storie vanno dimenticate o così,o altrimenti si muore?
Avvertii una vertigine fortissima,dovetti sedermi un attimo.
"Sono solo una ragazza,che sta chiedendo ad un ragazzo di amarla e di stare con lei.Cosa c'è di così complicato?Cosa può esserci di così...sbagliato?Io non credo si possa amare senza essere corrisposti,è una cosa che proprio non riesco a capire.Se mi sono innamorata di una persona e perchè inevitabilmente anche questa persona mi ama?Tu non lo trovi quasi banale per quanto è semplice questo concetto?Voglio dire..sono stata via per tre anni,in Spagna,ho studiato architettura,ho trovato quello che cercavo...mi sono vista capisci la sensazione?Sono tornata qui ed ho capito che probabilmente io prima non potevo proprio amare qualcuno,non ne ero in grado.Non è la cosa più difficile del mondo?Insomma,se non sai chi diavolo sei tu come puoi sperare di darti a qualcuno?Ecco io li ho fatti i miei errori,ero una sorta di piccolo pezzo di ghiaccio.No,certo,non è che me ne rendessi conto,però lo ero...ed è stato peggio.Pensare che non ti innamori per casualità,per incontri mancati,puoi andare avanti anni dicendotelo,invece non è così.Se non ci si innamora c'è qualcosa che non va giusto?Ecco io avevo messo tutti i miei piccoli pezzi a posto quando sono tornata.Ed ho rivisto,ho visto forse...per la prima volta questa persona che mi amava,da anni.Diavolo sono dieci anni...dieci.Ci consociamo da così tanto e so che mi ha amato sempre.Lo so.Ero io a non essere in grado di vedere,di accettare...poi torno,e non so sai le intuizioni?Ho sentito che era lui.Era lui e mi sono sentita così forte da dire,ma si,perchè no,riprovo.Gli ripiombo nella sua vita e gli chiedo se per favore può continuare ad amarmi.E pensi che lui non lo abbia fatto?L'ho corteggiato per mesi,ho lottato contro ogni resistenza poteva oppormi,ad ogni freddezza insistevo di più...ho richiamato all'ordine tutta una seri di ricordi e momenti e...capito una sorta di garanzia?Non l'avrei mai e poi mai fatto se non avessi sentito che anche lui in fondo...ancora.Sta con un'altra.Da un anno.Cosa mi ha detto?Che ha scelto la serenità,la tranquillità...cazzo,scusa mi fai un altro cocktail?si si quello...cosa mi stai dicendo?che hai rinunciato alle emozioni?che ti sei scelto questa vita di non troppo,non poco...così,un'ovattata...davvero.Non posso crederci.
Una notte,c'è stata una notte in cui ha lasciato,ha lasciato perdere tutto e mi ha detto che era innamorato.Così innamorato da odiarmi per essere scappata,per non averlo visto tutto questo tempo...e vaffanculo,io ti amo.Così mi ha detto.Poi solo poche ore dopo una mail.Un vero suicidio emotivo ecco quello che mi ha confessato,un suicidio.Tornava sui suoi passi.Non posso lasciare correre capisci?Su questo non posso proprio.Sarebbe facile,ma sento che non devo.Eppure.C'è un attimo in cui secondo me si può scegliere per un destino o un altro,per una vita o un'altra.Io ho deciso che è lui.Come può non accettarlo?Questo amore non è soltanto mio,non è soltanto mio...
Sai qual'è il problema?Secondo me la gente si caga sotto.Davvero.La gente è incapace di comunicare.Incapace di accettare che esistono anche cose belle,per cui vale la pena,per cui si può andare per strada a testa alta.Ha paura di sentire.Di guardare.Ha paura di farsi conoscere e conoscere.Di vivere.Che poi è l'unica ragione per cui siamo su questa terra...non è disperatamente buffo?La gente è incapace di accettare la felicità...non è disperatamente buffo?
Pensai quella sera che no,non era soltanto suo quell'amore e che si,era tutto disperatamente buffo.Quella sera la lasciai andare via senza chiederle niente.
Altrimenti si muore?Le storie vanno dimenticate o così,o altrimenti si muore?
Avvertii una vertigine fortissima,dovetti sedermi un attimo.
UNA STORIA(#1)
Come è possibile che qualcuno stia già aspettando per entrare?Pensai ingenuamente appena arrivai al caffè quel pomeriggio.Mi sentii stupida.Ricollegai in un istante tutte le rassicurazioni dei proprietari ed improvvisamente mi sembrò folle che avessero lasciato me sola a lavorare quella sera.Io,che non avevo neanche mai aperto quella saracinesca.
Dissi alla ragazza che aspettava di lasciarmi mezz'ora,giusto per sistemare dentro.
Strano il caffè vuoto.Silenzioso.Solo la macchina dei caffè e i frigoriferi che lavoravano senza sosta.
Scesi i tre scalini,posai casco e borsa e cominciai a fare tutto quello che mi avevano lasciato scritto sulla cassa.
Che disco ci ascoltiamo per questa prima serata al cafè-gnu?Direi Coltrane con J.Hartman,poi eventualmente Kind of Blue di Miles.Fu il principio delle mie storie,inauguriamo il tutto con i primi dischi di jazz che ascoltai.Il caffè di sera poi ha questa vaga atmosfera newyorkese anni trenta...si,è la musica adatta per giocare un pò.
Effettivamente mi sembrava di giocare un pò.Sapete quando da bambini entrate in una casa che non è la vostra e per qualche ragione i proprietari non ci sono e vi è concesso di sbirciare e fare finta che sia un pò vostra?Fate un pò finta di diventare...altro.Immaginate le persone che ci vivono e un pò vi immedesimate.
Ecco,provai la stessa sensazione.
Accendevo le candele sui tavolini,sistemavo le bottiglie di vino,sceglievo il disco da ascoltare.Vagavo un pò tra cucina e dispensa e mi sentivo la libertà addosso di fare qualsiasi cosa,ma sempre con una punta di attenzione.Come fosse una piccola violazione.Come se non mi fosse totalmente concesso essere lì.
Feci tutto con la sicurezza che quei gesti sarebbero presto diventati familiari,ma la sensazione di essere entrata in casa d'altri ce l'avevo sempre addosso.Come se da un momento all'altro qualcuno potesse entrare.
Pensate di poter entrare nella cucina di un ristorante chiuso.Magari di notte.Era eccitante.
Fu davvero come giocare,mi sentii ridicola più volte e più volte passando davanti lo specchio scoppiai a ridere.Come trovai tutto così divertente ancora oggi non me lo spiego molto.
Sembrava di essere entrati in una piccola scena di teatro,scegliere quella musica ed accendere solo le candele facevano parte della messinscena.Fu scrollarsi di dosso la solita immagine che si ha di sè,quel giorno per giunta era anche un'immagine antipatica.
Facciamo New York?Anni trenta?E scoppiavo a ridere.Fortuna che le saracinesche non le avevo ancora alzate.
Mi sentii molto serena.Non trovo altre parole per descriverlo.Ero lì,sorridevo e facevo semplicemente quello che sentivo e volevo fare.
Mi fermai un secondo prima di aprire la porta e fare entrare la ragazza.Tirai giù un sospiro,mi versai un bicchiere di vino rosso ed aprii la porta.
Diciamo che ci misi un pò a capire quello che successe allora.La ragazza entrò,fece qualche complimento sull'architettura del locale dicendomi che lei era architetto e lavorava lì vicino.Un caffè?Ma si credo prenderò un caffè.Si sedette al bancone.
Avvenne giusto in quei trenta secondi che ci misi a voltarmi e cambiare canzone.
Round midnight suonata da Chet Baker.
"Ti prego.Non quella canzone.Non quella canzone".
Mi voltai e la ragazza piangeva.Continuai a fissarla senza sapere bene che fare.Si era poggiata al bancone,riuscivo a vedere solo i ricci neri che le coprivano tutto il viso.Si tolse gli occhiali e l'unica cosa che riuscii a pensare è che aveva due occhi verdi bellissimi.
Poi le lacrime.Solo lacrime.
"Scusa,senti invece del caffè,un cocktail,uno qualsiasi".
Sgranai gli occhi.Un cocktail.Uno qualsiasi.Non mi sembrava reale quella situazione.Pensai di nascondere meglio che potevo la mia espressione allibita,che sentivo già delinearsi sul mio viso.
Cosa potevo prepararle?E come?Mi stavo agitando.Era anche cambiata canzone,ma le lacrime non smettevano di scendere.
Non era la canzone.Ormai aveva aperto qualcosa,aveva lasciato andare e non sarebbe certo bastato cambiare disco.Si trovava ora in chissà che giorno,luogo,ora della sua vita e non ne sarebbe uscita con un fazzoletto per asciugarsi gli occhi.
In quel momento la capii,non sapevo nulla,ma la capii.Continuai a guardarla e chissà che vidi in lei.Mi sembrò in quell'istante di vivere con lei,di sentirla.In un momento si abbassarono tutte le barriere,tutte le estraneità e come fosse la cosa più naturale le chiesi di raccontare,mentre io le preparavo il cocktail.Qualcosa di dolce,con la fragola e forte,proviamo vodka e tonica?
Improvvisamente mi sentii padrona di tutto ciò che avevo intorno,sicura di ogni gesto e sguardo che le rivolgevo.
"Ti sei mai innamorata?".Mi chiese.
Oddio.
Dissi alla ragazza che aspettava di lasciarmi mezz'ora,giusto per sistemare dentro.
Strano il caffè vuoto.Silenzioso.Solo la macchina dei caffè e i frigoriferi che lavoravano senza sosta.
Scesi i tre scalini,posai casco e borsa e cominciai a fare tutto quello che mi avevano lasciato scritto sulla cassa.
Che disco ci ascoltiamo per questa prima serata al cafè-gnu?Direi Coltrane con J.Hartman,poi eventualmente Kind of Blue di Miles.Fu il principio delle mie storie,inauguriamo il tutto con i primi dischi di jazz che ascoltai.Il caffè di sera poi ha questa vaga atmosfera newyorkese anni trenta...si,è la musica adatta per giocare un pò.
Effettivamente mi sembrava di giocare un pò.Sapete quando da bambini entrate in una casa che non è la vostra e per qualche ragione i proprietari non ci sono e vi è concesso di sbirciare e fare finta che sia un pò vostra?Fate un pò finta di diventare...altro.Immaginate le persone che ci vivono e un pò vi immedesimate.
Ecco,provai la stessa sensazione.
Accendevo le candele sui tavolini,sistemavo le bottiglie di vino,sceglievo il disco da ascoltare.Vagavo un pò tra cucina e dispensa e mi sentivo la libertà addosso di fare qualsiasi cosa,ma sempre con una punta di attenzione.Come fosse una piccola violazione.Come se non mi fosse totalmente concesso essere lì.
Feci tutto con la sicurezza che quei gesti sarebbero presto diventati familiari,ma la sensazione di essere entrata in casa d'altri ce l'avevo sempre addosso.Come se da un momento all'altro qualcuno potesse entrare.
Pensate di poter entrare nella cucina di un ristorante chiuso.Magari di notte.Era eccitante.
Fu davvero come giocare,mi sentii ridicola più volte e più volte passando davanti lo specchio scoppiai a ridere.Come trovai tutto così divertente ancora oggi non me lo spiego molto.
Sembrava di essere entrati in una piccola scena di teatro,scegliere quella musica ed accendere solo le candele facevano parte della messinscena.Fu scrollarsi di dosso la solita immagine che si ha di sè,quel giorno per giunta era anche un'immagine antipatica.
Facciamo New York?Anni trenta?E scoppiavo a ridere.Fortuna che le saracinesche non le avevo ancora alzate.
Mi sentii molto serena.Non trovo altre parole per descriverlo.Ero lì,sorridevo e facevo semplicemente quello che sentivo e volevo fare.
Mi fermai un secondo prima di aprire la porta e fare entrare la ragazza.Tirai giù un sospiro,mi versai un bicchiere di vino rosso ed aprii la porta.
Diciamo che ci misi un pò a capire quello che successe allora.La ragazza entrò,fece qualche complimento sull'architettura del locale dicendomi che lei era architetto e lavorava lì vicino.Un caffè?Ma si credo prenderò un caffè.Si sedette al bancone.
Avvenne giusto in quei trenta secondi che ci misi a voltarmi e cambiare canzone.
Round midnight suonata da Chet Baker.
"Ti prego.Non quella canzone.Non quella canzone".
Mi voltai e la ragazza piangeva.Continuai a fissarla senza sapere bene che fare.Si era poggiata al bancone,riuscivo a vedere solo i ricci neri che le coprivano tutto il viso.Si tolse gli occhiali e l'unica cosa che riuscii a pensare è che aveva due occhi verdi bellissimi.
Poi le lacrime.Solo lacrime.
"Scusa,senti invece del caffè,un cocktail,uno qualsiasi".
Sgranai gli occhi.Un cocktail.Uno qualsiasi.Non mi sembrava reale quella situazione.Pensai di nascondere meglio che potevo la mia espressione allibita,che sentivo già delinearsi sul mio viso.
Cosa potevo prepararle?E come?Mi stavo agitando.Era anche cambiata canzone,ma le lacrime non smettevano di scendere.
Non era la canzone.Ormai aveva aperto qualcosa,aveva lasciato andare e non sarebbe certo bastato cambiare disco.Si trovava ora in chissà che giorno,luogo,ora della sua vita e non ne sarebbe uscita con un fazzoletto per asciugarsi gli occhi.
In quel momento la capii,non sapevo nulla,ma la capii.Continuai a guardarla e chissà che vidi in lei.Mi sembrò in quell'istante di vivere con lei,di sentirla.In un momento si abbassarono tutte le barriere,tutte le estraneità e come fosse la cosa più naturale le chiesi di raccontare,mentre io le preparavo il cocktail.Qualcosa di dolce,con la fragola e forte,proviamo vodka e tonica?
Improvvisamente mi sentii padrona di tutto ciò che avevo intorno,sicura di ogni gesto e sguardo che le rivolgevo.
"Ti sei mai innamorata?".Mi chiese.
Oddio.
martedì, ottobre 03, 2006
FORSE UN'INTUIZIONE
Il giorno dopo la festa mi svegliai tardi ed ancora alquanto stranita.Mi guardai allo specchio,prima di fare il caffè,cosa che solitamente non avveniva.Avevo delle occhiaie spaventose.Anche quella era una novità.Il gatto non venne a salutarmi come al solito.
La giornata prometteva bene.Ben tre "fuori programma".Ed eravamo solo all'inizio.
Cominciavo a starmi antipatica.Avevo quattro ore libere,poi sarei andata al caffè.Prima giornata di lavoro da barman.Ovviamente avevo mentito spudoratamente.Non sapevo neanche come si facesse un gin lemon,la mia adolescenza aveva conosciuto solo birra,vino alle volte.
Scesi a prendere il giornale degli affitti e lessi senza vera concentrazione.Che cercavo?Una stanza?Un appartamento per due?Certo e l'altra persona come speravo di incontrarla?Magari uscendo di casa e scontrandomi per caso con qualcuno che aveva il mio stesso giornale?
Mi stetti ancora più antipatica.Però gli annunci...dio mio.Quel giorno scoprii che erano comici.Davvero.Per le cucine soprattutto:utilizzavano termini come cucinino,cucinotto,deliziosa-cucina-di-passaggio.
Cioè?Cosa dovevo aspettarmi?Un fornelletto da campeggio all'ingresso?
Ovviamente il gatto spuntò fuori ad un certo punto,perchè aveva fame.Salì sulla scrivania e rovesciò una scatola di foto.Quale poteva mai essere la prima foto che raccolsi da terra?
Il gatto quel giorno saltò casualmente un pasto.
Tornò anche mia madre dal lavoro.Arrivò tipo falco alle spalle.
"Che ci fai con quel giornale?Ma non è che vuoi andare via?".Lo disse con il tono cantilenante da bambina che sapeva benissimo procurarmi grande urto.
"No mamma,sai che adoro leggere gli annunci".Feci per andare via.
"Cretina".
Va bene,va bene,va bene.Ora ti vesti,infili la maglietta nera del caffè,prendi gli appunti sui cocktail e te ne vai a lavoro con un bell'anticipo.Così feci.Che ci ascoltiamo in motorino lungo il tragitto?Niente.Ascoltiamo il panico della città.
Quel giorno feci la cosa migliore che potessi fare.Mi mossi.Verso questo lavoro notturno che allora,anche se non lo ammettevo,mi incuriosiva non poco.
Non immaginai nemmeno,ovviamente,che la prima storia sarebbe stata lì ad aspettarmi al varco.Non immaginai che la ragazza che aspettava impaziente che aprisse il locale mi avrebbe raccontato una storia cui avrei pensato per notti e notti.Non immaginai che sarebbe stata solo la prima di una lunga serie che mi avrebbero ricordato che non vivevo sola in questo universo.E che sarebbero riuscite a farmi spostare il mio raggio di osservazione di non pochi punti di vista.
Non lo sapevo,ma forse in fondo ebbi un'intuizione.
Altrimenti non avrei corso così tanto con il motorino.
La giornata prometteva bene.Ben tre "fuori programma".Ed eravamo solo all'inizio.
Cominciavo a starmi antipatica.Avevo quattro ore libere,poi sarei andata al caffè.Prima giornata di lavoro da barman.Ovviamente avevo mentito spudoratamente.Non sapevo neanche come si facesse un gin lemon,la mia adolescenza aveva conosciuto solo birra,vino alle volte.
Scesi a prendere il giornale degli affitti e lessi senza vera concentrazione.Che cercavo?Una stanza?Un appartamento per due?Certo e l'altra persona come speravo di incontrarla?Magari uscendo di casa e scontrandomi per caso con qualcuno che aveva il mio stesso giornale?
Mi stetti ancora più antipatica.Però gli annunci...dio mio.Quel giorno scoprii che erano comici.Davvero.Per le cucine soprattutto:utilizzavano termini come cucinino,cucinotto,deliziosa-cucina-di-passaggio.
Cioè?Cosa dovevo aspettarmi?Un fornelletto da campeggio all'ingresso?
Ovviamente il gatto spuntò fuori ad un certo punto,perchè aveva fame.Salì sulla scrivania e rovesciò una scatola di foto.Quale poteva mai essere la prima foto che raccolsi da terra?
Il gatto quel giorno saltò casualmente un pasto.
Tornò anche mia madre dal lavoro.Arrivò tipo falco alle spalle.
"Che ci fai con quel giornale?Ma non è che vuoi andare via?".Lo disse con il tono cantilenante da bambina che sapeva benissimo procurarmi grande urto.
"No mamma,sai che adoro leggere gli annunci".Feci per andare via.
"Cretina".
Va bene,va bene,va bene.Ora ti vesti,infili la maglietta nera del caffè,prendi gli appunti sui cocktail e te ne vai a lavoro con un bell'anticipo.Così feci.Che ci ascoltiamo in motorino lungo il tragitto?Niente.Ascoltiamo il panico della città.
Quel giorno feci la cosa migliore che potessi fare.Mi mossi.Verso questo lavoro notturno che allora,anche se non lo ammettevo,mi incuriosiva non poco.
Non immaginai nemmeno,ovviamente,che la prima storia sarebbe stata lì ad aspettarmi al varco.Non immaginai che la ragazza che aspettava impaziente che aprisse il locale mi avrebbe raccontato una storia cui avrei pensato per notti e notti.Non immaginai che sarebbe stata solo la prima di una lunga serie che mi avrebbero ricordato che non vivevo sola in questo universo.E che sarebbero riuscite a farmi spostare il mio raggio di osservazione di non pochi punti di vista.
Non lo sapevo,ma forse in fondo ebbi un'intuizione.
Altrimenti non avrei corso così tanto con il motorino.
"NEL QUALE LE LACRIME SONO L'UNICO RIMEDIO CONTRO L'ODIO"
"Teardrop on the fire"
Massive Attack
La sensazione era quella di non vedere,sentire,toccare,odorare,assaggiare più niente.
Aveva tutto un tono abbastanza neutro.Cosa bevessi o chi avessi davanti quella sera non procurava la minima reazione in me.Ero semplicemente lì.Ci stavo,ma non avvertivo nessun movimento.
Registrai tutto quello che avevo intorno come dati di un elenco.Esistevano,punto.Erano presenti,niente di più.Non solo io mi sentivo ferma,ma credevo che nessuna cosa intorno a me avesse uno spessore.Tutto più o meno bidimensionale.
Riuscivo a parlare,bere,sorridere.Tagliare la torta,sistemare le candeline.Tutto.Sottile.Mi sentivo sottile e priva di gravità.Non controllavo nessuno sguardo o gesto.Avvenivano e passavano ed io non sentivo nulla.
Solo un martello pneumatico incessante dentro al petto.Parlavo con non ricordo chi ed ebbi paura ad un certo punto che potesse sentirlo.Lui c'era,nell'altra stanza a suonare con altre persone.Anche lui esisteva semplicemente,ma non aveva nessun impatto.
Lo cercai più volte con lo sguardo per osservarlo,ma l'unica cosa che riuscivo a pensare era:è lui.Nient altro.
Poi il petto mi fece quasi male,dovetti spegnere la sigaretta.Mi sedetti.
La fatica questa volta cominciava a farsi sentire.Non volevo che nessuno si avvicinasse,nè che mi parlasse,nè che mi chiedesse cosa stessi facendo.Non volevo che lui mi facesse qualche cenno gentile e freddo.Volevo stare solo lì.Seduta.
Quella sera non capii che quel martello era l'unica cosa che dovessi ascoltare.Che l'unica cosa cui aggrapparmi come vera era quel dolore diffuso tra lo stomaco e il seno.
Invece di continuare a dare le più svariate spiegazioni per quel dolore,dovevo solo lasciarlo stare.
Mi mentii e lo feci più volte.
Il freddo,le sigarette,lui,gli altri che sapevano e non dicevano.
La festa trascorse e io me ne andai solo quando visi lui prendere il cappotto.Automaticamente lo feci anche io.Credo che lo salutai anche abbastanza allegramente.
Presi il motorino e tornai verso casa.
Cominciai a sentire un'insofferenza verso tutte le persone che avevo avuto vicino durante la festa.Continuavo a sentire il petto ed in più respiravo a tratti brevissimi e veloci.
L'insofferenza,il fastidio diffuso crescevano.Mi sembrò allora che nessuno riuscisse davvero a comunicare con gli altri,che tutti fossero,chi più chi meno,piatti ed inutili.Che nulla delle loro parole o dei loro gesti fosse teso a significare qualcosa.
Anche quando fui stesa nel mio letto e spensi la luce la sensazione non mi abbandonò.
Se avessi capito allora che ero la prima a non amare ciò che vedevo intorno,forse non avrei accusato nessuno di non vedermi davvero,forse non avrei odiato così tanto.Odiato il fatto di non sentirmi,quella sera,amata da nessuno.
Le lacrime poi,quelle davvero non me le aspettavo,quella notte.
Massive Attack
La sensazione era quella di non vedere,sentire,toccare,odorare,assaggiare più niente.
Aveva tutto un tono abbastanza neutro.Cosa bevessi o chi avessi davanti quella sera non procurava la minima reazione in me.Ero semplicemente lì.Ci stavo,ma non avvertivo nessun movimento.
Registrai tutto quello che avevo intorno come dati di un elenco.Esistevano,punto.Erano presenti,niente di più.Non solo io mi sentivo ferma,ma credevo che nessuna cosa intorno a me avesse uno spessore.Tutto più o meno bidimensionale.
Riuscivo a parlare,bere,sorridere.Tagliare la torta,sistemare le candeline.Tutto.Sottile.Mi sentivo sottile e priva di gravità.Non controllavo nessuno sguardo o gesto.Avvenivano e passavano ed io non sentivo nulla.
Solo un martello pneumatico incessante dentro al petto.Parlavo con non ricordo chi ed ebbi paura ad un certo punto che potesse sentirlo.Lui c'era,nell'altra stanza a suonare con altre persone.Anche lui esisteva semplicemente,ma non aveva nessun impatto.
Lo cercai più volte con lo sguardo per osservarlo,ma l'unica cosa che riuscivo a pensare era:è lui.Nient altro.
Poi il petto mi fece quasi male,dovetti spegnere la sigaretta.Mi sedetti.
La fatica questa volta cominciava a farsi sentire.Non volevo che nessuno si avvicinasse,nè che mi parlasse,nè che mi chiedesse cosa stessi facendo.Non volevo che lui mi facesse qualche cenno gentile e freddo.Volevo stare solo lì.Seduta.
Quella sera non capii che quel martello era l'unica cosa che dovessi ascoltare.Che l'unica cosa cui aggrapparmi come vera era quel dolore diffuso tra lo stomaco e il seno.
Invece di continuare a dare le più svariate spiegazioni per quel dolore,dovevo solo lasciarlo stare.
Mi mentii e lo feci più volte.
Il freddo,le sigarette,lui,gli altri che sapevano e non dicevano.
La festa trascorse e io me ne andai solo quando visi lui prendere il cappotto.Automaticamente lo feci anche io.Credo che lo salutai anche abbastanza allegramente.
Presi il motorino e tornai verso casa.
Cominciai a sentire un'insofferenza verso tutte le persone che avevo avuto vicino durante la festa.Continuavo a sentire il petto ed in più respiravo a tratti brevissimi e veloci.
L'insofferenza,il fastidio diffuso crescevano.Mi sembrò allora che nessuno riuscisse davvero a comunicare con gli altri,che tutti fossero,chi più chi meno,piatti ed inutili.Che nulla delle loro parole o dei loro gesti fosse teso a significare qualcosa.
Anche quando fui stesa nel mio letto e spensi la luce la sensazione non mi abbandonò.
Se avessi capito allora che ero la prima a non amare ciò che vedevo intorno,forse non avrei accusato nessuno di non vedermi davvero,forse non avrei odiato così tanto.Odiato il fatto di non sentirmi,quella sera,amata da nessuno.
Le lacrime poi,quelle davvero non me le aspettavo,quella notte.
domenica, ottobre 01, 2006
MA D'ALTRA PARTE...
"If you see her say hello... Say for me that i'm all right,though things get kind of slow she might think that i've forgotten her,don't tell her isn't so"
B.Dylan
Non è che quella mattina decisi di ascoltare quella canzone.
Mi alzai,feci il solito caffè,presi una felpa perchè in terrazza a quell'ora faceva freddo e bevvì la mia tazza.Il gatto come al solito mi salutava stropicciandosi sulle mie gambe.
La radio l'avevo accesa ma finchè non fui seduta fuori non mi accorsi della canzone.
Non avevo scelto di ascoltare Dylan.
Mi risultò subito abbastanza faticoso cercare di non cedere alla suggestione che le sue parole fossero legate a momenti della giornata che,d'altra parte,dovevo ancora vivere.
Pensai ad altro.Pensai al cambio turno al caffè.Dal giorno seguente avrei lavorato come barman la sera.Quindi avrei avuto più soldi.
Era possibile.Non avevo bisogno di molto.Ed il cambio turno sembrava essere capitato al momento giusto.Una somma iniziale per la caparra.Certo anche altre persone con cui trovare un appartamento.
Lo avrei fatto,presto.Fui così certa di quella decisione che pensai che non avevo ulteriore bisogno di riflettere.
Bevvì il caffè veloce,feci scivolare il gatto dalle mie gambe,infilai i jeans,una maglietta e scesi a prendere i giornali.
Decisi anche che avrei mangiato a casa quel giorno,cosa che non accadeva da tempo.
Scesi al mercato per comprare pane e pomodori.Molti visi conosciuti,qualche cenno impercettibile di saluto.Nel mio quartiere avevo lavorato e studiato.Nient altro.Avevano un'immagine di me di ragazza seria,gentile,distaccata.
Se riflettevo anche solo un istante al turbinio di sensazioni che solitamente provavo,mi girava la testa per quanto non mi riconoscessi nell'idea che tutti più o meno si erano fatti di me.
Mi fermai al primo bancone.Scelsi pane e pomodori e mentre cercavo i soldi per pagare,una signora anziana con suo figlio discutevano sul fatto che lei si ostinasse a leggere il sole24ore senza capirci nulla.Quando mi allontanai li osservai ancora una volta con la coda dell'occhio.
Stavano ancora discutendo.
Mi sentii avvolta da un'improvvisa euforia.
Girai ancora tra i banchi.Osservavo tazze e coperte e pentolini per il latte.
Pensai ad un numero indefinito di colazioni e di tazze e coperte colorate che avrei scelto nella mia vita.Mi mise un'allegria inspiegabile.
Avrei continuato a sbirciare ancora,nonostante il sole caldissimo.Mi veniva facile sorridere ai banchisti e al mio quartiere.Mi veniva facile partecipare con uno sguardo di complicità a tutte le conversazioni che ascoltavo per caso.
Va bene,si poteva.Potevo.
Sentii nascerla dalla pancia questa sensazione.Camminavo verso casa e la sentivo salire fino al petto e poi avrei voluto che lì si fermasse.Non c'era bisogno che la pensassi.
Camminavo e mi concentravo sui miei passi.
Va bene,va bene così.Tienila.Tienila con te questa sensazione.
Sperai che il mio corpo la stesse registrando perchè un pensiero alla fine lo feci.
Nonostante la resistenza.
Lo ricordai(lo cantai?).
"We had a falling out like lovers often will,and to think of how she left that night it still brings me a chill.And though our separation it pierced me to the heart,she still lives inside of me,we've never been apart".
Perchè non sei qui a vedere che alla fine l'ho fatto?Perchè non sei qui a guardarmi con rispetto mentre io decido di farlo?di andare via?perchè non sei qui ad accorgerti che io sono felice e ti sto dimenticando?perchè non sei qui mentre io vivo comunque e nonostante?
Aprii il portone di casa e pensai se sarei stata in grado la sera di andare a quel compleanno.
Ci sarebbe stato anche lui.Tra qualche ora,il pomeriggio come al solito e poi la festa.
Potrei anche non andare,anzi perchè andare?c'è forse stata una sola volta in questi 4mesi che siamo riusciti a...scegli quello che davvero vuoi fare,per te,te soltanto.non andare,pensa alle tue di cose e la festa no,non è proprio importante.
Sapevo perfettamente che ci sarei andata.Lo sapevo da quando la radio aveva deciso per me quale canzone ascoltare per prima.Ma non lo avevo scelto io.Non potevo farci niente.Il caso aveva voluto che.Quindi sarei andata.No,non lo volevo.
Ma d'altra parte.
B.Dylan
Non è che quella mattina decisi di ascoltare quella canzone.
Mi alzai,feci il solito caffè,presi una felpa perchè in terrazza a quell'ora faceva freddo e bevvì la mia tazza.Il gatto come al solito mi salutava stropicciandosi sulle mie gambe.
La radio l'avevo accesa ma finchè non fui seduta fuori non mi accorsi della canzone.
Non avevo scelto di ascoltare Dylan.
Mi risultò subito abbastanza faticoso cercare di non cedere alla suggestione che le sue parole fossero legate a momenti della giornata che,d'altra parte,dovevo ancora vivere.
Pensai ad altro.Pensai al cambio turno al caffè.Dal giorno seguente avrei lavorato come barman la sera.Quindi avrei avuto più soldi.
Era possibile.Non avevo bisogno di molto.Ed il cambio turno sembrava essere capitato al momento giusto.Una somma iniziale per la caparra.Certo anche altre persone con cui trovare un appartamento.
Lo avrei fatto,presto.Fui così certa di quella decisione che pensai che non avevo ulteriore bisogno di riflettere.
Bevvì il caffè veloce,feci scivolare il gatto dalle mie gambe,infilai i jeans,una maglietta e scesi a prendere i giornali.
Decisi anche che avrei mangiato a casa quel giorno,cosa che non accadeva da tempo.
Scesi al mercato per comprare pane e pomodori.Molti visi conosciuti,qualche cenno impercettibile di saluto.Nel mio quartiere avevo lavorato e studiato.Nient altro.Avevano un'immagine di me di ragazza seria,gentile,distaccata.
Se riflettevo anche solo un istante al turbinio di sensazioni che solitamente provavo,mi girava la testa per quanto non mi riconoscessi nell'idea che tutti più o meno si erano fatti di me.
Mi fermai al primo bancone.Scelsi pane e pomodori e mentre cercavo i soldi per pagare,una signora anziana con suo figlio discutevano sul fatto che lei si ostinasse a leggere il sole24ore senza capirci nulla.Quando mi allontanai li osservai ancora una volta con la coda dell'occhio.
Stavano ancora discutendo.
Mi sentii avvolta da un'improvvisa euforia.
Girai ancora tra i banchi.Osservavo tazze e coperte e pentolini per il latte.
Pensai ad un numero indefinito di colazioni e di tazze e coperte colorate che avrei scelto nella mia vita.Mi mise un'allegria inspiegabile.
Avrei continuato a sbirciare ancora,nonostante il sole caldissimo.Mi veniva facile sorridere ai banchisti e al mio quartiere.Mi veniva facile partecipare con uno sguardo di complicità a tutte le conversazioni che ascoltavo per caso.
Va bene,si poteva.Potevo.
Sentii nascerla dalla pancia questa sensazione.Camminavo verso casa e la sentivo salire fino al petto e poi avrei voluto che lì si fermasse.Non c'era bisogno che la pensassi.
Camminavo e mi concentravo sui miei passi.
Va bene,va bene così.Tienila.Tienila con te questa sensazione.
Sperai che il mio corpo la stesse registrando perchè un pensiero alla fine lo feci.
Nonostante la resistenza.
Lo ricordai(lo cantai?).
"We had a falling out like lovers often will,and to think of how she left that night it still brings me a chill.And though our separation it pierced me to the heart,she still lives inside of me,we've never been apart".
Perchè non sei qui a vedere che alla fine l'ho fatto?Perchè non sei qui a guardarmi con rispetto mentre io decido di farlo?di andare via?perchè non sei qui ad accorgerti che io sono felice e ti sto dimenticando?perchè non sei qui mentre io vivo comunque e nonostante?
Aprii il portone di casa e pensai se sarei stata in grado la sera di andare a quel compleanno.
Ci sarebbe stato anche lui.Tra qualche ora,il pomeriggio come al solito e poi la festa.
Potrei anche non andare,anzi perchè andare?c'è forse stata una sola volta in questi 4mesi che siamo riusciti a...scegli quello che davvero vuoi fare,per te,te soltanto.non andare,pensa alle tue di cose e la festa no,non è proprio importante.
Sapevo perfettamente che ci sarei andata.Lo sapevo da quando la radio aveva deciso per me quale canzone ascoltare per prima.Ma non lo avevo scelto io.Non potevo farci niente.Il caso aveva voluto che.Quindi sarei andata.No,non lo volevo.
Ma d'altra parte.
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