lunedì, ottobre 22, 2007

RICORDO DI MEZZ'ESTATE

Stamattina a Roma fa veramente freddo.
Non importa quanti gradi. Sono cose queste cui si deve credere e basta.

Alle otto del mattino Trastevere è deserta. Ora, quello che mi domando ossessivamente, finchè non arrivo a lavoro è: davvero la gente può permettersi di non uscire di casa solo perchè fa freddo?
Nel senso che io NON posso e di conseguenza non capisco come altre persone possano farlo.

Che poi è quello che mi domando anche il lunedi sera quando, sempre Trastevere,è piena di gente.
Lu-ne-di sera. Il dubbio è disarmante: "Ma la gente non fa una minchia domattina?".
No, perchè io si,quindi...ragionamento come sopra.
Comunque.

Il gelo mi ha ricordato una giornata trascorsa con Chiara ad Ostia questa estate,mentre eravamo in attesa di vedere materializzarsi davanti ai nostri occhi "La vacanza" (entità oramai astratta.eravamo fin troppo sfiduciate).

Di seguito il fedele reportage.

Un giorno qualsiasi di luglio.
Non in un posto qualunque: Ostia, Capocotta,tra I Cancelli e Torvaianica.

Accucciata sul mio asciugamano guardo Chiara, dalla mia prospettiva orizzontale, leggere "Alternative al socialismo". Lo accetto come un dogma di fede. Lei è bella e convinta, come solo lei sa essere con 58 gradi e il vicino, naturalmente,molesto che tenta di coinvolgerci in svariate e differenziate attività.

Nello spazio della mia mente riservato alle masturbazioni mentali mi alzo, cammino verso il vicino, sfoggio un sorriso ambiguo, mi scosto un riccio dala viso (gesto che sicuramente lo distrae) poi lo meno. Inesorabilmente.

Nello spazio della mia mente riservato alla percezione esatta della realtà, mi volto verso Chiara e la supplico con lo sguardo: smetti di leggere, facciamo il bagno, uccidi il vicino.

Lei mi guarda "...nuova immagine della sinistra giovanile".
La guardo catatonica.
"Che cazzo Egle.Ci vivi anche tu in questo Paese..si, è ancora il t-u-o Paese!"
(sono sicura che a questo punto il vicino si è girato e sorride).

Opto per E.T. che funziona sempre.
Pronuncio più e più volte la parola Pa-e-se con la vocina dell'esserino marrone che voleva telefonare a casa.
Ha ceduto. Sorride. Si fa il bagno. In quattro secondi si alza, in tre corre verso il mare. In due bestemmia perchè la sabbia brucia, in uno si gira per vedere dove sono,ma non mi vede.
Io sono in ginocchio che rido sguaiatamente.

Raggiante mi dice di seguirla. "Devo farti vedere un posto meraviglioso".
Come no. Ad Ostia. Io penso:
- è impazzita a causa dei 58 gradi ed ha puntato la Sardegna. La raggiungerà a nuoto.
- è diventata un anfibio e vuole farmi esplorare l'incommensurabile bellezza degli abissi capocottiani.
- ha detto questa frase pensando a qualcun altro in qualche altra situazione.

Invece ha ragione, come sempre. Credo sia la prima ad aver superato la barriera di alghe, l'unica ad essere arrivata fino alla boa. Che si sappia: a 500 metri dalla riva l'acqua di Ostia è PU-LI-TA. Io la seguo, nuoto arrancando un pò, naso arricciato,fronte alta.
"Vedi? Sei felice come un feto che sguazza nella pancia della mamma".
In questi momenti le voglio veramente bene.

Effettivamente sono felice. Anche se alle nostre spalle una nave sta prendendo fuoco e il nostro vicino ci ha seguite.

In ogni caso, sentiamo di potercela fare.

S'E' FATTA ORA

" A quel punto mi ero accorto che cercare era il mio destino, l'emblema di coloro che escono la notte senza alcuna precisa intenzione,lo scopo degli assassini di bussole".
Cortazàr- Rayuela


Qualche volta è necessario cambiare immagine per cambiare strada.

Rieccoci.

venerdì, giugno 08, 2007

QUALCUNO ACCANTO

Se avessi immaginato allora che mio padre non mi avrebbe più rivolto parola per sei mesi, probabilmente avrei preso la stessa decisione.

Finii di preparare gli scatoloni stando bene attenta a non posare lo sguardo più di una frazione di secondo su ogni oggetto che incartavo. Ogni gesto richiedeva almeno qualche minuto e considerando la quantità di cose che portai con me,a pensarci oggi, quella sera impiegai davvero molto tempo a finire. Per tutta la durata dovetti chiudermi nel solito annullamento totale di ogni sensazione che mi provocava avere tra le mani quei piccoli pezzi di vita.

Così evitai il fiume in piena di emozioni cui avrei in ogni caso dovuto rendere conto molto presto.
Non mi lasciò mai la sensazione che lì con me avrebbe dovuto esserci qualcuno. Non saprei neanche oggi dire chi esattamente volessi accanto a me,e forse proprio quella confusione col tempo era diventato il grumo contro cui il mio sangue si era imbattuto, bloccando ogni flusso vitale, non permettendo che ad ogni mio gesto si accompagnasse un'espressione del viso.

In quel momento proprio non mi avevo presente. Ma continuai a fare e fare e fare.
Incartare,buttare,scegliere.Chiudere,riaprire,sollevare.
Quando finii mi sentii come all'ultimo giorno di vacanza:il posto dove la sera prima saresti rimasto ancora una manciata indefinita di giorni ti diventa insopportabile,vorresti solo fuggire il prima possibile.

Qualsiasi cosa quella sera mi sembrò come se avesse già preso la strada del passato. Tutto esattamente a metà ed io volli solo essere nel minor tempo possibile dall'altra parte.
Così,un salto veloce ed ero sul motorino piena di zaini e borse e con il piumone incastrato tra le mie gambe, gonfiato dal vento fin su,fino al mio mento.
Mi sembrai molto buffa e cominciai a sorridere.Feci qualche faccetta allo specchietto.

Poi pensai che stavo traslocando davvero,che non avrei mai più dormito in quella casa.E quella fu davvero una certezza.

Sentii nuovamente che avrebbe dovuto esserci qualcuno con me. Forse semplicemente a guardare.Pensai che ero divertente e avrei voluto qualcuno che ridesse con me e di me.

Poi mi riscoprii a sorridere e capii che non poteva proprio esserci nessuno.
Eravamo troppo ingombranti,io e il mio piumone.

lunedì, marzo 19, 2007

HO VOGLIA DI TE #3

Pensavo,stavo pensando,temo penserò ancora una volta che mi avrai lasciata sotto casa,come al solito:c'è qualcosa che non va.

Più semplice di così non si può.

C'è qualcosa che non va,lo sento a pelle e sulla pelle e in pancia e nella pancia.
Meravigliosamente irrrazionale conosco già questa sensazione. Una manciata di anni fà,in un tempo ormai indefinito perchè forse è stata un'intuizione così tante volte provata,così come altrettante volte è stata soffocata, che non ha poi molta importanza legarla ad un ricordo particolare.

Esiste e basta. Sono cose che se si riesce, se si vuole non si cancellano mai dal proprio corpo.
Qualcosa non va ed è strano vederlo succedere in un momento semplice e quotidiano come questo.

Ti ho detto di passare al caffè dopo la nostra cena ed ora ti osservo bere la tua sambuca.Con mosca naturalmente e parlare senza particolare entusiamo del tuo lavoro,della tua casa,delle persone che ti sono accanto. Credo potresti parlare così anche di me.Temo sia proprio così. Ho immaginato tu,una mattina tra le tante mattine,intento a prepararti il caffè nella cucina della tua casa bellissima.Ti ho immaginato non notare quanto piacevole sia lasciare le imposte aperte per ritrovarsi il salone invaso di primi raggi mattutini. Ti ho immaginato montare sullo scooter e non godersi quel secondo di pausa al semaforo prima di lanciarsi nella confusione. Ti ho immaginato mentre scivoli con lo sguardo sui tuoi libri e le tue fotografie bevendo un bicchiere di vino evitando di pensare a qualcosa in particolare,non ponendo la minima attenzione alla sensazione della lingua sul bicchiere di vetro sottile.

Poi ti ho immaginato,seduto su un gradino, sorridere e non occuparti di una ragazza davanti a te. Cercare di non pensare ad uno sguardo e un "si" diverso dagli altri.

Credo ci sia qualcosa che non va.
Arrancare con le braccia tese verso qualcuno,tenendo stretti i pugni per non lasciare scivolare via qualcosa di importantissimo.

Chiamare,trattenere ed aprire finalmente le mani.
Ecco qui,tutto questo,per te.
Veder divantare trasparenti,leggere,sottilissime tutte le sensazioni che si erano credute importantissime perchè nessuno le sta guardando con te,come te,con altrattanta passione.

Restare sola con la sensazione di aver mancato qualcosa.Perduto non sarebbe la parola adatta.Perdere implica per forza un aver avuto.
Continuare a fissare sbigottita i palmi delle mie mani:ho sognato?non vedo,non stringo più nulla.

Ho voglia di te.
Ho voglia di te.
Ho voglia di te.

Perdonami,ma non è vero.

giovedì, marzo 15, 2007

HO VOGLIA DI TE #2

Sei tornato da pochi giorni.
Le sigarette le fumi sempre nello stesso modo.
Buffo. Sembra che sei stato via tanto di quel tempo eppure si tratta di una manciata di ore,se vogliamo vederla nel modo più semplice.

Sempre la stessa storia:sento saltare anche l'equilibrio della mia voce quando siamo insieme.
Se avessi davvero coraggio mi chiederei se c'è ancora qualcosa che non cambia di me quando mi ti ritrovo davanti.

Non me lo chiedo perchè temo sia meglio così.
Non ho veramente fame,ma continuerei a farti leggere il menù in quel modo buffo anche tutta la sera se potessi.

In realtà se potessi tenderei questo momento fino al limite possibile, fino al secondo prima in cui si spezzerebbe e cambierebbe.

Tanto succede sempre:ti avvicini,fino a farti sentire chiaramente, poi basta così.

Continua a leggere.Che ho voglia di te.
Che non sono neanche sicura che queste sensazioni siano reali.
Sempre lo stesso in fondo,tutte le volte.

Se chiudi tutto,chiudo anche io. Quando arriva la gelata di acqua fredda, sempre senza preavviso un attimo dopo in cui mi sono sentita a un passo dal possibile, non potrei continuare ad avere voglia di te senza sentirmi incredibilemnte sola.

Eppure ora continuo a guardarti e mi sembra impossibile che tu a breve congelerai me e tutto.
Riesco ogni volta a non crederci,anche se so benissimo che accadrà.

Svaniscono e ritornano,una sorta di riflusso di emozioni,continuo e puntuale in modo imbarazzante.
Nonostante non riesca ad essere più forte delle tue incertezze,non lascio ancora andare via quella parentesi di tempo in cui mi è concesso avere voglia di te.

Questo me lo tengo ancora sulla pelle.
Sulla pelle le cose fanno la differenza.

HO VOGLIA DI TE #1

Piccola piazza illuminata di giallo lampione,in centro,quando è quasi sera.

Mi sono accesa una sigaretta e ho slacciato il giacchetto di jeans liberando le righe colorate della maglietta troppo presto estiva.

Mi sono accorta di aver accartocciato il pacchetto di sigarette vuoto.

Mi sono girata verso il negozio per vedere se potevo gli utlimi minuti che mi restavano liberi andarle a comprare.

Ti ho visto.
Ti ho guardato.
Ti ho visto di nuovo.

Giusto pochi metri di distanza.

Mi sono ritrovata vicino il tuo maglione che sapeva indefinitivamente di qualcosa che mi era stato familiare.

Mi sono tornate in mente le parole di un amico, a Milano,una sera prima di prendere il tram con i sedili in legno: chiunque può disegnare. Basta ricordare che gli occhi devono stare al centro del viso. Sempre. Altrimenti saltano tutte le proporzioni e l'equilibrio naturale dell'immagine.

Ho continuato a fissarti sentendo che i miei occhi avevano involontariamente lasciato il centro perfetto,la posizione ideale e continuavano a guardarti.

Contro ogni resistenza il mio viso ha deciso di dirtelo.

Ho voglia di te.
Ho voglia di te.
Ho voglia di te.

Si che ho fame,mangiamo qualcosa.

Abbiamo continuato a camminare vicini.

domenica, febbraio 11, 2007

UNA STRANA LUCE SENZA FONTE

"Le strade di Fantàsia le puoi trovare solo grazie ai tuoi desideri- disse Graogramàn- devi lasciarti guidare dai tuoi desideri. E' strano-pensò Bastiano- che si possa semplicemente desiderare quello che si vuole. Ma per la verità da dove vengono i desideri? e che cos'è un desiderio?Bastiano aveva mostrato al leone la scritta sul rovescio dell'amuleto: Fa ciò che vuoi. "Questo vuol dire che posso fare tutto quello che mi pare non credi?". Il volto di Graogramàn assunse d'improvviso un'espressione di terribile serietà e i suoi occhi divennero fiammanti: "No!vuol dire che devi fare quel che è la tua vera volontà. E nulla è più difficile. "La mia vera volontà?E che cosa sarebbe?Vuoi dire forse che i desideri che si hanno non sempre sono buoni?".
Michael Ende-La storia infinita


Una mattina mi svegliai serena e calda,sotto le coperte, coprendomi dalla luce che mi faceva male agli occhi, strinsi le ginocchia sulla pancia e sperai di ricordarmi quale fosse il sogno.

Milano, la colazione in cucina, un bicchiere fumante rosso ciliegia sul tavolo di legno chiaro. La radio leggermente gracchiante e la luce che dava l'impressione di cominciare a sbiadire nonostante fosse appena mattina. Il sogno: incontro d'amore tra lenzuola spiegazzate, in una stanza di un bianco accecante.

La sensazione che è riuscita a lasciarmi l'immagine notturna è fisicamente percettibile, tanto che non riescivo a capire se il calore sulla pelle,dalla testa ai piedi fosse dovuto alla coperta o al sogno che oramai diventano quasi una cosa sola. Tutto lentamete, decisi che la giornata sarebbe scivolata via piano, ed anche se può sembrare strano queste sono cose che alle volte si possono decidere: sciogliere le ore come si desidera,dilatarle,allungarle, stringere alcuni istanti,scomporne degli altri. Il tempo come un piccolo panetto di plastilina da modellare.

A Milano, quando capitava una giornata bella tutto diventava molto attraente, era raro ma alle volte, mentre ero, su ebbi la fortuna di vederlo. La periferia dove abitavo aveva intorno un unico paesaggio, senza traumi, senza cambiamenti, senza movimenti.
Le mattine che camminavo veloce verso la stazione, tra la foschia, la lana della sciarpa fin sopra la bocca e con il calore del sonno ancora sulla pelle, non mi soffermavo mai a vedere le poche persone che incrociavo,nè gli edifici cui passavo vicino. La mattina del sogno decisi di fare una passeggiata per il paese.
Dalla stazione, tra i palazzi bassi che davano sul corso, l'unica via che attraversava da parte a parte il quartiere.

Il colore dominante era senza dubbio il giallo: giallo se guardavi in alto il cielo attraverso i rami secchi,giallo se guardavi in basso, concentrandoti sugli stivali che calpestavano le foglie,apparendo e scomparendo ritmicamente. Percepivo il sole che doveva essere molto forte, eppure in fondo la luce sembrava stentare un pò: il cielo era luminosissimo, il sole invece non riuscivo a capire dove fosse, sentivo la presenza, lo vedevo nella luce giallognola che invadeva tutto,ma guardando in alto, tra i palazzi, non riuscivo a vederlo.

Osservavo intorno e, anche casualmente, finivo sempre per notare qualche elemento giallo e pensavo che tutto si intonava perfettamente al mio cappotto e ai miei stivali, alterati anche loro da quella strana luce senza fonte.
Ricordo che più passeggiavo più sentivo la necessità di alzare le braccia in alto e far capire che ero felice. Una sorta di onda, di balzo in avanti fatto di possibilità e curiosità. Non capivo da dove venisse,di cosa si trattasse,ma più volte pensai che forse dovevo tenerle giù quelle braccia,non alzarle,non muoverle,chiudere a pugno le mani nella tasche e guardare solo la punta dei miei stivali,come facevo le mattine ordinarie.

Oscillavo e non riuscivo a decidere cosa farne di queste braccia. Era davvero poi importante sapere da dove arrivasse quella luce particolare, dove fosse il sole?

Colta alla sprovvista rimasi in bilico tra un giallo e un desiderio che non sapevo come fare a tenere vicino.

E' COME SE IN TRENT'ANNI NON AVESSI VISSUTO,VA'

E' come se sti trent'anni non avessi vissuto và.
Irene al caffè passava da poco tempo e faceva parte di quelle ragazze alle quali non avresti saputo dare un'età:era piccola e magrissima, i capelli molto scuri, due ciocche ai lati si staccavano dal resto a causa del suo continuo arricciarle. Cosa che scoprii solo in seguito, quando la sua frequentazione divenne quasi quotidiana. Lavorava presso un'agenzia di assicurazioni lì vicino e si era trasferita da poco in città.

E' come se sti trent'anni non avessi vissuto,và.
Per pronunciare queste parole impiegò una frazione di secondo,giusto il tempo di aprire la bustina di zucchero e girare il cucchiaino nel caffè. Un gesto che fece in modo così naturale da far credere che si ripetesse molte volte nell'arco delle sue giornate. Come se niente fosse si voltò verso i quadri attaccati alle pareti, osservandoli con un'espressione che non capii lì per lì, immaginai non le piacessero particolarmente. Quando in seguito, per strane coincidenze, la conobbi molto bene capii che quando spalancava gli occhi scuri ed inclinava la testa da una parte, significava per lei ricordare qualcosa cui in passato aveva rinunciato.

Allora però non sapevo che ci saremmo ritrovate a condividere lo stesso appartamento e che quel viso sarebbe stato presto decifrabile in ogni sua impercettibile espressione. Tantomeno immaginavo che il caffè sarebbe stato un momento condiviso con lei tutte la mattine, in cucina, prima di qualsiasi altra cosa, prima che la giornata cominciasse, prima di qualunque altro contatto con le persone: un primo momento disemi-coscienza quando, abbandonato da poco il letto, il sonno, le immagini notturne sono ancora presenti e ti impediscono di concentrarti
su quello che hai attorno. Un momento in cui non focalizzi nulla, in cui non riusciresti a far altro che gesti automatici e distratti, in rigoroso silenzio.

Come fare il caffè. Come ascoltare seduta in cucina il rumore che produce la macchinetta, come una piccola barca che entra in porto a motore spento.
Irene era entrata in silenzio, con la sua piccola imbarcazione spenta, che lasciava intravedere un motore ancora rigurgitante, con addosso suoni e rumori di vecchie traversate in mare mosso e ventoso. Non me ne accorsi, ma ancora prima di trovarci a vivere insieme, quando ci incontravamo solo al caffè, i nostri incontri avevano già acquistato quel carattere tenue, silenzioso, delicato che avrebbero caratterizzato tutte le nostre mattine: nessuna sentiva di dover parlare per forza, potevamo restare lei al tavolo, io al bancone chiuse nello sforzo di afferrare le immagini notturne che fino a poche ore prima avevano riemito la nostra testa e la nostra pancia. Nessuna delle due aveva mai sentito l'esigenza di parlare all'altra a causa di imbarazzo, disagio, senso di colpa. Eravamo entrambe presenti e questo ci dava la tranquillità di non doverlo per forza rendere esplicito.

Allora trovai molto piacevole questa situazione, anche perchè tornata da Milano, affrontavo giorni confusi e pensierosi. Ero tornata al caffè in una sorta di trance, in modo automatico, come ci si può buttare a letto una sera che si è bevuto e si è fatto molto tardi: ci si infila sotto le coperte senza percepire chiaramente la consistenza, nè della stoffa, nè del proprio corpo.
Quelle giornate mi sentivo così. Niente di strano quindi se quando lei se ne uscì con quella frase non avvertii nessuna scossa particolare, se non uno strano formicolio sulla pelle che negli anni avevo imparato suggerirmi: guarda con più attenzione.

Difatto,lo feci. Dopo molti caffè.

martedì, gennaio 09, 2007

"LA VITA O SI SVIVE,O SI SCRIVE"

"Non ho voglia di scrivere,e poi è difficile unir la voglia di vivere con la voglia di scrivere"
A.Cechov (ad Aleksandr Cechov)


Prima di partire, di una cosa ero stata più o meno certa: che per superare lunghe sere in solitudine, in un luogo che a fatica avrei dovuto chiamare "casa" durante quei mesi, lontana dai miei avventori closing-time del caffè, avrei scritto.

Ancora una volta dovetti fare i conti con sensazioni e comportamenti che, nonostante le aspettative più verosimili che potessi essermi fatta, mi lasciarono leggermente stupita,lì in piedi,in silenzio,ad osservarmi agire, con una buffa espressione di attesa sul viso.

Non scrissi una parola,allora. Dopo qualche resistenza delle prime settimane, accettai il fatto,aiutandomi a dargli una sorta di dignità con massime che spiegavano che sarebbe stato difficile sedersi ed impugnare la matita se tutta la storia di cui si voleva parlare la si aveva ancora viva,addosso.
Ancora una volta, sulla pelle.Ancora una volta dovevo fare i conti con emozioni che non si potevano dimenticare,dalle quali non si poteva prendere distanza immediata.Ancora una volta, lottai con forza contro quello che sembrava inevitabile, convinta che tutte le storie andasse ro cristallizzate,freddate all'istante.

Cominciai a vedere, piano piano, quanto mi sbagliassi e dopo poco tempo mi permisi il lusso di lasciarmi andare.Mollai la presa e non scrissi.Senza ripensamenti,senza sensi di colpa.

Non fu assolutamente un caso che ricominciai a farlo a pochi giorni dalla fine,quando iniziai, silenziosamente, a lasciare tutto quello che avevo trovato.
Allora però non me lo spiegai molto bene ed ebbi solo paura di perdere tutto.Perchè non si possono afferrare le cose nel momento?

Oggi mi sembra così ovvia la paura di lasciarsi sfuggire ogni cosa se l'unico desiderio che provavo era quello che niente,assolutamente niente, mi restasse sulla pelle...fortuna che si cambia semplicemente idea.