"Well i'm sitting on a windowsill, blowing my horn, nobody's up except the moon and me...and a lazy old tomcat on a midnight spree, all that you left me was a melody.Rosie, why do you evade?Rosie...How can i persuade?"
T.Waits
Giusto un ricordo.Che quella sera,pochi giorni prima della mia partenza,ebbi la sensazione che avrei conservato per una giornata di pioggia milanese.
A farmelo pensare fu il caldo che facevano le lampade a gas del ristorante dove eravamo seduti. Se ora potessi colorare quella piccola parentesi sarebbe di rosso. Queste lamapade avvampavano le guance e riscaldavano così da tanto che fummo costretti a toglierci e rimetterci il cappotto diverse volte tra un piatto e l'altro.
Non ci vedevamo da diverso tempo e tutte le volte che osservai il suo viso sorridere quella sera ebbi la sensazione nettissima che il mio si distendeva e piegava assolutamente negli stessi punti. Era un pò la sicurezza di sentirsi sorridere senza doversi preoccupare di farlo fisicamente. Mi vennero in mente i bambini quella volta, che da neonati sorridono per istinto,senza pensarci poi molto, imitando la persona che in quel momento gli sta sorridendo a pochi centimetri dal viso.
Dalla luce rossa delle lampade,alla strada verso la fermata dell'autobus la diversità di temperatura fu fortissima. Non la sensazione morbida che a pelle sentii dall'inizio della serata.
Ricordo che camminai e mi persi giusto un pò cominciando a temere, da qualche parte nel mio corpo,di perdere tutto da un secondo all'altro. Fortuna che la sua voce, ad un certo punto, senza volerlo me lo impedì. Disse qualcosa a proposito della luna,qualcosa che non capii poi molto,ancora persa dietro la parola "morbidezza" che non sapevo decidermi essere quella giusta o meno per descrivere quella sensazione che...
Poi,per alzate lo sguardo verso il cielo,persi impercettibilmente l'equilibrio,poggiandomi lievemente sulla sua spalla,scompostamente,ritrovai solo il mio mento molto vicino alla lana del suo cappotto.A pochi centimetri dal viso.Neanche alla fermata,salutandoci veloci,ebbi il tempo di riflettere su quello che dalla cena mi stavo domandando.Come persuadere?Pochi mesi prima,come potrei eventualmente convincerlo?Come avrei potuto spiegare che...E se...
Fortuna mi fermai tra quel "se"e la leggerezza che prese il sopravvento su ogni pensiero.E che era l'unica sicurezza che avevo in quel momento.Tranne il fatto di chiedermi perchè continuare a tenere gli occhiali se poi distorcevano un pò tutto quello che vedevo.Probabilmente era ancora troppo poco tempo che li portavo.
Non ebbi più il dubbio che "morbidezza"fosse una parola inadatta per descrivere quello da cui mi sentii avvolta fino a sotto le coperte,quando mi stesi nel mio letto a pancia in giù e spensi la luce nella mia stanza.Non mi mettevo mai a pancia in giù,ma il calore di quella serata l'avevo accumulato nella pancia,che strinsi tra petto e ginocchia per non perdere nulla.
Tutto salvato.Per il primo pomeriggio di pioggia che dovetti affrontare qui.
giovedì, novembre 30, 2006
lunedì, novembre 27, 2006
UN CAPPOTTO SULLA POZZANGHERA
Milano sembrava aver poggiato il suo miglior cappotto sulla pozzanghera,solo per farmi passare senza rischiare di sporcarmi.Almeno per i primi minuti che trascorrevo lì.Se avevo qualche immagine della città,queste erano sicuramente senza il rosa.E l'azzurro che si vedeva appena usciti dalla stazione.
Vicino a me il carretto delle caldarroste e le valige che bastava trascinare per pochi metri,su per una scala affollata della metro,per ricordarsi che lì ci sarei rimasta un bel pò.
La sensazione poteva essere simile a quella che provi raramente se non da bambino,totale e avvolgente,esattamente a metà strada tra un'eccitazione senza fine e le lacrime.
Pensai quanto fosse strano che nel prossimo minuto avrei potuto piangere o continuare a sorridere al nulla come stavo facendo da quando ero scesa dal treno.Stesso numero di possibilità,ma continuai a sorridere.Solo più velocemente,più distrattamente.Allora mi sembrarono troppi gli angoli che potevo osservare, gli odori che potevo respirare, le fantasie che potevo fare.Fuggii da quell'eccesso lanciandomi in un folla di persone che si dirigevano verso la metropolitana,proprio davanti la stazione.
Mi lanciai rapida anche io,come cercando di stare dietro un ritmo diverso,una vita diversa.In realtà allora non sopportai il peso di tutto quello "sconosciuto" che,dovetti far fatica ad ammetterlo,mi rendeva incredibilmente felice,come ogni canale del mio corpo si fosse messo sull'attenti.Per guardare e sentire.Allora mi piaque pensare che Milano mi aveva già coinvolta con la sua frenesia.A pensarci oggi era una semplice domenica sera e le persone non facevano altro che tornare verso casa cercando di trascinarsi dietro qualcosa di quello che la giornata di pausa era stata.
Aspettando la metropolitana mi accorsi che sul pavimento bianco era stampata la mappa,grande,di tutta la metro della città.Segmenti di colori diversi che si incrociavano ed io vi ero esattamente sopra.Ricordo che in quel momento pensai che non sapevo nulla,nessun nome,nessuna fermata,nessun colore mi riportava alla mente,sulla pelle qualcosa di familiare. Era incredibilmente,totalmente tutto sconosciuto.
In modo paralizzante mi accorsi di questo continuando a fissare i nomi e i colori che avevo sotto i piedi e che non mi suggerivano assolutamente nulla.
Ricordo che pensai in quell'istante di poter andare in qualsiasi direzione. E questo non avrebbe fatto nessuna differenza. A nessuno.
Vicino a me il carretto delle caldarroste e le valige che bastava trascinare per pochi metri,su per una scala affollata della metro,per ricordarsi che lì ci sarei rimasta un bel pò.
La sensazione poteva essere simile a quella che provi raramente se non da bambino,totale e avvolgente,esattamente a metà strada tra un'eccitazione senza fine e le lacrime.
Pensai quanto fosse strano che nel prossimo minuto avrei potuto piangere o continuare a sorridere al nulla come stavo facendo da quando ero scesa dal treno.Stesso numero di possibilità,ma continuai a sorridere.Solo più velocemente,più distrattamente.Allora mi sembrarono troppi gli angoli che potevo osservare, gli odori che potevo respirare, le fantasie che potevo fare.Fuggii da quell'eccesso lanciandomi in un folla di persone che si dirigevano verso la metropolitana,proprio davanti la stazione.
Mi lanciai rapida anche io,come cercando di stare dietro un ritmo diverso,una vita diversa.In realtà allora non sopportai il peso di tutto quello "sconosciuto" che,dovetti far fatica ad ammetterlo,mi rendeva incredibilmente felice,come ogni canale del mio corpo si fosse messo sull'attenti.Per guardare e sentire.Allora mi piaque pensare che Milano mi aveva già coinvolta con la sua frenesia.A pensarci oggi era una semplice domenica sera e le persone non facevano altro che tornare verso casa cercando di trascinarsi dietro qualcosa di quello che la giornata di pausa era stata.
Aspettando la metropolitana mi accorsi che sul pavimento bianco era stampata la mappa,grande,di tutta la metro della città.Segmenti di colori diversi che si incrociavano ed io vi ero esattamente sopra.Ricordo che in quel momento pensai che non sapevo nulla,nessun nome,nessuna fermata,nessun colore mi riportava alla mente,sulla pelle qualcosa di familiare. Era incredibilmente,totalmente tutto sconosciuto.
In modo paralizzante mi accorsi di questo continuando a fissare i nomi e i colori che avevo sotto i piedi e che non mi suggerivano assolutamente nulla.
Ricordo che pensai in quell'istante di poter andare in qualsiasi direzione. E questo non avrebbe fatto nessuna differenza. A nessuno.
venerdì, novembre 24, 2006
MILANO (ovvero: provare#2)
Decise così,in modo totalmente inaspettato, di chiudere per una pausa il caffè. Inventario fu la parola ufficiale che decisero di riferirci. In realtà non andava affatto bene. Oramai le persone che venivano erano sempre poche,sempre le stesse. E noi tutti che lavoravamo lì eravamo consapevoli più dei proprietari stessi probabilmente che il locale non aveva bisogno di nessun inventario.
In realtà quei giorni presi la notizia molto freddamente. In realtà tutto era tra le mie mani, forse troppo. Così allora pensai che l'unico modo per non lasciarmi sfuggire,fosse pensare al tutto come stessi archiviando vecchie pratiche,nuovi documenti,possibli progetti. Guardavo tutto con una meticolosa freddezza,analizzando lucidamente ogni cosa.
Così anche la scelta di andare via durante quel periodo.
Milano fu la città prescelta. Per una sorta di stage in una redazione. Proviamo a scrivere, mi dissi.Proviamo ad andare via di qui. Così lo feci,organizzando tutto in poche settimane.
Pochi giorni prima della partenza,quando cominciarono saluti, promesse vaghe e generali di vedersi io faticai ad emozionarmi. Mi capitava di ripetermi mentalmente più e più volte tutte le cose che negli ultimi mesi stavano cambiando.Alle volte mormoravo quasi. Tornando dal caffè,sulla linea notturna, poggiavo la fronte sul vetro del bus che lasciava un piccolo cerchio.Tutto intorno l'umidità impediva di vedere a che punto fossi del tragitto.
Aspettai. Quei giorni, ad osservarmi ora, in realtà aspettai qualcosa che era impossibile arrivasse. Almeno finchè non smisi di pensare che lasciarsi andare al flusso di eventi che all'improvviso stravolgono la tua vita non era rischioso.
Ma in quei giorni non ero davvero capace di accettare che potessi essere profondamente felice.
Potevo esserlo anche senza sentire la necessità di controllare ogni cosa.
Non lo capii finchè quel treno non partì e realizzai in un attimo che stavo lasciando tutto. Lasciando ogni cosa per poi tornare. Il pensiero che non sarei tornata a casa mia,dove per23 anni avevo vissuto stranamente mi fece percepire per la prima volta che stavo davvero andando via.
Curioso in fondo, a pensarci ora...percepirlo solo nel momento in cui realizzai che sarei tornata.Era la casa dove avrei dormito non sarebbe stata quella di mia madre.
Così l'emozione arrivò,tutta insieme e dovetti focalizzare lo sguardo attraverso gli occhiali,verso le ciminiere che si vedevano appena lasciata la stazione.Mi strinsi con le spalle nello schienale della poltrona.Con un respiro profondo mi accorsi che,inaspettatamente,qualcosa aveva ripreso a battere nel petto.
In realtà quei giorni presi la notizia molto freddamente. In realtà tutto era tra le mie mani, forse troppo. Così allora pensai che l'unico modo per non lasciarmi sfuggire,fosse pensare al tutto come stessi archiviando vecchie pratiche,nuovi documenti,possibli progetti. Guardavo tutto con una meticolosa freddezza,analizzando lucidamente ogni cosa.
Così anche la scelta di andare via durante quel periodo.
Milano fu la città prescelta. Per una sorta di stage in una redazione. Proviamo a scrivere, mi dissi.Proviamo ad andare via di qui. Così lo feci,organizzando tutto in poche settimane.
Pochi giorni prima della partenza,quando cominciarono saluti, promesse vaghe e generali di vedersi io faticai ad emozionarmi. Mi capitava di ripetermi mentalmente più e più volte tutte le cose che negli ultimi mesi stavano cambiando.Alle volte mormoravo quasi. Tornando dal caffè,sulla linea notturna, poggiavo la fronte sul vetro del bus che lasciava un piccolo cerchio.Tutto intorno l'umidità impediva di vedere a che punto fossi del tragitto.
Aspettai. Quei giorni, ad osservarmi ora, in realtà aspettai qualcosa che era impossibile arrivasse. Almeno finchè non smisi di pensare che lasciarsi andare al flusso di eventi che all'improvviso stravolgono la tua vita non era rischioso.
Ma in quei giorni non ero davvero capace di accettare che potessi essere profondamente felice.
Potevo esserlo anche senza sentire la necessità di controllare ogni cosa.
Non lo capii finchè quel treno non partì e realizzai in un attimo che stavo lasciando tutto. Lasciando ogni cosa per poi tornare. Il pensiero che non sarei tornata a casa mia,dove per23 anni avevo vissuto stranamente mi fece percepire per la prima volta che stavo davvero andando via.
Curioso in fondo, a pensarci ora...percepirlo solo nel momento in cui realizzai che sarei tornata.Era la casa dove avrei dormito non sarebbe stata quella di mia madre.
Così l'emozione arrivò,tutta insieme e dovetti focalizzare lo sguardo attraverso gli occhiali,verso le ciminiere che si vedevano appena lasciata la stazione.Mi strinsi con le spalle nello schienale della poltrona.Con un respiro profondo mi accorsi che,inaspettatamente,qualcosa aveva ripreso a battere nel petto.
martedì, novembre 07, 2006
ZENZERO E CANNELLA
"Good time for a change"
The Smiths
Dura serata al locale,di noia e visi non particolarmente vivi,di pochi bicchieri di vino bevuti in solitudine,aspettando sulla porta di vedere arrivare qualcuno.Chiunque.Le serate così al caffè mi lasciavano addosso solo una sorta di anestesia nei confronti di qualunque parola o pensiero o gesto.
Come tenere il corpo intero in tensione,senza respirare mai profondamente,come sentire ogni piccolo poro della pelle tappato e impermeabile all'esterno,qualsiasi cosa del mondo fuori e dentro di me.Semplicemente così,scivolandosi addosso le ore.
Per favore,per favore,per favore.
Tennì gli occhi socchiusi in motorino durante il rientro verso casa perchè il freddo era ancora forte.Saliì le scale di casa con la musica ancora nelle orecchie e provai fastidio perchè le chiavi e i fili delle cuffie ed il segnalibro avevano creato un meraviglioso incastro.Entrai in silenzio nell'ingresso con ancora la sensazione di scomodità vicina.
Poi la puzza fortissima di bruciato.Credo non mi accorsi nemmeno del rumore che fece la mia borsa una volta crollata a terra,restai ferma poi aprii velocissima la porta della cucina.
Non c'era un'immagine precisa che nel frattempo la paura aveva creato nella mia mente,nessuna idea di cosa potesse essere.Ma sicuramente non mi aspettai quella notte di vedere quello che vidi.
Mia sorella nel fumo,mentre mordendosi le labbra sfornava qualcosa di completamente carbonizzato.Aveva aperto la finestra e chiuso la porta per non svegliare mamma che dormiva e tentava di arginare tutto versando dell'acqua su quella che poi capii essere una torta.
Continuai a guardarla sorridendo e l'unica cosa che riuscii a fare fu sedermi e sentire sciogliersi sottopelle qualunque cosa fossi riuscita a trattenere per tutta la sera.
Mia sorella intanto agitava lo strofinaccio e si guardava e mi guardava e se la prendeva con il gatto.Io continuavo a sorriderle.
Glù...mannaggia,volevo farti una sorpresa,te l'ho fatta eh?Era una torta al cioccolato con zenzero e cannella,la tua preferita...ma non so cosa ho sbagliato,non mi capita mai lo sai...e poi guarda pure questa canzoncina anni cinquanta stupida per radio,mi sento veramente ridicola...però domani ritento,ma guarda cosa ho combinato...
La guardai molto attentamente,come fosse cambiata eppure ogni mattina ed ogni notte la ritrovavo magari in salone ad ascoltare musica,eppure quella sera mi sembrò diversa tra quel fumo e l'odore dello zenzero bruciato.
Prima di abbracciarla cercai di ricordare il suo visetto in una nostra foto da piccole,in balcone mentre io guardavo l'obiettivo e lei me.Mi sforzai di ricreare i suoi lineamenti di allora.
Dovetti promettermi il giorno dopo di ricercare quell'album di foto,tanto in ogni caso avevo deciso di cominciare a svuotare camera.
Quella sera mi sembrò l'unica soluzione possibile perchè non riuscivo davvero a ricordarla o a trovare qualche somiglianza col viso che in quel momento era raggomitolato sulla mia spalla.
The Smiths
Dura serata al locale,di noia e visi non particolarmente vivi,di pochi bicchieri di vino bevuti in solitudine,aspettando sulla porta di vedere arrivare qualcuno.Chiunque.Le serate così al caffè mi lasciavano addosso solo una sorta di anestesia nei confronti di qualunque parola o pensiero o gesto.
Come tenere il corpo intero in tensione,senza respirare mai profondamente,come sentire ogni piccolo poro della pelle tappato e impermeabile all'esterno,qualsiasi cosa del mondo fuori e dentro di me.Semplicemente così,scivolandosi addosso le ore.
Per favore,per favore,per favore.
Tennì gli occhi socchiusi in motorino durante il rientro verso casa perchè il freddo era ancora forte.Saliì le scale di casa con la musica ancora nelle orecchie e provai fastidio perchè le chiavi e i fili delle cuffie ed il segnalibro avevano creato un meraviglioso incastro.Entrai in silenzio nell'ingresso con ancora la sensazione di scomodità vicina.
Poi la puzza fortissima di bruciato.Credo non mi accorsi nemmeno del rumore che fece la mia borsa una volta crollata a terra,restai ferma poi aprii velocissima la porta della cucina.
Non c'era un'immagine precisa che nel frattempo la paura aveva creato nella mia mente,nessuna idea di cosa potesse essere.Ma sicuramente non mi aspettai quella notte di vedere quello che vidi.
Mia sorella nel fumo,mentre mordendosi le labbra sfornava qualcosa di completamente carbonizzato.Aveva aperto la finestra e chiuso la porta per non svegliare mamma che dormiva e tentava di arginare tutto versando dell'acqua su quella che poi capii essere una torta.
Continuai a guardarla sorridendo e l'unica cosa che riuscii a fare fu sedermi e sentire sciogliersi sottopelle qualunque cosa fossi riuscita a trattenere per tutta la sera.
Mia sorella intanto agitava lo strofinaccio e si guardava e mi guardava e se la prendeva con il gatto.Io continuavo a sorriderle.
Glù...mannaggia,volevo farti una sorpresa,te l'ho fatta eh?Era una torta al cioccolato con zenzero e cannella,la tua preferita...ma non so cosa ho sbagliato,non mi capita mai lo sai...e poi guarda pure questa canzoncina anni cinquanta stupida per radio,mi sento veramente ridicola...però domani ritento,ma guarda cosa ho combinato...
La guardai molto attentamente,come fosse cambiata eppure ogni mattina ed ogni notte la ritrovavo magari in salone ad ascoltare musica,eppure quella sera mi sembrò diversa tra quel fumo e l'odore dello zenzero bruciato.
Prima di abbracciarla cercai di ricordare il suo visetto in una nostra foto da piccole,in balcone mentre io guardavo l'obiettivo e lei me.Mi sforzai di ricreare i suoi lineamenti di allora.
Dovetti promettermi il giorno dopo di ricercare quell'album di foto,tanto in ogni caso avevo deciso di cominciare a svuotare camera.
Quella sera mi sembrò l'unica soluzione possibile perchè non riuscivo davvero a ricordarla o a trovare qualche somiglianza col viso che in quel momento era raggomitolato sulla mia spalla.
sabato, novembre 04, 2006
WALTZING MATILD
Una sera un mio caro amico al caffè mi spiegò il significato del titolo di una canzone che ascoltavo,non so perchè,specialmente le serate in cui faceva molto freddo.Si trattava di "waltzing matild" di Tom Waits.Dopo svariati bicchieri di vino,quando anche l'ultimo cliente aveva lasciato il locale,mi disse che era un'espressione usata per dire partire per cercare fortuna,fare "fagotto",metterselo in spalle e andare via.
Gli sorrisi di sincera gratitudine.
Mai visto il freddo arrivare così velocemente.Nessuna avvisaglia se non l'inconsistenza che il maglione aveva assunto quella mattina sulla mia pelle.In motorino mi sembrava di essere nuda e in pochissimo mi ricoprii di brividi.Com'era possibile?appena un'ora prima ero uscita come al solito in terrazza per dar da mangiare al gatto e lo stesso maglioncino di cotone bastava a tenermi al caldo.Poco dopo mi ritrovai a battere i denti mentre in un secondo decisi di fermarmi a comprare ad una bancarella lungo la strada almeno un copricollo.
Senza pensarci e molto velocemente indicai quello rosso,staccai l'etichetta e lo infilai.Rosso.Provai a ricordare quando avevo deciso che quel colore non poteva starmi bene,quando qualcuno o qualcosa mi aveva suggerito che con i miei capelli sarebbe stato "troppo".Non riuscii a ricordare,lo comprai e nello specchietto del motorino decretai un nuovo ingresso cromatico nella mia vita.
Il rosso,la città e la tramontana quel giorno s'intesero alla perfezione.Scivolai velocissima verso l'appuntamento in centro.Scivolai,quella fu la sensazione,sinuosa,leggera,giusta.Senza ritrarmi,senza incappare,inciampare in nulla che non fosse quell'istante e poi quello successivo e poi ancora quello seguente.Via così,per tutto il tragitto,sbirciando solo qualche volta se il mio rosso fosse proprio lì dove lo avevo lasciato appena un'occhiata prima.
Era lì e lo fu per tutta la giornata.
Arrivai all'appuntamento con un pò di ritardo.Ad ogni tratto di strada in cui sapevo abitare qualcuno che conoscevo ralletavo e per pochi secondi pensavo se fosse il caso di passare a lasciare giusto un saluto,un biglietto un cenno dal portone,così avevo accumulato senza accorgermene almeno trenta minuti di ritardo.Loro erano già seduti ad un tavolino fuori dal bar,ma vidi che non avevano ordinato niente.
Erano tre.I miei futuri coinquilini.Mi ripetei la parola "coinquilini"più e più volte finchè non mi venne anche da ridere e dovetti aspettare un pò prima di raggiungerli se non volevo trovarmi a dover giustificare quella risata con una bugia.Adorai tanto quella risata che non vollì sporcarla con qualcosa di artificiale.
Passò il momento e mi avvicinai.Strinsi un pò le spalle e non tirai fuori le mani gelate dalle tasche del cappotto.Pensai che presetarmi fosse inutile,d'altronde ci conoscevamo,così gli sorrisi e basta e mi sedetti.
La sera,tornata a casa,solo "waltzing matild"ed un messaggio che lessi un attimo prima di spegnere la luce sul comodino:"che bello,che bello,che bello!buonanotte".
Uno dei miei "coinquilini"aveva scelto di scrivermi queste parole.Ripetei ancora la parola "coinquilini"e riscoppiai a ridere e continuai a farlo senza doverlo giustificare a nessuno.
Tantomeno a me stessa.
Gli sorrisi di sincera gratitudine.
Mai visto il freddo arrivare così velocemente.Nessuna avvisaglia se non l'inconsistenza che il maglione aveva assunto quella mattina sulla mia pelle.In motorino mi sembrava di essere nuda e in pochissimo mi ricoprii di brividi.Com'era possibile?appena un'ora prima ero uscita come al solito in terrazza per dar da mangiare al gatto e lo stesso maglioncino di cotone bastava a tenermi al caldo.Poco dopo mi ritrovai a battere i denti mentre in un secondo decisi di fermarmi a comprare ad una bancarella lungo la strada almeno un copricollo.
Senza pensarci e molto velocemente indicai quello rosso,staccai l'etichetta e lo infilai.Rosso.Provai a ricordare quando avevo deciso che quel colore non poteva starmi bene,quando qualcuno o qualcosa mi aveva suggerito che con i miei capelli sarebbe stato "troppo".Non riuscii a ricordare,lo comprai e nello specchietto del motorino decretai un nuovo ingresso cromatico nella mia vita.
Il rosso,la città e la tramontana quel giorno s'intesero alla perfezione.Scivolai velocissima verso l'appuntamento in centro.Scivolai,quella fu la sensazione,sinuosa,leggera,giusta.Senza ritrarmi,senza incappare,inciampare in nulla che non fosse quell'istante e poi quello successivo e poi ancora quello seguente.Via così,per tutto il tragitto,sbirciando solo qualche volta se il mio rosso fosse proprio lì dove lo avevo lasciato appena un'occhiata prima.
Era lì e lo fu per tutta la giornata.
Arrivai all'appuntamento con un pò di ritardo.Ad ogni tratto di strada in cui sapevo abitare qualcuno che conoscevo ralletavo e per pochi secondi pensavo se fosse il caso di passare a lasciare giusto un saluto,un biglietto un cenno dal portone,così avevo accumulato senza accorgermene almeno trenta minuti di ritardo.Loro erano già seduti ad un tavolino fuori dal bar,ma vidi che non avevano ordinato niente.
Erano tre.I miei futuri coinquilini.Mi ripetei la parola "coinquilini"più e più volte finchè non mi venne anche da ridere e dovetti aspettare un pò prima di raggiungerli se non volevo trovarmi a dover giustificare quella risata con una bugia.Adorai tanto quella risata che non vollì sporcarla con qualcosa di artificiale.
Passò il momento e mi avvicinai.Strinsi un pò le spalle e non tirai fuori le mani gelate dalle tasche del cappotto.Pensai che presetarmi fosse inutile,d'altronde ci conoscevamo,così gli sorrisi e basta e mi sedetti.
La sera,tornata a casa,solo "waltzing matild"ed un messaggio che lessi un attimo prima di spegnere la luce sul comodino:"che bello,che bello,che bello!buonanotte".
Uno dei miei "coinquilini"aveva scelto di scrivermi queste parole.Ripetei ancora la parola "coinquilini"e riscoppiai a ridere e continuai a farlo senza doverlo giustificare a nessuno.
Tantomeno a me stessa.
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